Salvo SCIBILIA- Expo Milano. Di quella pira l’orrendo foco…


Expo Milano

 


DI QUELLA PIRA L’ ORRENDO FUOCO

Del resto, a quale ‘alba’ pensare?

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(nostro corrispondente)

Lascio un palombaro nero che poco distante dal bar Magenta indugia perplesso davanti a una Porsche-Cayenne appena data alle fiamme, di quella pira l’orrendo foco. Lo lascio lì perché la Turandot, mentre scrivo queste note, sta per iniziare e un amico mi scrive sul cellulare che si temono scontri davanti alla Scala. Penso al sessantottardo Mario Capanna, alla sua grande presenza scenica e alla sua voce matura e baritonale. Le preoccupazioni, per tornare all’opera, sono tutte per l’inizio del terzo atto. Quando Calaf, gonfiando il petto nella romanza “Nessun dorma”, cercherà di cancellare il fantasma di Pavarotti; siamo già al punto dolens: “…all’alba vincerò…”.

Una vetta  melodrammatica controindicata per le orecchie di chi già soffre di conclamata ipertrofia dell’ego. A quale alba pensare? Alla scadenza del termine ultimo per gli indovinelli della principessa, certamente sì, ma anche all’alba di lunedì 4 maggio, alla camera dei deputati, per l’approvazione della legge elettorale. I tg raccontano di un premier che prima della rappresentazione fa il suo ingresso nel tempio della lirica milanese in compagnia della sua signora senza rilasciare alcuna dichiarazione. In serata è stato dunque avaro di qualsiasi esternazione, ma attorno all’ora di pranzo, nonostante la malconcia giornata di primavera, inaugurando l’Expo era stato esplicito e abbondante, ristrutturando addirittura l’inno nazionale: parte con “l’Italia s’è desta” e finisce con un viatico che ispira innominabili gesti scaramantici: “il futuro del nostro Paese nasce dall’Expo”.

Le analisi più realistiche ci dicono che se tutta la faccenda finisce con un pareggio tra costi e ricavi è già un successo.

L’Expo è un ingombrante evento globale, grosso e, temo, pieno d’aria. Non so se gli eventi possano soffrire di aerofagia ma non mi meraviglierei se così fosse.I confini dell’Expo sono tra loro assai distanti come le chiavi di lettura che su quest’evento si confrontano e si sfidano proprio sul terreno dell’interpretazione. Rimaniamo sul confine istituzionale.

L’Expo fa bene: l’Italia riparte, la gente torna a fischiettare, i giovani hanno tutele crescenti, i vecchi hanno preoccupazioni calanti e così di questo passo. Lungo il confine degli antagonisti, la musica cambia.  “L’Expo fa male. Facciamo male all’Expo”, dicono i palombari neri nei volantini che attaccano, strada facendo,tra fumogeni e lacrimogeni. Mettono sottosopra il centro di Milano, le macchine della Milano bene vengono date alle fiamme. Non pianificati, nascono drammi di natura etica: fino a che punto è giusto commuoversi per una Porsche-Cayenne data alle fiamme?

Chi rimane impassibile per questi status symbol così tronfi, può forse provare qualcosa per una banca danneggiata. Certo l’immagine dei correntisti in lacrime può spezzare il cuore. Ha ragione Natalia Aspesi (su Repubblica di ieri) quando rimprovera gli antagonisti d’intempestività: nel 2008 avrebbero dovuto muoversi, quando la Milano di Letizia Moratti festeggiava per questo successo planetario e per le succulenti prospettive che si aprivano a ingordigie di sottogoverno, a camorristi trapiantati, a operatori finanziari in doppio petto.

Sul confine presidiato da Francesco si grida al vero comunismo, quello della fede, altro che Fassina e Vendola: “che l’Expo sia l’occasione per globalizzare la solidarietà” la pezza d’appoggio è quanto di più autorevole si possa concepire, il Pater noster, a lui si rivolge una richiesta precisa: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Non è una novità, è un rilancio.

Il piccolo confine presidiato dai radical chic dice che l’albero della vita, il totem simbolo della grande kermesse, è una vera schifezza, o, per dirla meglio, di un kitsch inarrivabile. Da rivendere a qualche grande albergo di Dubai, luci, getti d’acqua colorati…aperitivi, effetti speciali. La loro perplessità ha il colore della curcuma e il piccantello dello zenzero; se in Italia le cose dovessero precipitare, qualche sacco di farro si rimedierà sempre. Tramite baratto.

Dal confine (variante istituzionale) presidiato dagli organizzatoriarriva un’indicazione precisa: “venite a visitare la grande esposizione in formato famiglia, portate i bambini al seguito”. E che fanno i bambini mentre masse di genitori si misurano con i grandi temi dell’Expo? Si intrattengono con Carlo Petrini che presenzierà proprio per educare le nuove generazioni di consumatori. “Coscienza e crescenza” è il titolo che lui stesso ha voluto dare al suo workshop lungo sei mesi.

“Nutrire il pianeta, energia per la vita”: questo è il problema, questa è la sfida.

Certo si tratta di una rivoluzione copernicana,di un’alternativa tutta da inventare: va ripensato il rapporto che l’occidente opulento intrattiene con il consumo.Tutto ciò suggerirebbe approcci inediti.

Deve scattare qualche molla nuova nella testa di chi quotidianamente butta nella pattumiera più del 30% di ciò che transita nel frigorifero.

Che questa rinnovata, rivoluzionata, coscienza epocale, ecumenica e planetaria venga sponsorizzata da Mc Donald e da Coca Cola lascia non poca perplessità.

Ma è perplessità del palombaro nero, quello che abbiamo lasciato all’iniziodavanti al bar Magenta,è un’altra cosa. Quella Porsche-Cayenne su cui si posano i suoi occhi ha lo stesso colore di quella che suo padre, un facoltoso ingegnere tedesco, gli ha regalato per i suoi vent’anni. Brucia, ragazzo, brucia. Come una ferita aperta, ustionata.

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