Salomè o la dimenticanza del male – Pinacoteca del Museo Civico di Crema e del Cremasco, Centro culturale Sant’Agostino, 25 ottobre-24 novembre 2019

SALOMÈ O LA DIMENTICANZA DEL MALE

a cura di Edoardo Fontana

 

MUSEO CIVICO CREMA

 

Mostra prodotta e promossa da

Comune di Crema, Assessorato alla Cultura

Organizzazione

Museo civico di Crema e del Cremasco, responsabile Francesca Moruzzi

Mostra e catalogo

a cura di Edoardo Fontana

Coordinamento generale

Silvia Scaravaggi

Pannelli esplicativi e schede in mostra

Lisa Masolini, Silvia Scaravaggi, Edoardo Fontana, Giuseppe Virelli

Graphic design, progetto e realizzazione allestimento

S.F. Beggars Studio (Namur)

Realizzazione pannelli espositivi

Tipografia Trezzi (Crema), PCS (Campagnola Cremasca)

Comunicazione e promozione

Pernice Comunicazione (Bergamo)

Catalogo

Edizioni Museo Civico Crema

Service

Piccolofactotum (Montodine)

Prestatori

Libreria Antiquaria Pontremoli (Milano), collezione Simone Bandirali (Crema), collezione Emanuele Bardazzi (Firenze), collezione Franco Bianchessi (Crema), collezione Francesco Parisi (Roma)

Si ringraziano tutti i prestatori che hanno preferito restare anonimi

È rinata, dopo undici anni di assenza a Crema, Scripta, mostra mercato del libro antico e di pregio, una rassegna sempre apprezzata da collezionisti, visitatori e cittadini. Per l’occasione due esposizioni — ognuna accompagnata da un proprio catalogo — inaugurano questo nuovo appuntamento dedicato all’arte della grafica, dell’illustrazione e dell’incisione. La Sala Pietro da Cemmo del Centro culturale Sant’Agostino accoglierà le Incisioni di Agostino Arrivabene & Edoardo Fontana mentre nella Pinacoteca del Museo civico di Crema e del Cremasco la mostra Salomè o la dimenticanza del male sarà protagonista, attraverso un percorso tra Otto e Novecento e a partire da fonti letterarie, con volumi e illustrazioni originali. L’arte del libro, la passione per la carta, per la tipografia, la stampa e l’incisione, trova così uno spazio nuovo che saprà affascinare e diventare un momento imperdibile di Cultura a Crema. Infine si ringraziano qui la Libreria Antiquaria Pontremoli, Simone Bandirali, Emanuele Bardazzi, Franco Bianchessi, Francesco Parisi e tutti i prestatori che hanno preferito restare anonimi: senza il loro importante contributo la mostra Salomè o la dimenticanza del male non sarebbe mai stata realizzata.
Emanuela Nichetti
Assessore alla Cultura del Comune di Crema

 

SALOMÈ O LA DIMENTICANZA DEL MALE

di Edoardo Fontana

 

