Sauro BORELLI- L’Infinito Leopardi (“Il giovane favoloso”, un film di Mario Martone)



Il mestiere del critico



 

L’INFINITO LEOPARDI

 

Il nuovo film di Mario Martone “Il giovane favoloso”

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L’infinito Leopardi. Sì, proprio così. Sin dalle prime inquadrature del nuovo film di Mario Martone (e della cosceneggiatrice Ippolita Di Majo) Il giovane favoloso si resta abbagliati – grande è l’apporto creativo del direttore della fotografia Renato Berta – da un immaginario fisico e ambientale (quegli scorci agresti, quelle figure stagliate dei vari personaggi) realistico e insieme sofisticato. Recanati, l’odiosamato “natio borgo selvaggio”, il palazzo avito dei conti Leopardi, l’incombere della tetra biblioteca: tutto converge nello scolpire un décor ora solare ora asfittico di una vicenda cadenzata da eventi piccoli e grandi.

Un complesso correlato alla silhouette tribolata del campeggiante eroe eponimo, Giacomo Leopardi, visto, ricordato prima bambino-adolescente, quindi giovane intellettuale di precocissimo talento poetico, infine uomo maturo angosciato e riottoso verso un mondo oppressivo e laido, ormai sbalestrato tra esperienze esistenziali desolanti, amori frustrati, strenui quanto vani tentativi di riscatto, di rigenerazione. Insomma, un ritratto apocrifo rispetto alle convenzionali trattazioni dell’inimitabile Leopardi, per l’occasione reinventato dalla rivisitazione di Martone & complici in una figura composita, mai delimitata da abusati schemi o da aride semplificazioni: in estrema sintesi l’infinito Leopardi, ché del suo celeberrimo componimento poetico incarna senso ed espressività di una intiera concezione del mondo.

In effetti, l’intento primario che ha mosso Martone ad affrontare e venire a capo, dopo una defatigante gestazione di sette anni, del Giovane favoloso (titolo mutuato da una definizione azzeccata di Anna Maria Ortese) è tutto esplicito nelle parole dello stesso cineasta allorché così spiega l’idea del “suo” Leopardi giusto in contrasto con gli stereotipi da sempre in  circolazione sul conto del poeta di Recanati: “Ciò che mi ha appassionato è l’indole autentica di questo pensatore ribelle, ironico, socialmente spregiudicato… La sua immaginazione è chimerica, visionaria. Basta pensare alle Operette morali (dallo stesso Martone portate sulle scene con successo), un mondo di gnomi, folletti, mummie, personaggi storici e mitologici, figure della quotidianità ed esseri simbolici… Che a tanti sembra la monotonia di un gobbo triste a me pare una vita straordinariamente intensa. Ci voleva coraggio nel primo Ottocento per compiere un viaggio avventuroso dalla claustrofobica Recanati… attraverso Firenze, Roma, Napoli”.

Tutte tappe, queste ultime, di una univoca ossessione: “… Leopardi preme per la libertà. La libertà di un pensiero dirompente – spiega ancora Martone – che non si adegua a nulla”. Così dalle adolescenziali frequentazioni del maestro anticonformista Pietro Giordani, nel proposito di emanciparsi dalla soffocante tutela psicologica-culturale del reazionario padre Monaldo, il giovane Giacomo benché confortato dal solidale affetto dei fratelli Carlo e Paolina, si avventura nel fatuo mondo dei salotti, per sortirne subito offeso e oltraggiato dalla volgarità e insipienza dei più. Soltanto l’aitante, prodigo, appassionato Antonio Ranieri risulterà l’amico provvido, soccorrevole di sempre, persino nel propiziare la fallace infatuazione di Giacomo per la bella Fanny Targioni Tozzetti.

Il giovane favoloso, si può dire, è un’incursione tutta eterodossa nel colmo di quell’avventura a perdifiato che è stata, oltre e dentro un’insuperabile eccellenza creativa, la vita di Giacomo Leopardi, non quale effigie mitizzata, apologetica di uno tra i maggiori (se non il maggiore) poeti della letteratura italiana e della letteratura tout court (nel mondo anglosassone stanno scoprendo proprio in questi giorni tanto e tale genio), ma l’emblema per sé solo di un carisma naturale che, nel fuoco di contraddizioni estreme, ha saputo (soprattutto voluto) imporre, conquistare col suo incommensurabile talento, con la sua dedizione alla libertà, una esaltazione esemplare della vita.

Elio Germano, nel ruolo del protagonista, assolve magistralmente al compito di dare personalissimo risalto al carattere, alle controverse vicissitudini del “giovane favoloso” e con sottile sapienza recita L’infinito e La ginestra giusto a supporto di un’interpretazione sempre puntuale, calibratissima del ruolo maggiore. Per l’occasione gli sono al fianco, quali interpreti di spicco, nelle figure complementari, Massimo Popolizio (Monaldo Leopardi), Michele Riondino (Ranieri), Anna Mouglalis (Fanny), e, ancora, uno staff tecnico-artistico superlativo. Mario Martone, di cui è da ricordare di rigore il bellissimo, originale Morte di un matematico napoletano, ha certo osato molto con questo suo nuovo film, ma ha toccato altresì un esito davvero importante, felicissimo.

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