Ra. Gia- Fabrizio che amò la Sardegna (anteprima del film “Faber”)


Cinema e Mito



FABRIZIO CHE AMO’ LA SARDEGNA

De Andrè, la sua musica, la sua gente protagonisti di “Faber”

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A fine anni ’60, con l’idea di abbandonare le scene e intraprendere un’attività agricola e di allevamento, Fabrizio De André decise di trasferirsi in Gallura insieme alla compagna Dori Ghezzi. Acquistò la tenuta dell’Agnata, località a pochi chilometri da Tempio Pausania (Olbia Tempio), dove nascerà la figlia Luvi (nel ’77) e la famiglia si insedierà nel 1978. L’anno successivo la Ghezzi e De André furono sequestrati a scopo di estorsione dall’anonima sarda e rilasciati dopo quattro mesi. Com’è noto l’esperienza darà vita all’album senza titolo ma noto come L’indiano (1981), scritto con Massimo Bubola, in cui il cantautore ritorna attraverso metafore su quell’episodio tracciando un parallelo tra i locali e i nativi americani.

Nonostante lo choc del rapimento i due decisero di restare a vivere sull’isola (e di non accanirsi legalmente contro i rapitori), ma oltre a ciò, anche dopo la morte di De André (1999), il legame con l’Agnata (che da residenza isolata e selvaggia di quella stagione “utopica” come ricorda la Ghezzi, oggi è diventata un “country chic hotel”) continua a rimanere stretto. Un amore ricambiato dagli autoctoni, e ben testimoniato dalla prima metà di Faber in Sardegna, che ai ricordi di Dori Ghezzi, Renzo Piano e delle persone che fecero parte dell’entourage di De André nella sua permanenza sarda alterna diversi momenti musicali, registrati dal 2005 al 2011, da Time in Jazz all’Agnata, emanazione e prolungamento del festival di Berchidda, diretto da Paolo Fresu.

Il quale infatti appare spesso ad accompagnare con la sua tromba le cover del cantautore insieme a Cristiano De André, Teresa De Sio, Maria Pia De Vito, Rita Marcotulli, Morgan, Danilo Rea, Gianmaria Testa, Ornella Vanoni (mentre Lella Costa lo ricorda con un estratto da Volammo davvero, volume antologico a lui dedicato).
A queste immagini fanno da controcanto i paesaggi spettacolari, ventosi, verdi e pietrosi dei dintorni della tenuta; un vero e proprio correlativo oggettivo della natura schiva, appartata del genovese (perfettamente rappresentata dall’ultima inquadratura di lui che cammina di spalle).

Se nel suo Faber in Sardegna Gianfranco Cabiddu (Disamistade, Sonos ‘e memoria) ricuce la storia del rapporto tra artista e territorio, se pure con evocazioni, cenni, aneddoti, testimonianze rapide – e a parte quelle della Ghezzi, raramente significative – la seconda parte è invece costituita da un montaggio (curato da Mimma Nocelli) dell’ultimo concerto tenuto al Teatro Brancaccio di Roma, il 13 e 14 febbraio 1998. L’effetto è quello di un prodotto bicefalo, di un accostamento un po’ forzato, di celebrazione postuma meccanica nell’agganciare, a un ragionamento sul rapporto tra un autore e una terra (e soprattutto la sua lingua), la registrazione live (prevalentemente) di Anime salve (1996) l’album di grandezza preveggente scritto con Ivano Fossati.

Restano dei momenti, maggiormente apprezzabili dai fan, come il contadino che ricorda i colpi da fuoco e le urla di caccia utilizzati per l’intro di Fiume Sand Creek, ma in particolare l’emozione del figlio Cristiano nel percepire, mentre si esibisce nel cortile di quella casa, la presenza percepibile del padre, mentre l’obiettivo che fino ad allora abbiamo visto fisso sui vari performer si allarga a abbracciare, oltre al pubblico partecipe, anche l’edificio: immagine adeguata di una permanenza resistente di De André e del suo mondo, non solo all’Agnata. (*mymovies)

Author: admin

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