Francesco SEVERINI – Vagabolario “D” (“Il bambinello delle castagne”)

 

Io scrivo


Vagabolario “D” – Il bambinello delle castagne


Francesco Severini, Capolettera “D”, gouache, china e tempera su carta, cm 25×25


 

Delicata leggenda che si racconta a Castagnè San Vito.

Esattamente nella notte in cui, a Betlemme in Palestina, stava per nascere il Salvatore, in una casupola della Val dei Mòcheni ci si stava preparando per la povera cena: soltanto una ciotola di latte caldo, accompagnato da un po’ di pane di segala. C’era molta tristezza, in quella famigliola, poiché ormai da due giorni s’erano perse le tracce del bue e dell’asinello di casa. Erano spariti nel nulla, di notte, spingendo col muso la porta della stalla lasciata imprudentemente aperta! – Chissà – sospirò il capofamiglia, mangiando controvoglia un cucchiaio di pane e latte, – forse la terribile strega Graostàna proprio in questo momento sta banchettando alle nostre spalle…

Non poteva immaginare, l’uomo, d’aver còlto quasi nel segno! Il bue e l’asino, infatti, stavano tranquillamente scendendo lungo la stradina che conduceva alla piana di Pèrgine, quando la strega li vide dall’alto del cielo e fece per gettarsi famelica su di loro. Certamente li avrebbe afferrati e portati chissà dove, se non fosse intervenuta una stella cometa che scese dal cielo illuminando d’oro la valle intera. – Perfida Graostàna – disse la stella, – il tuo tempo è terminato! Questo bue e questo asinello sono chiamati a Betlemme, per riscaldare il figlio del Signore che sta per venire al mondo. Loro, adesso, verranno con me, mentre la tua ombra sprofonderà al centro della Terra e lì brucerà in eterno!

La luce dorata si spense a poco a poco e la valle ripiombò nell’oscurità. Nessuno udì l’urlo tremendo della strega che precipitava in un foro senza fine e nessuno vide il bue e l’asinello, a cavalcioni della coda della cometa, volare lontano, verso sud… E Gesù Bambino aprì gli occhi, vide il volto sorridente della Madonna, quello bonario di San Giuseppe, la grotta in cui i suoi genitori s’erano rifugiati, i grandi occhi rotondi di un bue e le orecchie enormi di un asinello. Alcuni giorni dopo fecero visita alla santa famiglia i tre re Magi e la notte dopo tornò a splendere in cielo la grande stella cometa. Fu allora che l’asino e il bue uscirono dalla grotta e puntarono i loro musi verso settentrione. – Dobbiamo fuggire, mia cara – disse Giuseppe a Maria. – Quelle due buone bestie ci stanno indicando la direzione da prendere. Coraggio: il pericolo sta per piombare su nostro figlio e noi dobbiamo partire!

Guidati dal bue e dall’asinello, attraversarono la Galilea e la Fenicia, giunsero in Siria, poi in Asia Minore, in Tracia e nella Mesia, toccarono l’Illirico e la Pannonia, finché si trovarono nella grande pianura veneta. Percorsero a ritroso il corso del fiume Brenta e, arrivati alle Lòchere, in vista del lago di Caldonazzo, si fermarono a riposare. Gesù Bambino era molto stanco, ma non piangeva, attendendo paziente che i suoi genitori pensassero a lui. Maria lo avvolse in una coperta, se lo strinse al seno e lo cullò cantando sottovoce una dolce nenia. Poi si addormentò anche lei.

– Maria… Maria, svégliati! Era la voce del suo buon Giuseppe. – Cosa succede? – Ascolta… li senti quei rumori? Sono i soldati di Erode che ci hanno seguiti fin quassù! Dobbiamo correre a nasconderci! – E il bue… l’asinello? – chiese la Madonna. – Sono fuggiti nel bosco! Proprio nell’istante in cui, in lontananza, apparvero le prime torce degli inseguitori, Giuseppe spinse Maria e il Bambino nell’incavo di un vecchio castagno quasi marcio. Poi entrò anche lui e cercò di rannicchiarsi per non essere visto. Ed ecco il miracolo inatteso: la corteccia dell’albero piano piano avvolse la santa famigliola e il tronco si chiuse ermeticamente! – Qui non c’è nessuno, maledizione! – berciò da vicino il primo dei soldati che giunse sul posto. – Eppure sento ancora la puzza del bue e dell’asino – replicò un altro per tutta risposta. – Non devono essere lontani: su, forza, andiamo!

Prima di partire, però, il capo di quella soldataglia, preso da rabbia improvvisa, incoccò una freccia mandandola a piantarsi proprio nel castagno che stava proteggendo i fuggiaschi. E la punta della freccia, conficcatasi in profondità, andò a pungere un ditino di Gesù! Il figlio di Dio non pianse, mentre Maria succhiò a lungo la piccola ferita per fermare il sangue. Quando Giuseppe, dopo alcune ore, ritenne che il pericolo di essere fatti prigionieri fosse cessato, cominciò a spingere e il tronco docilmente si riaprì, lasciando libera la sacra famiglia che svanì nella notte.

Ma i miracoli non erano terminati: come per incanto, il vecchio albero riprese vigore e diede frutti ancora per molti e molti anni. Non solo: da allora e fino a oggi tutte le castagne di Castagné conservano il ricordo di quella notte lontana. Se voi aprite un riccio, facendo attenzione a non pungervi, troverete all’interno due o tre belle grosse castagne, tutte con un puntino rosso all’apice. Naturalmente è il sangue di Gesù Bambino! E il bue e l’asinello? Per la gioia dei loro poveri padroni, fecero ritorno al paese, rientrarono nella stalla e ripresero a mangiare fieno e biada come se nulla fosse successo.


da Mauro Neri, Mille leggende del Trentino, Trento, ed. Panorama, 1997


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