La sacra rappresentazione della gioia. Pippo Delbono tra fiori e dolori allo Stabile di Catania

La sacra rappresentazione della gioia. Pippo Delbono tra fiori e dolori allo Stabile di Catania

@ Anna Di Mauro (08-03-2020)

Catania – Dedicato a Bobo, recentemente scomparso, amico e inseparabile compagno di teatro, liberato e portato via dal manicomio di Aversa in cui Delbono lo aveva trovato nel 1995, lo spettacolo “La Gioia” suscita inevitabili emozioni, provocate con arte consumata dall’attore e regista che domina in scena, in platea, con il suo toccante corteo di uomini e donne provati dalla vita, accennata singolarmente, per poi confluire in esplosive scene corali, in questo breve e intenso viaggio sentimentale verso la gioia. La sua strada è cosparsa di traumi, ferite, perdite incolmabili, follia, ma è proprio in questi buchi che si cela la possibilità di assaporare le gocce di piacere che il cammino della vita ci offre. Saper stare insieme, al di là delle diversità, dei limiti, delle avversità, per portare in scena e nella vita un invito ad “essere contenti”, di ciò che siamo, di ciò che abbiamo. La tristezza può imprigionarci e chiuderci alle relazioni umane, all’entusiasmo, ma quelle sbarre possono svanire con il contatto umano sincero e semplice, con il tocco magico dell’arte, l’arte della gioia, per citare Goliarda Sapienza. E’ nel dolore condiviso che può spuntare il fiore prezioso ed effimero della gioia. Stravolgendo Leopardi, la vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la gioia. Questo è ciò che emerge dalla linea drammaturgica dell’opera di Delbono, più che una recita un rito, più che mai autobiografica e biografica, in un frammentario susseguirsi di scene-quadri senza una linea narrativa precisa, piuttosto delirio onirico, che evoca il monologo interiore di Joyce, dove il simbolismo formale sottolinea frammenti di verità celate nel sorriso di un clown, nei vasi fioriti che magicamente spuntano e si moltiplicano, innaffiati da un surreale giardiniere, ex barbone. Con lo stile forte e ridondante che gli è congeniale Delbono, pluripremiato ma anche denigrato per il carattere eversivo della sua drammaturgia, impone la sua concezione artistica di un teatro vivo, dove le passioni e i pensieri trovano una sostanza insieme allo spettatore, chiamato a condividerli in platea, spazio scenico dilatato del palco. Sull’onda di suggestioni musicali coinvolgenti partecipiamo alla festa di compleanno di Bobo, a un momento corale di follia scatenata, alla memoria dei naufragi evocata da mucchi di vestiti che un infaticabile e silenzioso scenografatore cosparge incessantemente sulla scena, a un mare poetico evocato da bianche barchette di carta disseminate una ad una dall’uomo alacre e silente che nel trionfante finale inonderà il palco di un tappeto floreale, mentre dall’alto scendono ghirlande pendenti in coreografiche cascate, opera di Thierry Boutemy, che ricordano il celebre quadro “Le rose di Eliogabalo” di Alma-Tadema, trasformando il palco in un tripudio. La gioia esplode nel turbine floreale, una gioia speciale che scaturisce dall’intrecciarsi dei dolorosi temi personali con l’input esistenziale di un percorso verso la condivisione della solitudine, del lutto, della tristezza, della follia, della malattia. In questo delicato omaggio a Bobo, morto durante la preparazione dello spettacolo, Delbono e i suoi compagni di teatro portano coraggiosamente in scena le loro ferite, con dignità, con fierezza, offrendo il loro corpo e la loro anima offesa al riscatto dell’arte condivisa. L’artista dirige con la sua voce microfonata o in playback questa singolare orchestra umana con provocante umiltà, dominando la scena da protagonista, creatore incontrastato di immagini suggestive, di emozioni senza filtri, di sfumature poetiche, di musiche, di atmosfere rarefatte o incandescenti. Ora presenta, ora danza il tango (il tango è un pensiero triste che si balla, ma ancora ha preso poche lezioni), ora si commiata dalla mamma (è l’ultima volta che ne parla) con sprazzi di bonaria ironia, per poi citare le sagge parole di Buddha, mescolando sacro e profano, mentre il gorgoglio della voce infantile fuori campo di Bobo invade la scena con la sua travolgente tenerezza. Un mix sorprendente che come sempre può entusiasmare o turbare, suscitando consensi e dissensi, ma certamente non lascia indifferenti, segnando una traccia significativa nella drammaturgia contemporanea.

LA GIOIA

Compagnia Pippo Delbono uno spettacolo di Pippo Delbono con con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni P arenti, Pepe Robledo, Grazia Spinella e con la voce di Bobò coproduzione Emilia Romagna Teatro Fondazione – Teatro Nazionale, Théâtre de Liège, Le Manège Maubeuge – Scène Nationale