Sauro BORELLI- Fra ironia e tristezza (“La sedia della felicità”, film postumo di C.Mazzacurati)


 

 

Il mestiere del critico

 

 

FRA IRONIA E TRISTEZZA

 

 

“La sedia della felicità” , film postumo di Carlo Mazzacurati

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La prematura, recente scomparsa di Carlo Mazzacurati (il 22 gennaio 2014) carica l’uscita postuma del suo ultimo film La sedia della felicità di un’aura a mezza via tra la tristezza e l’ironia. E diciamo subito perché: si tratta di una vecchia storia – desunta con molta fantasia dalla celebre favola di Ilf e Petrov Le dodici sedie, più e più volte portata sullo schermo (da Mel Brooks, Il mistero delle 12 sedie, e persino in Italia, Una su tredici, con Gassman, Orson Welles e Sharon Tate).

I due scrittori russi, autori del romanzo Le dodici sedie hanno fornito l’innesco del canovaccio di Mazzacurati che, sulle tracce di due sbrindellati picari – lei una volonterosa ragazza impelagata nei debiti per gestire il suo “negozio di bellezza” e lui un ingenuo giovanotto, tatuatore di mestiere – srotola le loro desolate peripezie per appropriarsi, costi quel che costi, di un consistente malloppo che una donna criminale ha confessato, in punto di morte, di aver allogato in una delle dodici sedie finite avventurosamente ad un’asta pubblica.

Ispessita, poi, in una disinvolta sceneggiatura che tira in campo altri più o meno balzani personaggi (un prete sovreccitato ed esoso, anch’egli in caccia del presunto tesoro ricercato dalla ragazza e dal giovanotto) dislocati in una terra devastata dal consumismo e dalla dissennata sete di potere – il già mitico Nord-Est – La sedia della felicità prospetta, tra lazzi e disgrazie ricorrenti, un contesto sociale in pieno degrado in cui risaltano figure e dettagli che fanno da controcanto dolente e grottesco all’intiera vicenda divagante tra città e campi disertati da ogni residua civiltà contadina già tipica, a suo tempo, del territorio veneto.

L’affannosa, caotica caccia al tesoro, ovviamente, inciampa ininterrottamente in contrattempi, situazioni sempre ai margini del disastro, ma l’ostinata brama di ricchezza del giovane e della ragazza, nel frattempo colti da un tenero e reciproco sentimento, trascinerà entrambi in spericolate incursioni in posti abitati “mostruosamente” da tipi subumani (i due montanari pressoché muti e selvaggi) e da mucche, orsi e animali vari, uno zoo naturale perso tra inospitali (ma neanche tanto) montagne. In effetti, l’epilogo saluta i due giovani innamorati che, finalmente in possesso del tesoro, se ne vanno al tramonto tra dirupi e prati in fiore. Meglio di così…

Mazzacurati, ricordandolo da vivo, era un ragazzo d’oro, come si dice. E per di più era un bravo cineasta che nella sua purtroppo breve carriera ha dato tangibile prova di creare un cinema animato da personalissimi, originali spunti narrativi. Significativamente si è detto della sua “opera prima”: “Notte italiana segna l’esordio di un regista schivo e sensibile, capace di scovare gli angoli nascosti di una provincia intesa non solo come luogo geografico, ma come spazio narrativamente intimo e lontano dai toni gridati…”.

Altre cose considerevoli di Mazzacurati sono da valutare i successivi, incalzanti lungometraggi Un’altra vita, Il toro, Vesna va veloce, La lingua del santo, A cavallo della tigre, tutte opere intrise di quella bonaria e insieme sapida ironia che di singoli personaggi come di corali vicende fa una decalcomania eloquente di un’esistenza appartata ma non mai inerte, di uno sguardo sul mondo fatto di tenero sarcasmo e ancora di solidale compatimento. Insomma, un cinema agile ed abile nel cogliere difetti e manchevolezze della realtà e, altresì, nel perdonare amabilmente le storture del mondo. Grandi o piccole che siano.

Eppoi, ancora a proposito del film postumo La sedia della felicità sembra abbia chiamato a raccolta per un saluto estremo la miriade di amici attori celebri e altri meno noti ma bravissimi, al caro, sempre spiritoso Carlo Mazzacurati: da Antonio Albanese a Fabrizio Bentivoglio, da Isabella Ragonese a Valerio Mastandrea, da Katia Ricciarelli a Milena Vukotic, da Silvio Orlano a Giuseppe Battiston è tutto un proliferare, scoppiettare di presenze e di scriteriati caratteri destinati a fare da corona adeguata al loro (scomparso) maestro e donno, Carlo Mazzacurati.

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