Tommaso NENCIONI*- Degrado Urbe. L’eccezione e la regola (con un pensiero a Londra)

 

Degrado Urbe*


L’ECCEZIONE E LA REGOLA

Lupa capitolina

Sotto la maschera del potere neutrale. Roma come Londra negli anni ’80 del secolo scorso quando, nel dare il cambio del ciclo economico, venne sciolto il consiglio comunale

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La sto­ria poli­tica euro­pea degli ultimi trent’anni è la sto­ria della difesa della libertà del mer­cato dall’assedio della demo­cra­zia. Una tor­sione inso­ste­ni­bile rispetto al pre­ce­dente ciclo con­ti­nen­tale – anch’esso per cau­sa­lità tren­ten­nale – che aveva regi­strato, se non un rove­scia­mento, almeno un robu­sto rie­qui­li­brio di forze tra i movi­menti popo­lari e le éli­tes mer­ca­ti­ste. Non importa esser fer­rati nell’armamentario della sco­la­stica mar­xi­sta d’antan per sot­to­li­neare que­sto rie­qui­li­brio di forze: la nostra carta costi­tu­zio­nale può esser letta come la sua più alta espres­sione europea.

Un rie­qui­li­brio che i codici isti­tu­zio­nali e morali sorti dalla guerra civile euro­pea e dal ciclo lungo delle lotte ope­raie e con­ta­dine erano stati in grado di foto­gra­fare abba­stanza fedel­mente. In con­se­guenza, la ten­sione tra costi­tu­zione scritta e costi­tu­zione mate­riale pro­pria della fase attuale deriva da un mole­co­lare, pro­gres­sivo e final­mente esploso cam­bia­mento di para­digma nei rap­porti tra inte­ressi del mer­cato e domande popo­lari.
Di qui il con­ti­nuo ricorso allo stato di ecce­zione, la via sem­pre più fre­quente di sosti­tu­zione di un ordine ege­mo­nico con quello suc­ces­sivo da parte dei gruppi diri­genti tra­di­zio­nali, impos­si­bi­li­tati ad attuare fino in fondo la (per loro vitale) contro-rivoluzione nell’ambito isti­tu­zio­nale dato. Si badi bene che non di un feno­meno solo ita­liano si tratta: se l’attuale governo, in nome della “sta­bi­lità”, ha avo­cato all’istituto pre­fet­ti­zio (a-democratico per eccel­lenza) il com­pito di gui­dare l’amministrazione romana, nella Gran Bre­ta­gna degli anni Ottanta del secolo scorso, impe­gnata nel dare il là al cam­bio di ciclo, il con­si­glio muni­ci­pale della capi­tale fu diret­ta­mente sciolto. E a livello macro, cos’è stata la costru­zione euro­pea tra gli anni Novanta e Due­mila se non un gigan­te­sco pro­cesso di espro­pria­zione della legit­ti­mità demo­cra­tica e di avo­ca­zione del potere deci­sio­nale a pre­sunti luo­ghi neu­trali, depu­tati alla rea­liz­za­zione dell’utopia libe­rale della pura amministrazione?

Ma il fatto è che, sotto la maschera di isti­tu­zioni (e lin­guaggi) appa­ren­te­mente neu­trali, si è inne­stato un ciclo di accu­mu­la­zione espro­pria­tivo (secondo la defi­ni­zione di David Har­vey) che non può non inne­scare una rea­zione popo­lare da tenere sotto con­trollo e mar­gi­na­liz­zare, pena l’incepparsi dell’intero meccanismo.