Sono i Vangeli a introdurci nella storia di Salomè e la vicenda, siamo attorno all’anno 32, è all’apparenza piuttosto semplice: figlia di Erodiade, era una adolescente quando, istigata dalla madre, chiedeva la decapitazione di un giovane prigioniero del tetrarca e patrigno Erode Antipa. Probabilmente fu proprio la concisione, tutto il non detto dei testi di Marco e Matteo a circondare di fascino tetro e sinistro la sua vicenda: «Elle demeurait effacée, se perdait, mystérieuse et pâmée, dans le brouillard lointain des siècles»1. Leggiamo ne Le antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio che «Erodiade, […] fu moglie di Erode, figlio di Erode il Grande […] Essi ebbero una figlia, Salome, dopo la quale, Erodiade, agendo contro la legge dei nostri padri sposò Erode, fratello di suo marito, dello stesso padre, che era tetrarca della Galilea»2, apprendendo così cosa in realtà avesse spinto Erode a imprigionare Giovanni. Un problema politico, di ordine pubblico. Giovanni, Iokanaan in ebraico, indignato, predicava contro di lui con parole aspre, parole che il popolo ascoltava, stregato dalla potenza della sua voce: «Non ti è lecito tenerti la moglie di tuo fratello»3; Erodiade voleva liberarsi di quel fardello e solo il timore di Erode, il quale «temeva Giovanni, conoscendolo per uomo giusto e santo, lo difendeva, molte cose faceva consigliato da lui, e lo ascoltava volentieri»4, le impediva di realizzare il proprio progetto. Infine «Erode, per il suo natalizio, imbandì un convito ai suoi capi e ai tribuni e ai maggiorenti di Galilea»5. Durante il baccanale, pregata dal patrigno, di certo invaghitosi di lei, Salomè ballò come s’addiceva a una principessa — ché 8 certamente la sua danza fu sensuale ma accorata e composta ed è forse in questo trattenuto suggerimento di amplesso il segreto che rese scandaloso il corpo dell’adolescente —, Erode, in preda ad una sorta di delirio erotico, «le promise con giuramento di darle qualsiasi cosa avesse chiesto»6. Salomè inaspettatamente domandò di avere «qui, in un vassoio, la testa di Giovanni il Battista»7. L’atto di decapitare, suggerito appena o descritto con truce violenza, la testa deposta sul piatto che Salomè aveva chiesto perché probabilmente disprezzava lordarsi le mani col sangue, saranno gli elementi associati a lei, segnali per riconoscerla nelle sue figurazioni, numerosissime proprio in relazione all’importanza che il culto per Giovanni il Battista, primo martire cristiano, s’era guadagnato. Fino al momento in cui l’eclissi del mito salomeico, «in gran parte imputabile alla perdita di ruolo e di significato della pittura di soggetto sacro»8, non trovò nuovo humus nel decadentismo letterario e artistico del secondo Ottocento. E la sua ricomparsa fu plateale: l’iconografia antica è rinnovata e superata, reinterpretata scavandone la psicologia alla luce di una nuova ammirazione che trasforma il mero medium della divinità in una eroina talvolta squallida, spesso invece affascinante e attraente seppur nella sua perturbante natura. Trait d’union sono di certo i tre dipinti di Pierre Puvis de Chavannes, realizzati tra il 1856 e il 1869, così come il poemetto Atta Troll di Heinrich Heine (1846) 9, che ne anticipano una lettura più moderna. In pochi anni, durante la seconda metà dell’Ottocento, l’ideale femmineo si era evoluto dalla visione melanconica dei Preraffaeliti, attraverso la sublimazione della bellezza terribile cantata nei poemi di Baudelaire, in un nuovo immaginario che la incarnava ora nella femme fatale, ora nella Belle Dame sans Merci 10. Da un lato una certa misoginia pervade il mondo dell’arte e della letteratura, dall’altro la figura femminile torna a incarnare la strega, di certo non più l’orrenda vecchia del Medioevo, in grado di condurre ai misteri ctonii. In questo contesto si configura la nuova immagine di Salomè. È Huysmans, che descrivendo nel quinto capitolo di À rebours i quadri di Gustave Moreau con interesse maniacale e attraverso le parole di Des Esseintes, a presentare questa novella Salomè, «conçue en dehors de toutes les données du Testament […] surhumaine et étrange» divenuta «la déité symbolique de l’indestructible Luxure, la déesse de l’immortelle Hystérie, la Beauté maudite, […] la Bête monstrueuse, indifférente, irresponsable, insensible, empoisonnant, de même que l’Hélène antique, tout ce qui l’approche, tout ce qui la voit, tout ce qu’elle