Teatro e vita: le ‘Ntuppatedde biancovestite cacciate dalla strada approdano al palco. Chiesa e donne in conflitto aperto a Catania

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Teatro e vita: le ‘Ntuppatedde biancovestite cacciate dalla strada approdano al palco. Chiesa e donne in conflitto aperto a Catania

@Anna Di Mauro, 6 febbraio 2024

Rompono gli schemi di un rito composto e solenne sciamando per le vie dove si assiepano i cittadini, in fervido omaggio alla santa. Serpeggiando come saette si incuneano nel bagno di folla della tradizionale festa di S. Agata, giovanissima martire cristiana del III secolo d.C., patrona di Catania dove, rifiutando le nozze con il pagano proconsole Quinziano, fu martirizzata e morì tra atroci tormenti in nome di un cristianesimo che la vide protagonista di una ribellione al potere maschile, trasgressiva per una donna in quel tempo. Oggi può diventare anacronistico perseguitare una donna. Ma così non è. Per la Chiesa cattolica il tempo si è fermato. Infatti le donne in questione sono sgradite palesemente dagli officianti e dalle autorità ecclesiastiche. Eppure non fanno nulla di male. Biancovestite, velate, in mano un papavero rosso, solcano la folla velocemente. Ma…Sono una presenza misteriosa e insolita, vivace e inquietante. E soprattutto sono tutte donne. E si notano. Ma cu su chissi? Chi sono? Si chiedono i fedeli, tra la sorpresa, l’indignazione, l’ammirazione.

Sono le ‘Ntuppatedde, gruppo di donne storico legato da secoli alla tradizione della festa religiosa di S. Agata, purtroppo scomparso ai primi del Novecento a seguito di disapprovazioni e reprimende ecclesiastiche. Sfiorate da sguardi accigliati, sorrisetti, complimenti, da qualche anno sono ritornate, rivelandosi a un pubblico disorientato, perlopiù ignorante della loro esistenza, il 3 Febbraio, giorno che precede la celebrazione dell’uscita della Santa. Camminano rapide e giocose controcorrente inalberando il papavero in abito da sposa costumato, il vestito più bello per una donna del nostro tempo. Sono una presenza leggiadra, garbata, ma… L’Arcivescovo, osteggiando esplicitamente la loro partecipazione, ha dichiarato ancora una volta anche quest’anno che non approva la loro presenza perché considera questo gruppo muliebre una manifestazione sconveniente, in contrasto con la sacralità della festa religiosa. In realtà storicamente queste donne già dal 1500 erano in strada durante i riti di S. Agata, una delle feste religiose più importanti d’Europa.

La loro presenza fino ai primi del Novecento è testimoniata anche da Giovanni Verga che nella novella La coda del diavolo le cita e le descrive vestite di scuro, coperte da un manto da cui trapela un occhio solo. Donne di ogni condizione, indossavano il vestito più bello e avevano il diritto di mascherarsi e stuzzicare amici e conoscenti esercitando appunto “il diritto di ‘Ntupatedda”. Già in estinzione ai tempi del Verga, scomparse per tutto il Novecento tra disapprovazioni ecclesiastiche e turbamenti repressivi, sono finalmente riapparse da un decennio, grazie alla ricerca appassionata e attenta al recupero della loro immagine, di Elena Rosa, Premio Ipazia -Performing Art 2020, co-fondatrice nel 2015 di Spazio Oscena, performer, sperimentatrice, regista sensibile e attenta alla fragilità dei corpi esclusi, in questo caso alla condizione femminile subalterna. Dal 2013 con un progetto performativo la Rosa ha reintrodotto nelle festività agatine la tradizione delle ’Ntuppatedde (tappate-nascoste). Le autorità ecclesiastiche hanno reagito pubblicamente disapprovando la loro esistenza.

