Tre steward sull’orlo di una crisi di nervi. ‘Gli amanti passeggeri’ di Pedro Almodóvar

Gli amanti passeggeri

 

Regia e sceneggiatura di Pedro Almodóvar

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Un aereo diretto a Città del Messico dove hostess e passeggeri della classe economy dormono pesantemente…fin dall’inizio del film si capisce che qualcosa non va.  A causa infatti di un guasto al carrello, l’aereo è costretto a girare in tondo in attesa di fare un atterraggio di emergenza, dalle conseguenze incerte. I tre steward dell’equipaggio reagiscono all’ansia in modo differente: Fajardo (Carlos Areces) prega una divinità induista di proteggerli da qualunque sventura, Ulloa (Raul Arévalo) per far rilassare i passeggeri svegli decide di correggere con un po’ di mescalina la caraffa di “Agua de Valencia” e Joserra (Javier Càmara) che ha una relazione clandestina con uno dei piloti, cerca (inutilmente) di non bere e non drogarsi per mantenere il controllo della situazione.

Il film è un ritratto corale che tenta di raccontare spaccati di vita differenti (un banchiere ricercato, una diva del sadomaso, un killer, una sensitiva, una coppia in viaggio di nozze) dove difficilmente ci si affeziona a qualche personaggio, tranne  a quello di Joserra, che rispetto agli altri sembra costruito in modo più approfondito.  Almodóvar ritorna alla comicità dei doppi sensi che spopolava negli anni ’80 quando a Madrid si era diffusa la movida e la gente dopo decenni di dittatura voleva godere in modo spregiudicato e trasgressivo della nuova libertà. Ma oggi tutto è diverso, a cominciare dalla Spagna dove c’è la crisi ed esistono i matrimoni  gay  e  anche  Almodovar non è più il giovane artista punk e underground di allora, ma un regista sessantenne conosciuto in tutto il mondo. È un cinema con meno mordente rispetto a quello passato, che più che kitsch sembra appartenere ad un’estetica camp(emblematico a tal proposito l’estemporaneo balletto dei tre steward).

Nella metà degli anni ’90, con “Il fiore del mio segreto” Almodovar inaugura la fase dei melodrammi, che raggiunge la sua vetta più alta con “Tutto su mia madre” (1999). Ma sono “La Mala Educación”(2004) e “Gli abbracci spezzati”(2009) i film più rappresentativi della poetica almodovariana. Sono infatti opere straordinarie, frutto di una maturità espressiva che ha saputo creare uno stile raffinato dal gusto noir, pregno di tutto quel cinema hollywoodiano di cui si cibava Almodóvar da  adolescente. Ad  una struttura narrativa  forte corrispondono  personaggi  ambigui, che  sotto  l’impulso del  proprio  desiderio  erotico  sono pronti a compiere gli atti più aberranti. “La pelle che abito” (2011)  invece ha  rappresentato  un singolare esperimento dai risvolti fantascientifici (e inverosimili), bizzarro quasi quanto quello compiuto da Antonio Banderas nel film, che proprio ne “Gli amanti  passeggeri”  regala  un  cameo  con  Penélope  Cruz.

È evidente che dopo anni di cinema  ad  alta  densità  emotiva,  Almodóvar volesse concedersi una pausa, una sorta di divertissement. Ci auguriamo che questa parantesi duri poco e il regista ritorni a corde a lui più congeniali.