Sauro BORELLI- Il degrado della Russia (“Leviathan”, un film di Andrey Zvyagintsev)

 

 

Il mestiere del critico

 

 

IL DEGRADO DELLA RUSSIA

Una scena del film

“Leviathan”, il nuovo film di Andrey Zvyagintsev

****

Il degrado della Russia. Non si può leggere altrimenti il duro, serrato atto d’accusa che scaturisce dal nuovo film di Andrey Zvyangintsev Leviathan già segnalato a Cannes 2014 per la  rigorosa sceneggiatura di Oleg Negin. Supporre anche vagamente che, appunto perché basato sulla realtà russa attuale, lo stesso film, possa divagare tra qualche larvata suggestione delle tipiche atmosfere poetiche cecoviane è questione del tutto improponibile (pur se l’ambientazione esteriore, alcuni indugi paesaggistici preziosi suscitino attonito stupore), anche perché la traccia narrativa che qui balza subito in primo piano risulta piuttosto un ordito di chiara matrice dostoievskiana, tutta intricata come si prospetta e via via si evolve verso un dramma cupo, dai riverberi sempre e comunque disperanti.

Leviathan perché? Il richiamo è plurimo e metaforico. Come è detto nel libro biblico di Giobbe tale mostro incarna “il re di tutte le bestie più superbe” o, come prospetta nell’omonimo trattato il filosofo secentesco Thomas Hobbes, un’allegoria del potere incondizionato, ove ogni libertà dei singoli individui è puramente, semplicemente annullata. Ed è proprio questa la sindrome – fatte tutte le debite distinzioni contestuali della singolare vicenda, ispirata ad un analogo dramma verificatosi in uno sperduto angolo del Colorado – che governa tetramente il lungometraggio di Zvyagintsev (già accreditato a suo tempo del Leone d’oro a Venezia 2003 per il film Il ritorno) alla sua prima sortita a Mosca rudemente osteggiato dal potere politico e, ancor più, dalle alte sfere della Chiesa Ortodossa che, dopo la caduta dell’URSS, si è tramutata nel bastione più influente della politica dispotica di Vladimir Putin. In modo sorprendente, peraltro, in tempi più ravvicinati, il boicottaggio fino allora espresso contro Leviathan si è placato. Anzi, gli organismi ufficiali del cinema russo hanno addirittura candidato l’opera in questione alla prossima edizione degli Oscar quale “miglior film straniero”. Misteri della politica o piuttosto una più sottile strategia diplomatica?

Nell’un caso o nell’altro si dimostra comunque positivo il fatto che Leviathan possa circolare, in Russia e dovunque, col massimo agio, pur se il risoluto Zvyagintsev non decampa di una virgola dai suoi fieri propositi ispiratori in aspra polemica contro la giustizia asservita al potere, alla chiesa ortodossa, alla corruzione dilagante e all’intolleranza più bieca. In effetti, ciò che Leviathan racconta, a dire dello stesso cineasta: “E’ un dramma, una storia tragica. Nikolaj, Kolia per gli amici, vive in una cittadina sul mare di Barents nella penisola di Kola, da quando è nato. Ama la sua famiglia, la sua casa, le cura, le protegge. Ma un giorno arriva il sindaco e gli offre seicentomila rubli per comprare la casa e costruire una chiesa su quel terreno. Kolja d’un tratto si ritrova senza niente, impotente, alla mercé del destino. Non ha altra scelta che perdere tutto e non può difendersi. Un’ingiustizia gigantesca, inumana. Ma che possibilità può avere di fronte al sindaco che incarna l’onnipotente arbitrio dello stato e si muove in combutta con una giustizia asservita e con la chiesa? Un mostro, il Leviathan”.

Nell’articolarsi del racconto con un linguaggio austero per décor ambientale e abbacinanti scorci naturali dell’estremo nord della Russia, Kolja, oltretutto incline all’alcool e al tabagismo più sfrenati si muove tra inconsulti scoppi di violenza gratuita e rassegnate constatazioni, fintantoché un amico avvocato di Mosca tenta inutilmente di portare rimedio ai disastri incombenti. Per giunta, la moglie di Kolja e suo figlio adolescente, umiliati e offesi da un’esistenza senza spiragli di qualche confortante cambiamento, si perdono, l’una, in un desolato adulterio (tanto da suicidarsi poco dopo), l’altro, in un atteggiamento vanamente riottoso e sterile. Tanto e tale squallore culmina infine con l’accusa e la condanna di Kolja (sebbene incolpevole) di omicidio, suggellando così la vicenda in un esasperante fallimento di una vita, di una comunità, di un mondo.

E’ plateale, in questo Leviathan l’intento di stigmatizzare radicalmente l’attuale stato delle cose in Russia e, in ispecie, di avanzare una perorazione più che esasperata contro l’odierna direttrice di marcia che caratterizza la concomitante condotta delle alte gerarchie politiche e di quelle clericali determinate a praticare, costi quel che costi, una pervicace intolleranza del potere e un parallelo uso della corruzione. Il tutto espresso con uno sdegnato tono di denuncia e con una sacrosanta irruenza moralizzatrice. Certo, Leviathan non è che un film. Contro i mali contemporanei della Russia (e di tant’altri posti) non può granché. E’ comunque bene che si sappia – dostoievskianamente – quel che accade lassù nel ghiacciato mare di Barents. E dovunque il malaffare prevalica l’onestà, il vizio la virtù.

Author: admin

Share This Post On