Festival Maggio all’infanzia, Monopoli-Bari 2021

Festival Maggio all’infanzia, Monopoli-Bari 2021

@ Ludovica Radif (14-06-2021)

Segno di ripresa, non solo teatrale, si è svolta dal 26 al 30 maggio la XXIII edizione del Maggio all’infanzia, il festival diretto da Teresa Ludovico di Teatro Kismet, dedicato a bambini e ragazzi. All’insegna delle “Città Favolose”, educational tour comprensivo di visite artistiche guidate, sostenuto dal comune di Monopoli con la regione Puglia (programma FESR-FSE 2014-2020 per attrattori culturali e naturali, tutela dell’ambiente e promozione delle risorse), segnaliamo qui tre spettacoli proposti nella splendida cornice di sole e di mare di Monopoli.

1 – “A+A Storia di una prima volta” (di Giuliano Scarpinato, drammaturgia di Giuliano Scarpinato e Gioia Salvatori con Emanuele del Castillo e Beatrice Casiroli, dance dramaturg Gaia Clotilde Chernetich, video-foto Daniele Salaris, scene Diana Ciufo, luci-suono Giacomo Agnifili, produzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG, con il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi).

Ritratto senza veli di un abisso educativo, dove l’adolescenza si trova abbandonata senza risposte ai grandi interrogativi sul proprio sviluppo fisiologico mentre magari paradossalmente deve memorizzare per la scuola tante “inutili” risposte sugli autori del passato…A un preambolo onirico di proiezioni su schermo, di immagini di evasione fantastica, fa seguito per contrasto una carrellata di interviste a ragazzi sul tema del sesso: i cioè o simili espressioni per prender tempo annegano in pause di titubanza, a dichiarare l’imbarazzo. La curiosità non trova interlocutori all’altezza nella dimensione famigliare, dove il padre è assente e la madre invece è presente, ma come un controllore che cerca di evitare il peggio, senza domandarsi il perché di quanto sta succedendo al figlio o alla figlia. E tanto meno nell’ambito della scuola, così lontana, sembra, dal vissuto personale. Tra i compagni che vantano avventure e i filmetti porno rubati qua e là si muovono A. e A. (in qualche modo mantenuti significativamente anonimi e speculari) due ragazzi spontanei, un ragazzo e una ragazza che ambiscono a una maggiore autenticità, destinati a sentirsi estremamente soli, con un unico amico comune, la musica, capace di accogliere nel suo abbraccio e lasciarli esprimere i dubbi dell’animo. Galeotto un libro di fisica, i due si incontrano, alla convergenza di insicurezze estetiche al femminile e ansie da prestazione al maschile per percorrere così insieme quel tratto di strada che conduce dall’adolescenza all’intimità di coppia. Particolare riconoscimento alla regia e ai due protagonisti, che hanno interpretato con naturalezza e grazia le diverse facce della psicologia dello sviluppo sempre con un filo d’ironia e senza mai scadere nel volgare (ottima anche la scelta di costumi, non facile, come per esempio il completo intimo rosso, adattissimo a comunicare la freschezza non provocante della ragazza) muovendosi tra differenti codici di comunicazione, dallo sms scritto o vocale alla telefonata in sottovoce, al “telefono amico” della compagna di classe, al linguaggio del corpo, che si esibisce in un climbing quasi intendendo visualizzare le scalate della psiche, in un orizzonte sociale diviso tra gabbie istituzionali superate e schiaccianti e campi sterminati di libertà virtuale sfrenata. Dubito che il preservativo esaurisca la problematica…

