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Danilo AMIONE- La memoria. Per Marlon Brando, a dieci anni dalla scomparsa

 

La memoria


 

PER MARLON BRANDO

Oltre l’icona seducente, tragica, insubordinata- A dieci anni dalla morte

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Ricordare Marlon Brando oggi, al di là delle necessità cronachistiche legate alle ricorrenze (90 anni dalla nascita quest’anno, 10 anni dalla scomparsa oggi), ha senso solo se si va al di là del ruolo, attore hollywoodiano, forse il più grande, e si entra nell’analisi del “suo” cinema. Per Jurij Lotman, il grande semiologo russo, l’attore quando è centrale, pervasivo, se stesso (altri esempi sono Mastroianni, Gabin, Bogart,  Volontè,  Kinski), impone il suo sguardo sul film, diventa egli stesso l’autore, il regista, senza bisogno di mettersi dietro la macchina da presa. Anzi quando lo fa direttamente, forse è pure mediocre (vedi “I due volti della vendetta”,’61, della stesso Brando).

L’attore Brando ha “diretto” i suoi film quando ha costretto i suoi registi a seguirlo lungo il perimetro del suo corpo (“Un tram che si chiama desiderio”,’51,di Elia Kazan),e attraverso il suo sguardo perplesso e impenetrabile (“Fronte del porto”,’54,sempre di Elia Kazan).

Oppure negandosi nei suoi tratti fondamentali e per questo esaltandoli ancor più (l’ambiguo militare, stretto e costretto perennemente nella sua uniforme, protagonista dello splendido e inquietante “Riflessi in un occhio d’oro”,’67, di John Huston), come pure offrendosi impietosamente alla cinepresa quando il tempo, la vita ed il cinema  lo avevano  già segnato (“Ultimo tango a Parigi”,’72,di Bernardo Bertolucci- fotogramma in alto), o trasfigurandosi fin quasi ad annullarsi come un gigante dentro il suo antro oscuro (“Apocalypse now”,’79, di F.F.Coppola).

E tutto ciò non è solo frutto dell’”Actors studio” di Lee Strasberg, di cui Brando era stato il migliore allievo, anzi forse non c’entra niente. Egli è il solo attore che ha resistito al crollo dello “star system”hollywoodiano,come forse solo James Dean avrebbe potuto fare, divenendo antidivo della New Hollywood e attore feticcio della Nouvelle vague europea (bello oltrechè simbolico l’incontro a distanza fra lui e il truffautiano Jean Pierre Leaud nel succitato film di Bertolucci), solo perché i tratti reali del suo volto e del suo corpo, sempre più deformi e difformi, hanno coinciso con la realtà del secolo breve, in cambiamento continuo e accelerato, senza una logica a guidarlo.

Brando come il Novecento, dunque, e forse anche di più, perché l’ha raccontato, l’ha sintetizzato. Più che un attore, quindi, una fortunata coincidenza, sicuramente più per noi che per lui.