touche».11 Se l’acquerello L’apparition di Moreau (1876) si prefigura come una risposta ormai totalmente avulsa da qualunque agiografia cristiana e si contrappone agli ultimi fiacchi tentativi di contenerne i confini religiosi delle versioni di Puvis de Chavannes che rappresentano Giovanni inginocchiato e in eroica attesa del martirio, mentre in disparte Salomè sembra comandarne l’esecuzione, è solo con Henry Regnault (1870) che finalmente la figlia di Erodiade appare da sola, senza alcun simbolo palese a chiarirne l’identità. Basta il titolo a oggettivizzarla in quel percorso che da mero strumento senza nome — nei Vangeli — la assurge a protagonista assoluta della scena. Basta un bacile in metallo, un pugnale moresco e un viso sprezzante, incorniciato da una folta capigliatura riccia, a riportarci a lei. Sebbene altri l’abbiano scelta come soggetto, cito solo Stephane Mallarmé 12, Jules Laforgue 13, Joris-Karl Huysmans già 10 menzionato e più tardi Eugénio de Castro 14, certamente sono Gustave Flaubert e Oscar Wilde gli autori dei due testi seminali nella cultura fin de siècle che riscriveranno l’iconografia e la psicologia di Salomè. È impossibile considerare il proliferare dell’immagine dell’eroina negativa senza analizzare Hérodias 15 scritta nel 1877 e Salomé. Drame en un acte 16 del 1893: perché la sua figura si nutre come poche altre di un substrato letterario inscindibile. Non è un caso che questi due testi siano stati illustrati da artisti spesso famosi quali Aubrey Beardsley e Lucien Pissarro, John Vassos, Alastair, Frantisek Kobliha e Manuel Orazi oppure più appartati ma non meno acuti come Markus Behmer, Louis Jeau, Alméry Lobel-Riche e William Walcot, per dirne, badate, solo alcuni. Salomè descritta, nella perturbante novella di Flaubert Hérodias, come veicolo del male, danza per Erode Antipa «comme les prêtresses des Indes, comme les Nubiennes des cataractes, comme les bacchantes de Lydie». Ed è in questa danza che la giovinetta si trasfigura. Così «sans fléchir ses genoux en écartant les jambes, elle se courba si bien que son menton frôlait le plancher»17. Attraverso di lei passa un’onda che la tramuta in demone inconsapevole, le movenze di una creatura elegantemente ferina, flessibile ed erotica. Di questo passaggio flaubertiano certamente si ricorderà Ezio Anichini illustrando la copertina di «Scena Illustrata» nel 1921 con una figura che richiama i modelli di Léon Bakst: la testa all’indietro in una innaturale torsione del collo si piega a scrutare quella del Battista contornata di oro zecchino e sospesa nel vuoto. Anche Edmund Dulac (1912) sceglie di coglierla mentre danza e lo fa con il suo inconfondibile stile fiabesco. Sottolinea però la natura di quell’atto rappresentandola con seni scandalosamente nudi. In una sottile veste ella «tournait toujours; les 11 tympanons sonnaient à éclater, la foule hurlait» ed Erode la chiama a sé, in preda a una sorta di incontenibile delirio erotico: «Viens! viens! Tu auras Capharnaiim! la plaine de Tibérias! mes citadelles! la moitié de mon royaume!»18. E Salomè non chiederà metà del suo regno. Perché la sua voluttà è priva di mire, agisce senza alcun desiderio: vi è una sorta di banalità del male — che d’altronde anche nella successiva pièce di Wilde sarà presente, sebbene diversamente connotata — in grado di richiamarci alla memoria o di profetizzare un male più grande che qualche anno più tardi avrebbe portato alla fine di ogni certezza attraverso le nefandezze del nazismo. E la banalità del male compiuto è palese nella dimenticanza sciocca di Salomè che con voce infantile, blesa, risponde al patrigno che la incalza: «je veux que tu me donnes dans un plat, la tête…» si ferma, per un istante, nemmeno ricorda chi farà giustiziare con la noncuranza di una apatia pericolosa, infine le torna in mente il nome di quel santo che ha sentito pronunciare più volte e lo condanna a morte con indifferenza glaciale, chiedendo al tetrarca la sua testa, «la tête de Jaokanann!»19. Nel finale di Hérodias con stretto e crudele realismo, della testa, privata di qualunque sacralità, spiccata dal corpo di Giovanni e orrendamente deturpata durante l’esecuzione — «La lame aiguë de l’istrument, glissant du haut en bas, avait entamé la mâdcoire»20 — resta solamente il peso sulle spalle di coloro che la stanno trasportando… «Come elle était très-lourde, ils la portaient alternativament»21.

