Cinzia BALDAZZI- Benjamin Malaussène, ultime notizie…(note su “Parlo con te” di Daniel Pennac. Teatro F. Camillo)

 

Il mestiere del critico

 


BENJAMIN  MALAUSSENE: ULTIME NOTIZIE SULLA VITA E SULLA MORTE

Note sullo spettacolo “Parlo con te” al teatro Furio Camillo.

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Nella platea del teatro Furio Camillo a Roma – in un quasi sold out – gli spettatori sono ormai seduti in attesa: di fronte a un palcoscenico in semioscurità, dove sono stati collocati, in ordine sparso, vari tipi di sedie, alte, basse, di colori diversi, una sdraio, una piccola di raffia, da bambino, un’altra alta (del genere seggiolone) con un bell’orsacchiotto sopra, l’ultima da ufficio. Certo, la “poltrona” dove siamo accomodati sembra agevole ma, se non sapessimo che il personaggio principale della pièce Signor Malaussène a teatro (tratto dal volume Ultime notizie dalla famiglia del 1997), Benjamin Malaussène, gestisce il mestiere di capro espiatorio (attività di per sé assai poco invitante), verrebbe quasi voglia di scendere giù e trovarne, tra le tante, una ancora più confortevole, prendendo così il posto del protagonista.

In questo Parlo con te, liberamente ispirato al ciclo di Daniel Pennac, ecco entrare in scena, discutendo non ricordo con quale esponente dell’ampia famiglia-tribù, l’attore Paolo Scannavino, nel ruolo del celebre eroe dello scrittore francese, in procinto di diventare padre. È il capofamiglia di un clan composto da almeno dieci tra fratellastri, sorellastre, nipoti e cane. La giovane e intraprendente mamma, la moglie incinta Julie, la sorella fotografa Chiara, il fratello Jérémy: è un bambino molto vivace, perennemente sospeso dalla scuola, alla quale anni prima aveva dato fuoco ustionandosi quasi a morte. Fortunatamente, il frankensteiniano dottor Marty era riuscito a salvarlo trasformandosi in suo toubib (medico) per eccellenza. Jérémy decide di fatto i nomi dei bambini venuti dopo di lui: dunque, con lui Benjamin si affanna a determinare il nome dell’erede. Da una parte all’altra della scena, l’uomo in realtà si “affanna” a comunicare con i “parenti”, a volte prendendo la loro parola, altre interloquendo con fantasmi, immagini invisibili e silenziose. Si siede. Si lamenta strillando, insulta e tace sconfitto, oppure si dispera, mettendosi a correre, scappando impaurito, angosciato, con i piedi puntati a terra nello stesso punto di prima. Formula argomentazioni in qualche modo anche umoristiche, tra sentimenti vivissimi, sagaci e paradossali ma sempre intensi, attraverso i quali Pennac si esprime con una semplicità disarmante, spesso dura, mai equivoca, né di per sé poco significativa. Poi si rivolge al fratellino, le petit, che indossa, non saprei dire il perché, occhiali rosa, con la sorellina Verdun e anche con il cane Julius. Ce n’è insomma per ogni gusto o attesa, in uno stile di dialoghi caratterizzati da espressioni molteplici, proiettate grazie a una simile tendenza anche nell’evocazione di Belleville, quartiere multietnico a est di Parigi, cioè caratterizzato da una singolare immigrazione e abitato da popolazioni di differenti lingue, nazionalità e culture.

