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Agata MOTTA- Viaggio alla ricerca di un tempo da ritrovare (Davide Enia alla Sala Strehler di Palermo)

 

Lo spettatore accorto

 


VIAGGIO ALA RICERCA DI UN TEMPO DA RITROVARE

L’Odissea raccontata da Enia al Biondo di Palermo

Davide Enia e il progetto “Odissea” di Sergio Maifredi alla Sala Strehler del Biondo di Palermo

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La parola manipolata ad arte per raggiungere un fine, la parola come conoscenza e come inganno, la parola veritiera e quella adulatoria, le parole per un racconto, anzi, per il racconto per eccellenza con il suo corredo di seduzioni narrative. Si tratta praticamente di un invito a nozze per Davide Enia che dell’uso delle parole ha fatto il suo mestiere e che, dunque, indossa Odissea. Un racconto mediterraneo – il progetto di Sergio Maifredi che realizza una narrazione a più voci del poema omerico – come il più comodo dei vestiti, come le ampie camicie che indossa sotto i riflettori.

Alla Sala Strehler del Biondo giunge dunque una porzione dell’ampio progetto di Maifredi, che ne cura anche la regia, e che affida a Davide Enia la riscrittura dell’XI canto, quello della discesa agli inferi compiuta per incontrare il vate Tiresia. Enia naturalmente ne fa il “suo” racconto e vi inserisce tante digressioni per tenere a debita distanza il rischio di un’esposizione scolastica dell’argomento e per mantenere alta l’attenzione degli spettatori. La prima di queste digressioni spiega l’importanza capitale della discesa nel mondo dei defunti che si configura sempre come un atto di fondazione di qualcosa di nuovo.

In sostanza il viaggio di Ulisse si innesta su quello precedentemente compiuto da Orfeo nel tentativo di riottenere la moglie Euridice: dalla disperazione di Orfeo nascono il canto e la poesia, dagli incontri di Odisseo con le ombre dei defunti nasce il racconto. Da ognuno di questi incontri deriva una consegna di conoscenza e, tra tutte, la più importante, la predizione del futuro, avviene per bocca di Tiresia: prima la certezza del ritorno ad Itaca e poi della morte dolce in mare. Eccola l’altra digressione, questa volta è più ampia, una sorta di biografia del personaggio, singolarissimo per la condizione ambigua della sua doppiezza sessuale, che si riaggancia con un’abile contorsione narrativa al Sermone del fuoco di Eliot che, ne La terra desolata, altro poema fortemente visionario, inserisce il vate come testimone di uno squallido incontro tra amanti in un contesto di corruzione fisica e morale (la grande guerra è per Eliot  alle spalle con il suo carico di morte e devastazione).

Chi incontra, dunque, il nostro protagonista oltre Tiresia, dal quale riceverà le sagge istruzioni d’uso per il proseguimento del suo viaggio? Anzitutto gli si fa incontro Elpenore, l’amico morto da poco che implora una degna sepoltura, poi la madre che istilla, con la sua dolente figura, un moderno “senso di colpa” (troppo ghiotta l’occasione per non concedersi una stoccata sulla concezione mediterranea della maternità e sulla psicanalisi) nell’attonito figlio ancora ignaro del suo trapasso, quindi Agamennone, ancora alterato per il tradimento perpetrato dalla moglie Clitennestra, e Achille, prototipo del monolitico eroe classico che aderisce al senso del dovere senza tentennamenti e, infine, il suicida Aiace. All’infelice eroe viene concessa la “compassione” di parole risarcitorie, si rievoca la vile contesa sul possesso delle armi di Achille e l’inganno di Ulisse e poi ancora la vergogna per la strage d’armenti e il conseguente suicidio.

Nonostante le parole di miele usate nel tentativo di restituire onore al valorosissimo rivale, Odisseo da lui avrà come ultima consegna un disdegnoso silenzio. Ecco che il silenzio si configura come condizione essenziale del racconto e da esso nasce anche l’ascoltatore, colui che elabora e fa propri gli elementi della narrazione. Enia sceglie di raccontare prevalentemente in lingua italiana, ma non rinuncia al suo dialetto, piuttosto lo piega ai suoi scopi, lo porge per alleggerire e rinfrancare o lo contorce restituendolo alle origini del “cuntu”, come nella frantumata e singhiozzante riesumazione del massacro nella reggia di Agamennone, in cui le parole si tramutano in sillabe ritmiche che ne scolpiscono lo strazio.

Enia porta insomma allo scoperto un Odisseo che appartiene a noi contemporanei, sa essere insieme mentitore, viaggiatore, seduttore, curioso, e – cosa che lo rende talmente grande da suscitare l’ammirazione incondizionata di Dante (nonostante lo collochi all’Inferno come orditore di frodi) – avido di conoscenza, quella per la quale ha intrapreso il viaggio negli Inferi. Con lui nasce il personaggio sfaccettato dalle tante contraddizioni, con lui muore l’eroe tutto d’un pezzo, quello votato esclusivamente alla ricerca di virtù e di onore. Ecco perchè Odisseo sta tanto simpatico ad Enia (e non soltanto a lui), è più vicino al nostro sentire, più fragile negli affetti, più indulgente con le proprie debolezze, insomma, più umano.