Francesco TOZZA- Lo scherzo diverte, ma non convince (“Io, Nessuno e Polifemo” di E. Dante. Teatro Bellini, Napoli)


Il mestiere del critico



LO SCHERZO DIVERTE, MA NON CONVINCE

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“Io, Nessuno e Polifemo”- Intervista impossibile

Di e con Emma Dante   Altri interpreti: Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola,  Serena Ganci (per le musiche, eseguite dal vivo). Napoli, Teatro Bellini

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Come si sa, o dovrebbe sapersi (se ha ancora senso avere memoria storica), nei primi anni settanta del secolo scorso, la RAI invitò alcuni tra i maggiori scrittori italiani (Calvino, Sanguineti, Arbasino, Eco, ecc.) a produrre immaginari incontri davanti ai microfoni con personaggi celebri di secoli più o meno lontani, facendo prestare la loro voce, per le relative risposte, ad attori del calibro di Carmelo Bene, Paolo Poli, Romolo Valli, Laura Betti, e altri ancora. Nacque, così, una serie di “Interviste impossibili” (un’ottantina circa) che oltre a testimoniare una rilevante libertà creativa, peraltro di sicura qualità letteraria, offrirono un modo nuovo di interrogare la storia (ma anche il mito e la scienza), secondo strategie – fra il giocoso e il semiserio – che diedero una lettura sui generis del passato, rivelando però anche le ossessioni culturali del presente, nei suoi protagonisti.

Anche Emma Dante aveva nel cassetto la sua “intervista impossibile” (con due personaggi dell’epopea classica, Ulisse e Polifemo), pubblicata nel 2008 nella raccolta Corpo a corpo per le edizioni Einaudi; ha poi deciso di metterla in scena, nel settembre scorso, all’Olimpico di Vicenza, per inaugurare la sua direzione del 67° Ciclo di spettacoli classici presso quello storico teatro, dandola nuovamente alle stampe, per una più specifica e articolata pubblicazione (Glifo edizioni), mentre lo spettacolo effettuava la sua tournée, ancora in corso (lo abbiamo visto al Bellini di Napoli, in questi giorni).

Qualcosa, tuttavia, non ha funzionato nel passaggio, per così dire, dalla scrittura drammaturgica a quella scenica: già il testo, pur non mancando di una sua brillantezza nella reinvenzione, ovviamente arbitraria ma accattivante, dei due personaggi dell’epopea classica, tradisce un’insufficienza di base, un incompiuto approfondimento della trama del discorso che la costruzione dell’intervista in ogni caso postulava. Ulisse e Polifemo (i sempre bravi Carmine Maringola e Salvatore D’Onofrio), rimessi a nuovo nel loro abito scuro, come l’ intervistatrice del resto (un’inappuntabile Emma Dante, in pantaloni e giacca neri, con camicia bianca, forse fin troppo seria e non proprio a suo agio nel ruolo cucitosi addosso), discutono sui limiti e le contraddizioni con cui la tradizione epica li ha consegnati a noi; il tutto in un dialetto (un mix di siciliano e napoletano) provocatoriamente ostentato e in evidente polemica con quella parte della critica che crede ancora oggi di poterne stigmatizzare l’uso in palcoscenico; onde anche le citazioni in omaggio a Eduardo, Viviani, Testori. Non manca qualche felice gag (ancora un omaggio, questa volta non richiesto…, a Carmelo Bene, “un morto che non si è ancora abituato all’eterno”) e una battuta autoironica (ma non tanto, date le ingiuste, velenose polemiche nei suoi confronti), quando la Dante, sentendo fraintesa da Ulisse la sua identità, argutamente chiarisce che  quello è il suo cognome, non il nome!

Ma, nel complesso, il dialogo rivela scarsa consistenza drammaturgica e modesto interesse tematico, come si è detto. Certo si comprende come la regista palermitana, forse in cerca di nuovi itinerari nel suo percorso creativo, magari per non incorrere nelle secche della sempre comoda ma alla lunga dannosa ripetizione, comunque per evitare la maniera, si sia lasciata trasportare – lei, la signora della fisicità, che ha privilegiato sempre, nei suoi spettacoli, il linguaggio del corpo, con gesti e comportamenti più violenti e loquaci di qualsiasi parola – proprio dall’alone semantico della parola, dalle ragioni della narratività, dimenticando peraltro che le interviste impossibili, cui si ricollega, trovarono il loro medium ideale nei microfoni della radio: pure voci per concetti verbalmente espressi.

Forse, a ben riflettere, non è tanto o solo la parola che rende debole lo spettacolo. Piuttosto scontato, per esempio, il tessuto sonoro che accompagna il parlato (offerto, dal vivo, dalla pur brava cantante e polistrumentista Serena Ganci) e si inserisce fra i quadri danzati (da Federica Aloisio, Giusi Vicari e Viola Carinci): un esercizio – troppo spesso e fin dall’inizio – di mera iconografia motoria, raramente coagulantesi in scene di quel corposo espressionismo visivo cui la regista ci ha abituato nei suoi spettacoli. Unico lampo di effettiva creatività, in proposito, la rievocazione improvvisa di Penelope, triplice rifrazione di un corpo avvolto da una lunga tela, che con il suo farsi e disfarsi, concludeva l’inquietante onda di un passato di indefinita attesa nel finale abbraccio all’uomo amato.

Insomma, tra musica, danza e parola, la contaminazione (sempre lei, nel bene e nel male ormai sovrana sui nostri palcoscenici!) non è riuscita appieno. Che non sia nelle corde della regista? Non si direbbe, a giudicare dagli ottimi risultati raggiunti nell’ambito del melodramma, territorio per eccellenza della simbiosi di più linguaggi artistici (basterà citare la sua regia della Carmen scaligera di qualche anno fa, che letteralmente ci entusiasmò, ma anche le prove offerte al Petruzzelli di Bari e al Massimo di Palermo). Forse il teatro d’opera, per la struttura essenzialmente rigida dello spartito che ne costituisce la linfa vitale, produce situazioni di maggiore equilibrio fra le forze creative in campo, tempera – in un certo senso – i talenti più vulcanici (la Dante, senza farsi intimorire, ha tenuto ben presente il problema, come recentemente dichiarato in un’intervista). Ma anche quelle del c.d. teatro di prosa sono, a loro modo, delle partiture, con i loro tempi, i famosi movimenti (allegro, maestoso, andantino, scherzo….), insomma con talune regole – magari implicite – di composizione. E allora? E’ semplice: questa volta lo scherzo non è riuscito.

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