In altro modo ‘asessuata’ è la Salomè di Wilde. Passionale e folle, si racchiude nella propria verginità, in un amore deprivato della sensualità che dapprima s’incarna nella voce spaesante di deliri visionari proveniente dal fondo di una cisterna, dove il Battista è segregato, e quindi erotizza il suo corpo nudo, 12 «a column of ivory set on a silver socket. It was a garden full of doves and of silver lilies. It was a tower of silver decked with shields of ivory»22 che non si fa possedere. Poi il nero braccio del boia «the arm of the Executioner, comes forth from the cistern, bearing on a silver shield the head of Jokanaan»23; l’amore trova compimento attraverso uno sguardo persistente che volge Jokanaan in altro da sé, un alter ego di cui nutrirsi, «I am hungry for thy body; and neither wine nor fruits can appease my desire. What shall I do now, Jokanaan? Neither the floods nor the great waters can quench my passion»24. Similmente, nella sua nota all’edizione del 1907, Robert Ross riporta: «Wilde used to say that Salome was a mirror in which everyone could see himself»25. L’atto sessuale desiderato e sottinteso si tramuta in brama di possesso e di morte. Salomè afferma immediatamente che la sua richiesta: «I would that they presently bring me in a silver charger […] The head of Jokanaan»26 abbia l’unica motivazione del proprio piacere. La reiterazione estenuante di quel «voglio la testa di Jokanaan», una cantilena frivola e svuotata di senso che replicherà ai tentativi del patrigno di condurla alla ragione è l’esatta incarnazione di un capriccio fanciullesco che si tramuta però nell’ineluttabile. «Well! I will kiss it now. I will bite it with my teeth as one bites a ripe fruit»27, così «ottenuta la testa, vi incolla le labbra nel suo amore di vampiro» scrive Mario Praz sottolineando come questa idea di amore mostruoso non fosse presente in Flaubert «e neanche nelle pagine di A Rebours sui quadri di Moreau»28. Aubrey Beardsley ben raffigurò questo necrofilo e insano desiderio realizzando la tavola che dapprima apparve sulla rivista «The Studio» (1893) e quindi, edulcorata e privata dell’epigrafe scandalosa «J’ai baisé ta bouche / Jokanaan / J’ai 13 baisé ta bouche», finì l’anno dopo, insieme ad altri dodici licenziosi disegni — saranno di più nelle successive ristampe — nella prima edizione inglese di Salomé 29, fortemente voluta dall’editore di Oscar Wilde, John Lane. Sicuramente il gusto del giovane artista si discostava dall’impressionismo del poeta irlandese per appropriarsi di quella sua tipica sintesi priva di prospettiva e costruita sulla sovrapposizione dei piani: in Climax, a esempio, «la diabolica danzatrice […] sembra galleggiare in una soluzione liquida»30 annegata in una bizzarra pletora di decorazioni giapponiste. Comprendendo quanto grandi fossero, fino a fargli temere di esserne oscurato, le immagini concepite da Aubrey, Wilde lo accusò – ne è conferma una lettera inviata a Lane − non solo per invidia, di aver travisato, con la sua poetica, il dramma, a proprio dire bizantino, per disegnare invece algide e stravaganti architetture giapponesi 31. Beardsley segnava qui un punto di non ritorno nella storia dell’illustrazione: vuoi perché seppe sfruttare al meglio la nuova tecnica di riproduzione fotomeccanica messa a punto da Carl Hentschel (1864-1930), tecnica detta line-block print che superava per precisione e finezza la xilografia su legno di testa fino allora utilizzata per la resa di disegni al tratto; vuoi per il suo coraggio compositivo, ormai capace di trasfigurare ogni lieve grafismo. Nei primi anni del Novecento, Richard Strauss dalla tragedia di Wilde trasse una fortunata opera eseguita per la prima volta nel 1905 32 . Quasi contemporaneamente fu stampata a Roma Salomè nella leggenda e nell’arte di Guido Vitaletti (1908) 33 — al frontespizio una xilografia di Giovanni Costetti — e, quattro anni dopo, a Monaco, la monografia di Hugo Daffner 34 che comprendeva invece l’iconica incisione a più legni di 14 Emma Dessau Goiten e l’acquaforte di Wilhelm Thöny; i due testi analizzavano l’immagine di Salomè e ne storicizzavano i canoni, dandoci ulteriore riscontro della moda che ormai stava volgendo al termine, esaurita la vitalità di questo emblema del femminile, che piano sarebbe di nuovo svanito nelle pieghe del tempo — come tutto questo universo decadente ed estetizzante — lasciando il posto a più importanti istanze. Rari e sparsi ritratti ancora le saranno dedicati dagli artisti, spesso illustrazioni di volumi, eccezionalmente opere autonome come la piccola Salomè barbara, perversa e suggestiva di Bruno Burattini che «con la movenza languida dei suoi fianchi scosta negligentemente dalla vita il precursore di un nuovo mondo» 35.

