Sauro BORELLI- Vecchi e indomiti (“Ritorno al Marigold Hotel”, un film di John Madden)


Il mestiere del critico

 

 

VECCHI E INDOMITI

“Ritorno al Marigold Hotel”, un film di John Madden

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L’India esotica e preziosa è un abusato stereotipo delle convinzioni e convenzioni inglesi. Non per niente la Gran Bretagna ha praticato a lungo (e con passione) la politica più colonialista, imperialista che si potesse inventare. E, dunque, sulla base di tali precedenti, uno scafato cineasta britannico, John Madden (già accreditato di un pregevole Shakespeare in love) ha architettato, basandosi su un romanzo di Deborah Moggach, un’agile, abile canovaccio, Marigold Hotel (2011). In particolare facendo leva su caratteri e situazioni risaputi – la trasferta prolungata di un mal assortito gruppo di anziani pensionati convinti (malamente) di approdare alla “favolosa India” di Jaipur e, in inspecie, nel Rajasthan – ecco l’intrico in un degradato albergo gestito da un ragazzotto mitomane, determinato a fare di quello stesso luogo un hotel di lusso.

Il film scaturito da queste stesse premesse, appunto Marigold Hotel, contrariamente a ciò che si poteva temere, fu gratificato, a suo tempo in modo sorprendente, da un vistoso successo. Tanto che l’autore Madden ha deciso ora di doppiare la fortunata impresa della sua prima incursione indiana. Facendo tesoro della gratificante lezione vissuta con Marigold Hotel – in ispecie le formidabili caratterizzazioni di una pattuglia di mostri sacri quali Judi Dench, Maggie Smith, Bill Nighy, eccetera – ha imbastito un sequel con la stessa materia narrativa modulando di nuovo il racconto con poche garbate varianti sul tema: l’India, il vetusto albergo, tic e sentimenti di un gruppo di mal assortiti, pretenziosi pensionati inglesi, più la novità di un sessantenne intruso americano, il duttile Richard Gere qui, nel Ritorno al Marigold Hotel, nei panni di un presunto scrittore di ambigua fisionomia.

Le tracce evocative ricalcano quasi letteralmente quelle del precedente successo di Madden. L’innovazione è costituita semmai dal fatto che a monte degli stizzosi conversari e delle godibili parodie vicendevoli di mezza dozzina di personaggi (Judy Danch e Maggie Smith campeggiano incontrastate nelle schermaglie continue) corre il filo rosso della vicenda personale del giovane Sonny, il mitomane locale smanioso di gestire un nuovo albergo per anziani inglesi, che oltretutto sta anche per convolare a nozze con una pragmatica ragazza, decisa farsi valere davvero a dispetto degli sgangherati progetti del suo irresponsabile promesso sposo.

Certo, l’inimitabile sapienza interpretativa dei menzionati fuoriclasse inglesi imprime per sé sola una andamento elegante alle pur rovinose imprese di Sonny e della folta schiera di personaggi indiani e inglesi che, ora con indulgenze sentimentali ora con digressioni umoristiche, movimentano uno spettacolo disinibito e costantemente, cromaticamente azzeccato, grazie all’inserzione finale di una sorta di furioso tripudio canoro-coreografico degno del più corrivo fumettone made in Bollywood.

A parte certe insistite, prolisse diversioni sui casi patetici (ma mai drammatici) degli attempati ospiti, tutto marcia, nel Ritorno al Marigold Hotel, secondo i canoni dell’eccellenza professionale tipica del cinema inglese. E se, ad esempio, l’intrusione nella storia del personaggio Richard Gere incuriosisce  un po’, l’epilogo edificante dell’intiera storia si incarica di ricondurre il plot nell’alveo di una favola ben temperata. Ciò che, in effetti, non nasconde appieno l’intento originario di una simile realizzazione, fare un film furbo che, soprattutto, colga nel segno il bersaglio grosso: tanti soldi, maledetti e subito. Anche questo, in fondo, è cinema. Non del migliore, s’intende, ma comunque tollerabile per l’ingegnoso marchingegno che lo ispira e lo impronta. Eppoi, vedere all’opera un portento di bravura come Judy Dench e Maggie Smith è sempre un piacere.

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