Alessandra FAGIOLI- Un mondo distopico (“Der Park” di B. Strauss. Teatro Argentina, Roma)

 

 

Il mestiere del critico

 


 

UN MONDO DISTOPICO

Peter Stein:

Der park di Botho Strauss per la regia di Peter Stein (nella foto)- Roma, Teatro Argentina

 

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Il Sogno di una notte di mezza estate di William Shakespeare, una delle sue opere più allegoriche e inquietanti, riscritto in chiave moderna e ambientato nella Berlino del 1983 da Botho Strauss, uno dei drammaturghi più pessimisti ed esistenzialisti della scena tedesca, diretto per la Schaubühne di Berlino Ovest e poi riproposto in Italia da Peter Stein, uno dei registi più trasgressivi e dissacranti del secondo Novecento. Il risultato è un’opera poderosa e complessa, permeata da un groviglio di enigmi e allusioni, ricca di temi cruciali e affondi provocatori che rimette in gioco un modo di fare teatro quanto mai coraggioso e sconcertante.

Il Sogno di Shakespeare è una grande allegoria che mette in relazione il mondo umano e reale con quello magico e mitologico, la corte di Atene con il regno delle fate, gli innamorati con i folletti, gli elfi con gli artigiani, in cui il “sogno” non è che una parentesi della realtà, una sospensione grottesca per operare incantesimi e ribaltare destini, una visionaria “licenza” in grado di scombinare equilibri e ripristinare ordini, per svanire infine come era apparsa.

In Der Park di Botho Strauss questa dialettica invece viene a mancare. La cornice del matrimonio tra Teseo e Ippolita scompare. Il bosco diventa un parco della Berlino moderna. Oberon e Titania non sono padroni di un regno incantato ma testimoni di un mondo derelitto. Gli innamorati sono coppie di borghesi annoiati e lascivi. Al posto degli artigiani comici ci sono giovani punk che si danno al bullismo e al razzismo. Al posto del folletto Puck c’è il mago Cyprian che invece di adoprare la magia mistifica l’arte. E poi ci sono altri personaggi che vagano in una dimensione quasi beckettiana, senza capire il proprio ruolo né riuscire a fare delle scelte.

Insomma più che un sogno è un incubo quello di Strauss, seppure radicato in una realtà in cui però si è smarrito il senso delle cose. L’amore ha perso ogni significato, il sesso è ridotto a pura fisicità priva di emozioni, i comportamenti si rivelano primitivi e irrazionali, imperano il cinismo e la violenza, è svanita ogni forma di coscienza politica e di senso civile, la religione è diventata un semplice strumento demagogico, l’arte stessa è degenerata nel culto dell’idolo e del feticcio.

Tutti aspetti che erano già molto attuali nella Berlino ancora divisa dal muro e che oggi hanno acquisito una dimensione quanto mai esasperata, con l’aggravante di una crisi che ha reso ancora più instabili le coscienze e più inquietanti gli sviluppi futuri. Per questo a circa trent’anni dalla sua messinscena la sfida di Peter Stein di riproporre il testo originale al pubblico odierno è davvero stupefacente, se solo si pensa alla mercificazione del sesso, alla deriva dei sentimenti, alla religione strumentalizzata dalla politica, all’arte incapace di trasfigurare qualsiasi realtà: tutti elementi estremamente attuali che acuiscono la forza del testo e soprattutto la sua impietosa regia.

Perché Peter Stein inanella una serie di scene emblematiche in cui personaggi smarriti e dolenti si alternano tra loro senza riconoscersi né ritrovarsi mai, tra i quali Oberon e Titania appaiono come divinità illuse che cercano di far recuperare all’umanità il senso dell’eros e il gusto dell’arte, finendo al contrario con l’essere travolti dallo stato di ferinità in cui il mondo è decaduto. Ogni cosa infatti devia il suo corso rispetto all’universo del Sogno di Shakespeare. Oberon, tramite il mago Cyprian, rovescia i sentimenti delle due coppie di sposi nell’intento di farli innamorare, col risultato però di scatenarne solo una maggiore morbosità sessuale e un’ottusa idolatria artistica, provocata dal fatto che Cyprian al posto dei filtri d’amore forgia statuette feticistiche. Titania, dal canto suo, viene punita da Oberon per la sua passione verso un ragazzo negro (che però in questa versione è un giovane adulto con cui lei copula), ma anziché innamorarsi di un “finto” asino (come nel Sogno) si accoppia con un toro vero dando vita a un mostro, una sorta di Minotauro vizioso e debosciato che si atteggia da dandy.

Ogni intento divino di riscattare il mondo umano dalla sua degenerazione è dunque destinato a fallire. Oberon arriva persino a estraniarsi dal suo ruolo di redentore fino a rinunciare ai propri poteri e a diventare un uomo mansueto e timorato, Titania a sua volta immola il suo corpo per risvegliare l’amore negli esseri umani ma finisce col degenerare anche lei nel flirtare col figlio taurino. La stessa comunicazione tra le persone si rivela vuota e insensata, il capitalismo e la tecnologia hanno snaturato ogni autenticità, la dimensione spirituale e quella poetica sono andate perdute, i singoli individui non riescono più a ritrovare uno slancio vitale e le divinità finiscono col lasciarsi travolgere dalle stesse miserie umane. Ma ciò che è peggio è che il sogno/incubo non finisce, non si risolve, non riporta ad alcuna realtà. Tutti sono schiavi del disorientamento e della disperazione e non c’è nessuno che possa farli tornare a uno stato di consapevolezza. Il parco si traduce allora in una mancata utopia, un non-luogo in cui impera la menzogna, il tradimento, persino la morte che si fa addirittura beffa del degrado umano.

E al termine di quattro ore e mezza di spettacolo, con una trentina di cambi di scena e quasi una ventina di attori che interpretano più ruoli, il sipario si chiude sul Minotauro generato da Titania che in un lamentevole sproloquio si lagna per una festa riuscita male mentre una cameriera gli fa eco in atteggiamenti dissoluti senza capire alcunché di quello che sta dicendo. È il tramonto definitivo della società borghese e la conferma spietata del suo mancato riscatto. Strauss e Stein hanno compiuto così un’operazione devastante quanto necessaria, un affondo nell’abisso della società umana attraverso un modo di fare teatro tutt’altro che consolatorio e rassicurante, al contrario foriero di riflessioni profonde in merito a insolute questioni.

Author: admin

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