Angelo PIZZUTO- La moviola del tempo (“Al moulin rouge” stagione 20045)

 


La moviola  del tempo


IL GIOCO DEGLI SPECCHI

Carlo Delle Piane

“Al moulin rouge….”.drammaturgia di Sabrina Negri. Regia di Walter Manfrè. Musiche di Alessandro Nidi. Costumi di Mariella Visalli. Coreografie di Sabrina Camera. Interpreti principali:Carlo Delle Piane, Milvia Marigliano, Antonio Conte, Patty Rusem  Rossi, Elisa Ferrari. Milano, Teatro Manzoni (stagione 2004\05)

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Carlo Delle Piane, classe 1936, è arrivato prestissimo al cinema (che, trattandosi di un caratterista- estremo, ha più volte tentato di “scaricare”) e piuttosto tardi sui palcoscenici di prosa (dodici anni fa, se non erro, con il delicato e delizioso Ti amo Maria, a fianco di Laura Lattuada). Meglio tardi che mai, d’accordo. Ma – nonostante le grandi , riconosciute opportunità offerte all’attore romano da Pupi Avati e la storica Coppa Volpi a Venezia – resta il fatto che l’”ucronia” del Carlo Delle Piane attore di teatro (cosa sarebbe stato se lo avesse preferito al cinema, o se il teatro si fosse accorto di lui in anticipo….) sarà un mistero appassionante ma irrisolvibile.

Soprattutto per il diretto interessato, persona schiva e introversa, restia alle interviste e in dichiarata difficoltà nelle apparizioni fuori scena o fuori dal set. A proposito: chissà quale sarà la biografia privata di quest’attore saturnino e impenetrabile, apparso in una miriade di film del dopoguerra,  proletario “ stenterello” e dal setto nasale vistosamente deviato-donde quelle sue tonalità sinuose, sibilline, imbarazzate, sornioni che probabilmente hanno raggiunto la perfezione mimetica nel ciclo avatiano di Regalo e Rivincita di Natale e che già fermentavano in almeno due occasioni, Le strelle nel fosso e Una gita scolastica.

Da parte nostra continuiamo a ritenere che Delle Piane, nonostante l’apparente ingenuità, la disarmante distrattezza (che è solo un modo di camuffare la sua arte di acuto osservatore, delle cose e degli esseri umani), faccia bene a non offrire un grammo della sua vita in pasto ai “gossip” e che la sua lunga avventura dentro il grande circo di Cinecittà, o delle tournèe teatrali, resti avvolta dal mistero della persona, dalla legittima ritrosia con cui concede la sua amicizia e la sua disposizione ad accettare nuove scritture.

Ne da riprova questa egregia  interpretazione del personaggio di Toulouse- Lautrec che Delle Piane scolpisce con sobrietà, minimo sforzo, impenetrabile contegno nello spettacolo messo in scena (al Manzoni di Milano) da Walter Manfrè, senza velleità di confronto con i modelli cinematografici di John Histon e Regis Royer. Poiché diversi sono i mezzi e diversi sono i fini fra le esperienze cinematografiche e la più riflessiva operazione teatrale scaturita dalla drammaturgia di Sabina Negri.

Non potendo, né volendo competere con la macchina spettacolare delle grandi produzioni pre o post la rutilante invenzione della computer-grafica, Al Moulin Rouge… di Sabina Negri è, essenzialmente, un’operazione anti-decorativa e soprattutto non iconografica rispetto alla crepitante materia narrativa. La quale, pur concentrandosi sulla vicenda umana del pittore dandy e piccino, affonda la sua indagine “speculativa” e “speculare” su tutti i possibili parallelismi   fra i  tableaux vivants  della Bella Epoque e le insipide statuine (televisive, mondane, da fiera delle vanità e bestiario umano) del nostro presente mediatico. All’universo variopinto  e assordante  del Moulin Rouge fece seguito, com’è noto, la fine di un’epoca,l’avvento della rivoluzione industriale e la tumulazione  della mittleuropa-felix; al varco di questo millennio (di cui saremo effimeri, fuggevoli testimoni) straripa l’immenso enigma di una nuova barbarie planetaria , la  mostruosa  recrudescenza dell’aggressività interpersonale(esacerbata nella spavalda solitudine delle esemplari creature di Tarantino:spaventose), su cui si spalancano scenari da sonno della ragione o profezie da Nostradamus.

Ma di cui il teatro sa essere allusivo “sommelier”, esponendo- in metafora e fuor di metafora- la deformità fisica del pittore alla corrida di una sopravvivenza che, indifferentemente, può esagitarsi al ritmo del can-can o sprofondare al suono della movida. Mentre egli insegue l’impari confronto con l’aitante-cialtronesto Aristide Bruant o gli incongrui spasimi d’amore per la ballerina Goulue, in offerta al miglior offerente.

Anche questo è teatro della “crudeltà”.

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