Note

  1. J.-K. [Joris-Karl] Huysmans, A rebours, avec une préface de l’auteur écrite vingt ans après le roman, Paris, Bibliothèque Charpentière, 1912, p. 73.
  2. Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, a cura di Luigi Morali, Torino, Utet, 2006, vol. II, p. 1129 (Libro XVIII, 136-137).
  3. Marco 6, 18. La versione è di Corrado Alvaro, Venezia, Neri Pozza e Istituto Tipografico Editoriale, 1950, p. 114.
  4. Marco 6, 20. Ivi.
  5. Marco 6, 21. Ivi.
  6. Matteo 14,
  7. La versione è di Nicola Lisi, Venezia, Neri Pozza e Istituto Tipografico Editoriale, 1950, p. 45. 7. Matteo 14, 3. Ivi.
  8. Eleonora Bairati, Salomè. Immagini di un mito, Nuoro, Ilisso, 1998, p. 151. L’importante volume è un riferimento imprescindibile per l’analisi iconografica della figura di Salomè nella storia dell’arte.
  9. Heinrich Heine, Atta Troll. Ein Sommernachtstraum, Hamburg, Ludwig Giese, 1846. 15
  10. Per un circostanziato inquadramento del fenomeno si veda il volume curato da Emanuele Bardazzi, La vergine e la femme fatale. L’eterno femminino nell’immaginario grafico del Simbolismo e dell’Art Nouveau, Firenze, Edizioni Polistampa, 2017. Il libro è corredato da un saggio di Annalisa Proietti Cignitti, L’Enfant Fatale, che approfondisce la fortuna della figura di Salomè tra Inghilterra e Francia sul finire dell’Ottocento.
  11. Huysmans, 1912, op. cit., p. 74.
  12. Il poema, iniziato nel 1864 e rimasto incompiuto, ebbe una genesi molto complicata e consta sostanzialmente di tre frammenti, Overture ancienne, Scène e Cantique de Saint Jean. La Scène esce sul «Parnasse Contemporain» nel 1869 mentre il Cantique vede la luce solo nel 1913 con l’edizione delle Poésies (Paris, Nouvelle Revue Française). Era nelle intenzioni dell’autore una poetica che egli stesso descrive come del tutto nuova e «capace di dipingere, non la cosa ma l’effetto che essa produce».
  13. [Jules] Laforgue, Moralités légendaires, Paris, Librairie de la Revue Indépendante, 1887.
  14. Eugénio de Castro e Almeida, Salomé e outros poemas, Coimbra, Livraria Moderna de Augusto d’Oliveira, 1896.
  15. Gustave Flaubert, Hérodias, in Trois Contes. Un Coeur simple; La legend de Saint-Julien l’Hospitalier; Hérodias, Paris, G. Charpentier Éditeur, 1877.
  16. Oscar Wilde, Salomé. Drame en un acte, Paris, Librairie de l’Art Indépendant; London, Elkin Mathews & John Lane, 1893.
  17. Flaubert, 1877, op. cit., p. 240.
  18. Ivi, p. 241.
  19. Ivi, p. 242.
  20. Ivi, p. 246.
  21. Ivi, p. 248.
  22. Oscar Wilde, Salomé, a Tragedy in One Act Translated from the French of Oscar Wilde, with Sixteen Drawings by Aubrey Beardsley, London, John Lane, The Bodley Head-New York, John Lane Company, 1907, p. 63. Si è preferito qui fare riferimento alla traduzione inglese 16 attribuita a Lord Alfred Douglas, ma ampiamente rimaneggiata dal suo stesso autore, per il volume illustrato da Aubrey Beardsley.
  23. Ivi, p. 62.
  24. Ivi, p. 65.
  25. Robert Ross, A Note on Salome, in Wilde, 1907, op. cit., nota 1, p. XV.
  26. Wilde, 1907 op. cit., pp. 53-54.
  27. Ivi, p. 63.
  28. Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Firenze, Sansoni Editore, 1976, pp. 222-223.
  29. Oscar Wilde, Salomé, a Tragedy in One Act Translated from the French of Oscar Wilde, pictured by Aubrey Beardsley, London, Elkin Mathews & John Lane; Boston, Copeland & Day, 1894.
  30. Giuseppe Virelli, Aubrey Beardsley. L’Enfant terrible dell’Art Nouveau, Argelato, Minerva, 2018, p. 62.
  31. La lettera di Oscar Wilde all’editore John Lane è riportata in Philippe Jullian, Oscar Wilde, Torino, Einaudi, 1972, p. 190.
  32. Richard Strauss, Salome, Drama in einem Aufzuge nach Oskar Wilde’s gleichnamiger Dichtung in deutscher Übersetzung von Hedwig Lachmann, Musik von Richard Strauss, Berlin, Adolph Fürstner, 1905.
  33. Guido Vitaletti, Salome nella leggenda e nell’arte, Roma, Bernardo Lux, 1908.
  34. Hugo Daffner, Salome. Ihre Gestalt in Geschichte und Kunst, Dichtung, Bildende Kunst, Musik, München, Hugo Schmidt, 1912.
  35. Giuseppe Vannicola, Introduzione, in Oscar Wilde, Salome. Versione di G. Vannicola, Roma, Bernardo Lux, 1908, citata in Vitaletti, 1908, op. cit., p. XXVI.