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Agata MOTTA- Intervista. M.Donadoni ‘scommette’ sul Teatro Garibaldi di Palermo

 

 

 

L’intervista

 


 

DONADONI “TANTI OBBIETTIVI, TANTE FATICHE”

Maurizio Donadoni

La coraggiosa ‘scommessa’ del Teatro Garibaldi di Palermo

 

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Il Teatro Garibaldi continua la sua programmazione con l’intento di riannodare passato e presente e di ancorarsi a solide certezze. Dopo un anno e mezzo di occupazione, che ha ospitato a ritmi serrati lavori di numerosi artisti, il teatro è stato riaffidato temporaneamente alla direzione artistica di Matteo Bavera ed è inutile negare che non sono mancate le polemiche e le voci di dissenso per quella che è stata definita la risposta ad un’esigenza di conciliazione tra emergenza e concretezza progettuale.

Ma, fatto il punto della situazione, cosa bolle in pentola per questa prima parte di maggio, dopo l’avvio dei lavori di recupero resi necessari in seguito agli atti di vandalismo verificatisi qualche mese addietro? A pochi giorni di distanza dalla messa in scena di Un bès del pugliese Mario Perrotta, Maurizio Donadoni,  noto volto teatrale e cinematografico, sarà impegnato l’8 e il 9 in Il Dio di roserio di Giovanni Testori, per la regia di Valerio Binasco, e in Finnegans Wake di James Joyce per la sua stessa regia, un confronto con due autori difficili di cui il versatile attore-regista ha piena consapevolezza.

“Uno dei privilegi dell’attore – sostiene infatti Donadoni – è  quello di  incarnare  capolavori di scrittura.  Sono come le onde del pacifico, perfette per fare il surf. Onde gigantesche che si frangono e possono anche seppellirti sotto tonnellate d’acqua. Puoi non riemergere più.  Ma vai a dire a un surfista davanti a un onda di 20 metri, no quella non la cavalcare. Il surfista non aspetta che quella, la big one”. Donadoni ha anche reclutato 20 attori per “Anghelos “, un progetto sui messaggeri della tragedia greca che dovrebbe portare alla costituzione di una compagnia stabile under 30 al Garibaldi.

Quali i passaggi per raggiungere l’obiettivo e quali le difficoltà che si aspetta di dover affrontare?

Per quanto  sia ancora in fase embrionale e  non spetti a me stabilire tempi modi e pratiche di quanto si svolgerà al Garibaldi riguardo al progetto di costituzione di una compagnia posso dire che  il lavoro che in futuro intendo svolgere riguarderà l’acquisizione, da parte degli attori, di alcune tecniche di base, i fondamentali rudimenti dell’artigianato attoriale, come se un muratore più anziano mostrasse  ad apprendisti più giovani quali sono e come si usano i ferri del mestiere. Senza cioè troppe spiegazioni teoriche, ma con esercitazioni pratiche svolte su un testo teatrale. Nel caso di Anghelos si tratta di un collage di messageri dalla tragedia greca. Ma potranno essere anche testi  di tutt’altro stile, romanzi, poemi, epica e via dicendo.

Quest’occasione segna per lei un ritorno a Palermo e soprattutto un ritorno al Garibaldi: prevale la nostalgia o la voglia di ricominciare da zero?

La stagione  della trilogia di Cecchi  al Garibaldi è irripetibile. Siamo cambiati noi, è cambiata la città, la società, il mondo. Sono passati quasi vent’anni e sembra un soffio. Diciamo che la nostalgia, inevitabile, per quello che è stato, può essere uno dei colori con cui dipingere un quadro nuovo, fatto di tante altre sfumature: energia, ostinazione, passione, un po’ di follia e via all’infinito.

Crede che il periodo di occupazione abbia giovato a mantenere alta l’attenzione sul teatro e a conservarne vivo e attivo lo spazio? Cosa resta di quanto realizzato dai tanti artisti occupanti? Si manterrà con loro una qualsiasi relazione?

Nel caso particolare dell’occupazione non so dirle niente, quando  ho rimesso piede al Garibaldi  per il laboratorio  il teatro non era occupato. In generale la penso come Carlo Cecchi: occupare uno spazio  teatrale pubblico si può  (e in alcuni casi si deve ) fare, a patto che poi  davvero si apra alla società, diventi un luogo di confronto, dibattito, un’occasione per vedere spettacoli che magari non trovano circuito. E che sia gestito da gente che sappia, al riguardo, il fatto suo. Gestire uno spazio è molto più difficile che occuparlo. Possiamo occupare facilmente anche una prefettura, una stazione ferroviaria, la sede di un ministero.  Ma poi che ne facciamo?

Sembra quasi un paradosso quello di un teatro come il Garibaldi, che vorrebbe rinascere proprio quando si avvertono forti difficoltà di sopravvivenza in questo settore e proprio quando si indicano nelle istituzioni delle interlocutrici assenti o distratte…

Quando la nave cola a picco, anche una porta di legno della cambusa è una zattera. L’alternativa è affogare. Per quanto riguarda le istituzioni sono pessimista e  in proposito le cito un amara considerazione di Brecht: ” Dato che il popolo non gode più la fiducia del governo, sciogliamo il popolo”.  Creda non siamo lontani dal paradosso, in Italia.

Lei si è definito un attore “eccentrico”. Perché?

La definizione non è mia. Me lo disse   una volta Emanuele Banterle al tavolo di un ristorante a Milano. Intendeva credo, che non sapeva bene  in che categoria d’attori piazzarmi.  In effetti alla stabilità ho quasi sempre preferito la precarietà. Girovagare. Vedere e fare cose sempre diverse. Viceversa mi annoio. Non sono un attore conservatore. Non fisso un intonazione neanche a pagarmi. Un regista può anche cavalcarmi, ma senza sella e staffe. A pelo. Sono una bestia rara, da rodeo.

Quale regista  (teatrale o cinematografico) le ha dato di più sul piano umano e/o su quello professionale?

Carlo Cecchi. E con lui Ferreri, Bellocchio, Franco Rossi, Ronconi, Castri. E tutti quelli con cui ho lavorato. Anzi no. Quasi tutti. Ma non giudico mai dai risultati. Uno spettacolo può riuscire bene o male, poco importa. Ma l’intenzione deve essere onesta. C’è in giro gente davvero male intenzionata. Che non glie ne frega di niente e di nessuno. Che sa dire solo io, io, io. E gli altri? Li manderei volentieri  alla Cayenna, invece che a occuparsi di teatro.

Tra i prossimi progetti Donadoni prevede un paio di film, se andranno in porto, e per quest’estate l’inizio di un lavoro con Andrea Battistini sul Misantropo di Molière che, aggiunge l’attore, al Garibaldi non starebbe affatto male..