Giuseppe ARDIZZONE- Il (nuovo) no di Grillo all’Euro

 

 

Agorà

 


IL  (NUOVO) NO DI GRILLO ALL’EURO

L”istrione ritorna a criticare la politica europea e la BCE, chiedendo un referendum contro l’Euro.La pericolosità è elevata, specie in un momento di relativa distanza fra i vari leaders europei e fra gli stessi Stati membri.

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La recessione è ancora presente e l’aumento complessivo del credito e della spesa pubblica sono una necessità. Questa realtà divide i paesi membri fra chi presenta dei dati finanziari di deficit e di rapporto fra lo stesso e il PIL sufficientemente equilibrati e chi, invece, è fuori dai limiti indicati e fa fatica a starci dentro. Quando un paese non può finanziarsi a debito (perché rischia, prima di tutto, che i mercati lo puniscano con una crisi di fiducia e con il conseguente rincaro del costo del debito fino a livelli insopportabili), si augurerebbe che la sua mancata sovranità monetaria venisse sopperita dalla capacità generale del sistema europeo di produrre crescita generale, anche indebitandosi centralmente e attuando politiche di spesa importanti.

Nel frattempo, chi può aumenta il proprio deficit, tentando di uscire da solo dalla crisi.

La mancanza della sovranità monetaria (del resto l’utilizzo della Banca d’Italia com’emittente di moneta per la copertura del debito pubblico italiano era vietata prima ancora di entrare nell’area Euro) fa sì che la sostenibilità del debito pubblico, degli Stati appartenenti all’area euro, dipenda dalla valutazione dei mercati. E’ possibile, in sostanza, che uno Stato possa fallire, non potendo emettere valuta a suo piacimento per pagare il suo debito, anche sostituendosi ai creditori riluttanti.

Abbiamo visto come quest’eventualità si è realizzata in Grecia, dove il fallimento, già di fatto presente, sia stato assorbito dall’intervento a sostegno degli altri Stati membri (compresa l’Italia) e non con un puro intervento monetario della BCE. In sostanza, se pur la BCE ha spiegato successivamente che non avrebbe mai permesso che la crisi di uno Stato significasse la crisi dell’Euro; pure, è pensabile che, di fronte alle difficoltà di uno stato con un debito pubblico di ca. 2000 miliardi d’euro, la situazione non sarebbe semplice.

Perché queste difficoltà centrali? Le spiegazioni fornite sono state sempre due:

1) evitare l’azzardo morale degli stati più deboli

2) evitare che le popolazioni dei paesi ricchi siano costrette a pagare i debiti dei “parenti poveri” perdendo il valore dei propri risparmi.

Questa paura ha fatto sì che l’Europa abbia avuto sempre una difficoltà a decidere di avere un deficit di bilancio, di emettere titoli propri di debito pubblico e che abbia espressamente dato indicazione alla BCE di controllare il livello d’inflazione.

Oggi, il momento è favorevole, perché in Europa serpeggia, invece, la deflazione; la recessione è strisciante, più o meno, nella maggior parte dei paesi membri, e la BCE sta potendo procedere, in qualche modo, ad un tentativo di “quantitative easing” di cui, peraltro, ancora non si vedono gli effetti, ad esempio, nel nostro Paese.

Nel frattempo, Junker dovrebbe far partire investimenti diretti europei per il valore di ca. 300 MM in infrastrutture.

Basteranno queste misure per riavviare la crescita europea?

Riuscirà il nostro paese a far ripartire la crescita e, contemporaneamente, mettere in sicurezza i conti del debito pubblico, all’interno di parametri che ci mettano al riparo da attacchi speculativi o dalla possibile sfiducia dei mercati, nel futuro?

Grillo va populisticamente al sodo, insieme alla Lega e forse anche a Berlusconi ( che tentenna su quest’argomento).

L’uscita dall’euro e la ripresa dell’utilizzo della Banca d’Italia com’emittente di moneta senza contropartita porterebbero forse il nostro Paese fuori dal pericolo dell’insostenibilità teorica del debito; ma, probabilmente, a livelli d’inflazione paurosi che impoverirebbero i redditi fissi, i pensionati e tutti i risparmiatori.

Siamo certi che, poi, tutto questo si tramuterebbe in un beneficio per la nostra struttura produttiva?

Già, recentemente, l’economista Zingales avvertiva del fatto che, oggi, il nostro Paese non importa solamente le materie prime ed i prodotti energetici dall’estero; ma, anche, i semilavorati con costi che lieviterebbero e che pertanto ridurrebbero di molto il guadagno derivante da una riduzione competitiva del costo del lavoro e dei servizi interni. Cavalcare, ancora una volta, l’inflazione e la svalutazione porterebbe facilmente alla voglia di evitare la stagione delle riforme che tocca privilegi e sacche d’inefficienza.

Tutto questo per dire che la soluzione Grillo (che ha un fondo di realtà) è una soluzione non condivisibile e che rischierebbe di farci precipitare in un’esasperazione dei nazionalismi, (già presenti) e nella ricerca di una competitività riveniente dalla riduzione dei costi del lavoro, più che dal rilancio della produttività e dell’efficienza generale del sistema ” Italia”.

Rimane il fatto che l’Europa, nel suo insieme, ha tuttavia davanti a se una sfida di civiltà.

La crisi economica, che la vede protagonista, è anche una crisi di posizionamento all’interno dello sviluppo economico e civile mondiale.

Sapremo far sì che le nostre differenze costituiscano un vantaggio, piuttosto che una difficoltà?

Sapremo superare le diffidenze, per avviare una crescita comune?Sapremo fare in modo che il terreno europeo costituisca per tutti un’opportunità?

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