Mino ARGENTIERI- Controvideo. Domande sull’Euro (e altre ancora)

 

 

Controvideo*

DOMANDE SULL’EURO


E altre ancora

 

Rimanere stretti all’euro o abbandonarlo? Restare nell’Unione Europea, correggerne l’assetto e le regole oppure uscirne? Sono domande che si rincorrono nei talk show politici, temi che dividono e contrappongono. Ma le affermazioni, favorevoli o contrarie, sono assertive, accalorate, raramente provviste di ragionamenti approfonditi. Manca, in primo luogo, una informazione adeguata e basilare sulle dinamiche finanziarie e sulle istituzioni deputate a governarle. Per milioni e milioni di telespettatori la Finanza, i suoi addentellati internazionali, le manovre e i disegni generali, i suoi meccanismi sono un mistero. L’uso abituale di terminologie anglosassoni rende più oscura una materia che richiederebbe un serio e rigoroso approccio conoscitivo.

In assenza di una divulgazione chiara e, di un linguaggio accessibile, che non semplifichino ma inducano a comprendere la realtà e la complessità dei fenomeni, al cittadino giungono messaggi propagandistici, slogan e non pensieri, schematizzazioni che agiscono sulla sfera emotiva, per un verso o per l’altro, premiando il luogo comune e sacrificando la riflessione sui dati di fatto.

Probabilmente, questo è ciò che si vuole, l’accorgimento migliore per occultare verità scomode come quella deducibile dall’esistenza di autorità che decidono la vita e la morte di nazioni ed economie affatto prive di legittimazione democratica e di controllo sociale, strumenti che esercitano un dominio di indole dittatoriale.

Una Tv pubblica dignitosa, onesta e leale sarebbe tenuta, in  uno spirito di indipendenza, a predisporre materiali che agevolino la maturazione di un giudizio fondato su una dialettica di posizioni ampiamente argomentate. Una condotta che sia sciolta dalla tendenza, ancora soverchiante, a emettere verdetti, spigolare interlocutori comodi (compari di fiera), imbonire e ricattare, prospettando catastrofi ogniqualvolta si ponga in dubbio l’esistente. All’unanimità invocato dalla Destra, dal Centro e dalle Sinistre, l’ingresso nell’euro (ossia il cambio della moneta, che ha comportato numerosi disagi, il rincaro dei prezzi, la perdita del potere d’acquisto per le classi e i ceti più deboli) è stato preceduto e sancito da una televisione osannante e completamente sguarnita di voci critiche. Auguriamoci che un giorno si insegni a servirsi del cervello e non del basso ventre. E’ un compito che la comunicazione audiovisiva e cartacea, nel suo insieme, stenta a svolgere, asservita come è agli interessi costituiti, macchina di persuasione per la conquista del consenso anziché fonte di acculturazione: il contrario di quello che è stato il sogno di Roberto Rossellini, purtroppo penosamente infranto.

 

DIRITTO ALLA PRECISIONE

 

Eugenio Scalfari, uno dei principi del giornalismo italiano, ha varcato il confine dei 90 anni, una età spesa nel rispetto degli ideali liberal-democratici. La Rai gli ha reso omaggio in più occasioni, commettendo però un errore: gli ha attribuito la paternità del settimanale l’Espresso, che è  di Arrigo Benedetti, già fondatore e direttore dell’Europeo. Spetta all’autore di Paura all’alba e di altri pregevoli libri se Scalfari è entrato nella famiglia del nuovo giornale in qualità  di amministratore e successivamente come commentatore economico. Più innanzi, in seguito a un contrasto con la redazione, Benedetti ha abbandonato la direzione dell’Espressoche è stata assunta da Scalfari e felicemente condotta. Non dissimile equivoco si verifica spesso nei massmedia, ascrivendo la nascita di Il giorno all’ENI mentre gli artefici di quel quotidiano innovativo sono stati l’editore Cino Del Duca e il giornalista Baldacci. L’ENI entrerà in scena, con gli uomini di sua fiducia, in un secondo tempo. E’ bene non commettere sbagli per amore di precisione

 

 

CANONIZZAZIONI

 

Due pontefici, che hanno goduto di una vasta popolarità (invero, nella Storia della Chiesa presso i fedeli l’hanno avuta tutti, più o meno, i migliori e i peggiori). Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati canonizzati in una mandata. Era inevitabile che l’avvenimento si trasformasse in uno spettacolo, tanto più che la religione cattolica in materia ha molto da insegnare e la Tv non è allieva distratta e tardiva. A officiare, per giunta, c’è stato un Vicario affabile, Francesco, e un ex, dimissionario ufficialmente per motivi di salute. Santi in gloria, folle di adoranti in piazza San Pietro e dintorni, pellegrini giunti da vari angoli del mondo, canti sacri, preghiere all’aperto e nelle parrocchie, veglie notturne e diurne e commozione: la testimonianza audiovisiva s’è esplicitata in questo repertorio risaputo. C’è stata una sola eccezione, La7, uno “speciale” di Otto e mezzoin cui Lilli Gruber, con la consueta finezza, ha messo a fronte interpretazioni opposte su pontificati non assimilabili tra loro meccanicamente e forzatamente come prevede la vulgata ecclesiastica e non è accettabile al vaglio dell’indagine storica. Bravissima Gruber a scegliere la via della razionalità piuttosto che acconsentire a una fede che non ha il diritto di cancellare le differenze e le pecularietà dei Sommi Pastori, atti e pensieri non confondibili e non sommabili in un mucchio indistinto, in una continuità indimostrabile. Una oasi la trasmissione della Gruber, circondata da emittenti che hanno battuto bandiera vaticana in uno Stato, il nostro, che non è laico per volontà dei padri costituenti, dei loro successori e di Togliatti e Craxi, che i Patti Lateranensi, firmati da Mussolini nel 1929, non li hanno aboliti ma rilegittimati e aggiornati successivamente.  (*Cinemasessanta)

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