Ecco, d’improvviso, terminata la dialettica sul nome del nascituro, bloccarsi il meccanismo di narrazione, in una sorta di vuoto del pensiero: pare che l’embrione nel grembo di Julie vada perduto. Ma ancora una volta, chissà come, l’intervento imprevisto di una chiave risolutrice, una sorta di Immacolata Concezione nella figura della suora Gervaise, oppure un’Immacolata Concezione di stampo piuttosto laico, risolverà tutto. Ma tutto cosa? Non sarei in grado di individuarlo, e lo stesso Pennac non vorrebbe che io fossi, o meglio noi fossimo, capaci di stabilirlo. In un’intervista, alla domanda su cosa mai l’appassionasse nel raccogliere insieme pareri, dubbi, paradossi tanto differenziati, lo scrittore rispose: «Il tema della creazione, semplicemente. Sembra che l’argomento della longevità della specie sia di pertinenza esclusiva femminile, ma è una questione di coscienza che si possono porre anche gli uomini, se sani di mente. Anche se la vera salute non è poi mai mentale». E già ma, caro Pennac – e la poetica ne è ormai prova acquisita – il ”tema della creazione” non sortisce mai, né potrebbe, evocazioni “accoppiate” al “semplicemente”. Infatti, assistendo allo spettacolo, continuo ad avvertire la chiara, pesante, presenza fissa della morte, della fine, del nulla: i quali, della creazione, sarebbero una sorta di preistoria, una “conclusione” remota, anche se fatale, e non il tema centrale.

Eppure, da un momento all’altro, ricordo d’aver letto che nel 1991 a Tolosa, a un mese dalla scomparsa di Tadeus Kantor, nello spettacolo postumo Oggi è il mio compleanno si ripercorrevano momenti e tappe, insieme alla presenza di personaggi estremamente significativi, della sua vita (come il pittore Jonasz Stern, fortunatamente scampato allo sterminio ebraico). Il vissuto del grandissimo drammaturgo polacco, insomma, era portato in scena grazie a una sedia rimasta irrimediabilmente vuota, segno di una insostituibile assenza. Kantor, del resto, nasceva il 6 aprile 1915 a Wielopole, un villaggio a pochi chilometri da Cracovia, da madre cattolica e padre ebreo che, dopo la Grande Guerra, per un’altra donna, non farà ritorno a casa. Viene cresciuto dalla madre e dallo zio prete: in uno spettacolo del 1985 intitolato Crepino gli artisti, nucleo centrale è il rapporto fra memoria, oblio e identità, e l’autore incontra l’immagine di se stesso a sei anni, da adulto e da vecchio morente.

Nella celeberrima La classe morta, il pubblico si trova di fronte a un’aula scolastica di vecchi-bambini (è tipica di Kantor la confusione tra infanzia e vecchiaia, in una chiusura del cerchio in cui gli estremi si toccano) che sembrano apparire sul palcoscenico in una zona di confine tra la vita e la morte, in una specie di interregno fra realtà e sogno: grotteschi ibridi tra vecchiaia e infanzia, davanti a molte sedie, tra cui alcune vuote, illuminate dall’alto da una luce giallastra, in aggiunta alla perdita di un figlio appena nato (simboleggiata da una culla agitata dalla quasi madre in preda a contrazioni ripetute e impetuose). In sostanza, in questo Parlo con te, parliamo con la vita che nasce o con la morte che si avvicina? Chissà, usciamo dal teatro e non lo vogliamo sapere.

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PARLO CON TE Liberamente tratto da Il Signor Malaussène a teatro di Daniel Pennac

Con Paolo Scannavino

Regia di Paolo Scannavino e Laura Donzella

Luci di Alessandro Albertazzi

Nella platea del teatro Furio Camillo a Roma – in un quasi sold out – gli spettatori sono ormai seduti in attesa: di fronte a un palcoscenico in semioscurità, dove sono stati collocati, in ordine sparso, vari tipi di sedie, alte, basse, di colori diversi, una sdraio, una piccola di raffia, da bambino, un’altra alta (del genere seggiolone) con un bell’orsacchiotto sopra, l’ultima da ufficio. Certo, la “poltrona” dove siamo accomodati sembra agevole ma, se non sapessimo che il personaggio principale della pièce Signor Malaussene a teatro (tratto dal volume Ultime notizie dalla famiglia del 1997), Benjamin Malaussène, gestisce il mestiere di capro espiatorio (attività di per sé assai poco invitante), verrebbe quasi voglia di scendere giù e trovarne, tra le tante, una ancora più confortevole, prendendo così il posto del protagonista.

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