2 – Punizione e riscatto, la dimensione teatrale de L’inganno (di e con Alessandro Gallo con la partecipazione di Ada Roncone, immagini Salvatore Marcello, video editing e luci Davide Pippo, progetto grafico Carmine Luino, assistente alla regia Miriam Capuano, produzione Caracò teatro, collaborazione di Luce narrante) racconta del proprio vissuto: quella prospettiva inedita, che non era prevista dal contesto esistenziale, la traiettoria di fuga, se vogliamo, che restituisce un’anima al pensiero e la dignità alla persona. Così Alessandro Gallo si pone in un coinvolgente monologo come un novello aedo che (ormai da anni apprezzato per il suo impegno civico anche nel mondo dell’editoria e della scuola a formare dei futuri testimoni) intenda celebrare un nuovo paladino, lontano dall’epica di imprese straordinarie, ma eroe della riappropriata quotidianità. Fuori da Napoli, già perché, benché sempre amata e indimenticata, la città natia è stata come depauperata dalla criminalità dei suoi più sfavillanti colori per assumere solo il grigio della solitudine e della rassegnazione. Un mondo triste, sconsolato quello da cui Alessandro è fuggito, dove sola compare luce di speranza la scuola, a cui si rivolge in un fittizio dialogo a posteriori, colmo di gratitudine e riconoscenza nella persona della professoressa. Egli immagina di ringraziarla delle opportunità ricevute di cambiare, di tentare una via alternativa a quella già tracciata per tutti dai pochi… La denuncia non si arresta alla dimensione sociale, va molto al di là e al di qua, si erge come una voce interiore prorompente, che interroga ciascuno e lo spettatore. Sì, perché l’accusatore punta il dito contro la propria famiglia e le mura delle prigioni sono le stesse in cui si reca come figlio, e mentre vorrebbe abbracciare persone care, non ne vorrebbe certo cancellare la pena, e dove l’affetto ha il sapore del disgusto…i sapori ritornano dall’infanzia intensi e restituiscono alla memoria l’essenza di un incontro tanto in un bacio rubato quanto negli sputi con cui tra ragazzacci di quartiere ci si conosceva e riconosceva. E dunque la denuncia assume l’intensità di una conversazione, uno sforzo liberatorio e liberante e si trasforma in missione civile contro il dilagante inganno.

3 – La “Ridiculosa Commedia” di Savino Maria Italiano, regia di Claudio De Maglio e Savino Maria Italiano, con Savino Maria Italiano, Olga Mascolo, Ivano Picciallo, Piergiorgio Maria Savarese, Disegno luci Olga Mascolo, Musiche originali di Piergiorgio Maria Savarese, Maschere di Zorba Officine Creative.

Già il titolo lascia presagire tutta la carica di una formula teatrale “vintage”, quella della commedia dell’arte superata poi dal genio goldoniano della caratterizzazione dei tipi. Come ritornando all’epoca in cui l’improvvisazione ad arte su canovaccio iniziava a stare stretta nell’intento di modificarne i meccanismi dall’interno, si fanno approdare le maschere tradizionali in un contesto contemporaneo (non a caso, la scena si svolge a Barletta, molto tempo dopo la disfida…). La cura della propria terra (Pulcinella-Friariello infatti si definisce padre tanto dei pomodori come delle patate che la sua famiglia coltiva con amore da generazioni) è l’occasione per descrivere lo scontro con la corruzione di politici (come il dott. Graiano) e imprenditori (Pantalon De Borghia). Il linguaggio scorre fluido e accattivante: l’attore individua tra il pubblico alcuni soggetti che a vario titolo possono essere interpellati e divenire così zimbelli improvvisati. La musica dal vivo introduce i vari temi della storia: ecco allora l’entrata di Florenzia, costretta a rientrare al nido perché rimasta senza soldi, e destinata a restare al centro degli interessi maschili intorno. Non è proprio una trama a snodarsi, non si duella a schermaglie di parole, ma ciascuno persegue una sua motivazione: il matrimonio programmato con il vecchio sarà alla fine sventato con uno stratagemma comicissimo e la figlia dell’imprenditore potrà conoscere l’ebbrezza di un’adesione convinta alle ragioni del cuore. Il capitano spagnolo viene tenuto ben celato dietro alcuni veli, con la scusa di un rito indiano fittizio, in modo da poter essere scambiato per il rivale in amore! Divertentissimo il dettaglio per cui il rituale prevede solo parole magiche, da ripetere all’ossessione in funzione asseverativa “sì, lo voglio molto”; l’uso dello spagnolo, anche se naturalmente adattato alle necessità di comprensione del pubblico, è stato un’apprezzabilissima nota filologica alle origini, dal momento che anche i comici dell’arte antichi dovevano farsi interpreti nelle differenti parlate locali dialettali in cui si trovavano a operare nei loro tour. Maschere dunque, affezionate alla loro anima originaria, ma totalmente rivitalizzate, e senza lasciare spazio alla noia.

L’impronta lasciata dagli spettacoli è quella di un profondo impegno, volto a dar voce a interrogativi a lungo inespressi, ad affrontare con coraggio un dialogo su temi prepotenti della vita, il tutto favorito dal clima familiare con cui le tematiche sono stati seguite e accolte, non soltanto in sala, ma anche nel tempo più libero tra arte e tavola.