La risposta alle posizioni sospettose e retrive della Chiesa sbandierate dal pulpito è stata quest’anno portare in scena le ‘Ntuppatedde con Ma cu su chissi? una performance artistica di grande impatto emotivo, abilmente ideata e diretta da Elena Rosa che nella narrazione ha sapientemente mixato con acume e sensibilità il linguaggio plastico dei corpi delle donne in scena, accompagnandolo con inserti di suggestivi video proiettati anche sui loro vestiti, dove affiorano immagini fantasmatiche e inquietanti delle ‘Ntuppatedde, riprese in mezzo alla folla durante la processione, commentate con gusto colorito dalle voci e dai volti dei catanesi raccolti in un decennio, che hanno reagito con sapidi commenti al passaggio delle biancovestite. Nella magica cornice del salone di Palazzo Biscari, nel cuore della città, poesia e ironia si alternano in un racconto delicato e appassionato della loro storia e della loro essenza, a cui la nobile arte del teatro conferisce valore e forza. In un susseguirsi di immagini esteticamente pregevoli ed emotivamente coinvolgenti, si snoda una fluida e catturante affabulazione per corpo, suono, immagine e parola, dove la bellezza e la malinconica grazia alternate a vibrazioni gioiose avvolgono gli spettatori, in un vortice di candore, braccia sinuose, chiome fluenti.

Il quadro iniziale le offre sparse in terra come fiori caduti, prone, schiene nude, immerse nella corolla del vestito che tra poco indosseranno in una lenta e ipnotizzante vestizione dalle movenze delicate, che si scompone in gesti ieratici accompagnati da una serie di suoni, tra cui spiccano ammiccanti schiocchi evocativi della degustazione delle lumachine, in dialetto ‘Ntuppatedde, da cui il nome delle biancovestite, celate come l’animaletto nel suo guscio. Il sorriso si mescola allo struggimento della ricerca del significato del loro essere donne escluse: vergini, spose, ribelli… Controcorrente con garbo e leggiadria, fantasmi di un sogno di libertà o femmine in carne ed ossa, queste creature velate con la loro testimonianza introducono il nuovo, il diverso, la solidarietà femminile, pur evocando i tradizionali colori della santa, il bianco e il rosso, quest’ultimo magicamente apparso in un fiore tenuto in mano nella scena finale, nella realtà gioiosamente agitato tra la folla come simbolo di sangue e passione nel tessuto umano dei fedeli, emozionato contenitore della “vara” che percorrerà per due interi giorni, il 4 e il 5 Febbraio (giorno della sua morte) le strade di Catania, portando le reliquie di S. Agata in ogni angolo della città.

Intrecciando tradizione e innovazione in una struttura articolata tra sacro e profano, la performance abbellisce e irrobustisce l’esistenza delle ‘Ntuppatedde, simbolo di libertà e solidarietà femminile che forse farà sentire meno sola Agata, questa donna-santa, protagonista di un efferato femminicidio, immersa in un oceano di fedeli, dove la nerboruta presenza maschile incombe decisamente, imperante e prevaricante, dagli officianti ai devoti, virili portatori in sacco bianco che trasportano a braccia le imponenti “candelore” o trascinano il pesantissimo fercolo trainato con il cordone.

Garrule Baccanti, rivalsa femminile in una realtà maschile schiacciante, queste donne, viste quasi come streghe, disturbano la festa semplicemente attraversando fisicamente la cerimonia. In realtà (è questo l’unico senso dell’esclusione) svegliano timori medievali, scuotono il torpore della tradizione, con grazia si affermano vessillo di una rivoluzione silenziosa e pacifica, forza gentile che la pièce ha magnificamente rappresentato tra gli applausi entusiastici del pubblico.

“MA CU SU CHISSI”
10 anni di ‘Ntuppatedde
Racconto performativo
di Elena Rosa
con Le ‘Ntuppatedde
Palazzo Biscari- Catania
3 Febbraio 2024

Author: Anna Di Mauro

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