Quat­tro le carat­te­ri­sti­che di que­sto nuovo ciclo di accu­mu­la­zione, che da vicino richiama, esten­den­dolo sul piano pla­ne­ta­rio, l’accumulazione ori­gi­na­ria dell’Inghilterra alle soglie della rivo­lu­zione indu­striale: un’intensificazione rispetto al ciclo pre­ce­dente dello sfrut­ta­mento della mano­do­pera occu­pata; una ricon­du­zione, tra­mite ingenti pri­va­tiz­za­zioni, nell’ambito del mer­cato di set­tori che il senso comune iden­ti­fica istin­ti­va­mente come beni comuni (la terra nell’Inghilterra del ‘600, l’acqua, o la sanità, oggi); l’espulsione dalla terra di ori­gine di masse dise­re­date e la crea­zione di un enorme eser­cito di disoc­cu­pati, un feno­meno anch’esso oggi glo­ba­liz­zato rispetto al modello ori­gi­na­rio; la finan­zia­riz­za­zione e l’indebitamento come via al man­te­ni­mento arti­fi­ciale dei livelli di svi­luppo (nell’Italia di oggi, men­tre lo Stato, diret­ta­mente o indi­ret­ta­mente, esime i grandi patri­moni dall’obbligo con­tri­bu­tivo, si invita chi non può per­met­tersi di pagare le tasse locali a pre­stare gra­tui­ta­mente il pro­prio lavoro per i ser­vizi pub­blici, una cosa che ricorda molto da vicino la vit­to­riana “ser­vitù per debiti”).

In que­sta cor­nice, com­por­ta­menti che solo una man­ciata di lustri orsono sareb­bero apparsi delit­tuosi in base alla morale ed alla legi­sla­zione cor­rente, ven­gono o depe­na­liz­zati dallo Stato (il falso in bilan­cio, ad esem­pio), o sot­ter­ra­nea­mente igno­rati (il capo­ra­lato come ridu­zione in schia­vitù) in quanto essen­ziali per la salute del modello di svi­luppo in fieri. Ed è in fondo nor­male che sia così, nel momento in cui gli ordi­na­menti pub­blici ven­gono in qual­che maniera tra­volti dalle neces­sità dell’accumulazione e del man­te­ni­mento del potere nelle mani delle éli­tes mercatiste.

Negli Stati Uniti di oggi la memo­ria dei Mor­gan e dei Roc­ke­fel­ler, i Rob­ber baron fon­da­tori della Nazione, è pre­ser­vata come quella di eroi epo­nimi, ma le loro for­tune sull’asse oriz­zon­tale dell’espansione fer­ro­via­ria e quella ver­ti­cale dell’estrazione petro­li­fera furono accu­mu­late con metodi ban­di­te­schi, che solo a poste­riori sono state impan­cate a modello di virtù repub­bli­cana. E il decoro della Lon­dra vit­to­riana – ce lo ricorda la Tri­lo­gia dell’oppio di Ami­tav Gosh da poco tra­dotta anche in Ita­lia – fu in gran parte costruita su una spo­lia­zione delle peri­fe­rie dell’impero attuata con metodi altret­tanto bru­tali: solo la riscrit­tura della sto­ria da parte delle classi domi­nanti e la loro attuale ege­mo­nia impe­di­sce di assi­mi­lare i capi­tani corag­giosi di quella vicenda ai traf­fi­canti di uomini che oggi infe­stano le coste del Mediterraneo.

Nel corso di stra­vol­gi­menti epo­cali come l’attuale, tut­ta­via, bloc­chi sto­rici, tanto di potere quanto di oppo­si­zione, si fran­tu­mano e si ri-configurano. Le fron­tiere delle ege­mo­nie si fanno mobili, il con­flitto perde la pro­pria cen­tra­lità ed esplode in mille rivoli dispersi, e soprat­tutto il movi­mento popo­lare, nel breve periodo, ne esce fra­stor­nato. Ma l’utopia libe­rale della “pura ammi­ni­stra­zione” già appare desti­nata a rive­larsi, appunto, un’utopia. Quanto letale si possa rive­lare non lo sap­piamo ancora, e spetta al contro-movimento delle classi subal­terne tro­vare codici comuni e moda­lità dell’agire poli­tico adatte a rie­qui­li­brare l’arbitrio dell’élite mer­ca­ti­sta. Que­sta ricom­po­si­zione del movi­mento di oppo­si­zione alla grande espro­pria­zione in corso è all’ordine del giorno: un com­pito enorme, dif­fi­cile ed allo stesso tempo appas­sio­nante, da met­tere in campo prima che le éli­tes sug­gel­lino il pro­prio trionfo ed ai Rob­ber baron di oggi si inti­to­lino nuove piazze e nuove università.(*ilmanifesto)

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