Sauro BORELLI- Sesso, soldi e sentimento (J.Turturro e W.Allen in “Gigolò per caso”)

 

 

 

 

Il mestiere del critico

 


SESSO, SOLDI E SETIMENTI

 

Il nuovo film di John Turturro “Gigolò per caso”


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John Turturro, cineasta americano poco meno che sessantenne, è prima di tutto un bravo attore (sue diverse prove d’eccellenza nei film di Spike Lee e dei fratelli Coen, oltre un ruolo maggiore nella Tregua di Francesco Rosi) e, poi, un regista di buona mano (soprattutto da ricordare la sua “opera prima” Mac). Recentemente, allettato dalle suggestioni della sua ascendenza marcatamente italiana (il padre calabrese, la madre siciliana), si è prodotto in alcuni cimenti – in teatro e sullo schermo – raccordati, appunto, alla cultura, alle modalità espressive napoletane (suo è anche il film Passione incentrato sul complesso mondo poetico partenopeo). Inoltre, in questo primo scorcio del 2014 risulta tra gli interpreti di spicco del nuovo lungometraggio di Nanni Moretti Mia madre, ove nel ruolo di un attore americano recita in inglese, in italiano, accanto a Margherita Buy, regista di successo titubante tra carriera e sfera privata.

Ora, questa propedeutica informazione è quanto mai necessaria per capire meglio, per penetrare a fondo l’intento tutto originale che impronta di sé, la nuova realizzazione di Turturro, tanto come regista quanto come attore. Il titolo? Gigolò per caso (in originale Fading Gigolò) uno scorcio tutto personale d’una contingente Manhattan abitata – parrebbe – da personaggi “esemplari” quali il fiorista-libraio Fioravante (lo stesso Turturro), il suo principale Murray (Woody Allen) ormai in via di abbandono della sua originaria professione e, via via, la smagliante dermatologa dottoressa Parker (Sharon Stone), la sua vogliosa amica Selima (Sofia Vergara), la mortificata ma non vinta vedova ebrea Avigal (Vanessa Paradis) e il suo geloso spasimante Dovi (Lev Schreiber). E’ un mondo piccolo, inventato in combutta – sulla carta e sullo schermo – da Turturro e da un Woody Allen felicemente sintonizzati nel prospettare una storia garbata, civilissima sugli alterni casi, appunto, di personaggi irretiti in vicende, incontri e scoperte di volta in volta sorprendenti e ammaestratori.

Dunque, l’attempato Murray, desolatamente costretto dagli scarsi profitti, ad abbandonare la sua pur prestigiosa libreria antiquaria, a Manhattan, ha di colpo l’alzata d’ingegno di proporre al suo quieto, rassegnato commesso Fioravante (o come diverrà più tardi:Virgilio) di sobbarcarsi ad un azzardato, lucroso mestiere, il gigolò o, come più esplicitamente detto in italiano di esercitare “il mestiere più antico del mondo”, il prostituto per ricche e smaniose signore in vena di tentare più gratificanti esperienze sessuali.

La cosa, pur individuata con disinibita disponibilità, prende presto consistenza con il condiscendente Fioravante (dotato, come brillantemente qualcuno ha scritto, di un “gentile squallore”) a fronte della bella, elegante, spiritosa dottoressa Parker e, di lì a poco, anche della prosperosa Selima, presto suscitatrice di un ménage à trois di intrigante novità (e sul quale Murray-Allen rivela un lontano, positivo ricordo). Ma le manovre di Murray e Fioravante ripagate  da lauti compensi assumono, per di più, ramificati sviluppi. Infatti, Fioravante, colpito dalla sfortunata vicenda della vedova ebrea-hassidica Avigal, è indoto a portarle soccorso, come meglio può, praticandole rilassanti massaggi, ma senza altri tentatori rimedi. La situazione, benché apparentemente appagante tanto per la signora Parker, per la sua amica Selima e per la derelitta vedova hassidica incastrata tra regole e divieti della sua confessione religiosa, si guasta allorché Dovi, spasimante minaccioso della stessa Avigal, costringe la donna davanti al drastico giudizio dei vecchi, saggi rabbini hassidici, accusandola di pratiche proibite.

A questo punto, l’intiero rapporto plurimo di Fioravante, di Murray e delle loro generose “clienti” s’inceppa irrimediabilmente, anche perché il tenero amante a prezzo fisso s’innamora, del tutto imprevedutamente dell’ormai scafata Avigal (che ai vecchi saggi rivela con disarmante candore di aver peccato soltanto “per solitudine”) che comunque convolerà a nozze con l’incalzante, pretenzioso Dovi. C’è, in questo epilogo, di una favola insieme sottilmente ironica e sottesa da una sapiente strategia dei sentimenti il proposito palese di perlustrare, con misura e gusto calibrati, nel controverso e pur sempre risorgente duello tra uomini e donne, persino complicato dalle esose necessità esistenziali e da una sorridente, poetico spirito di sopravvivenza.

Significativamente John Turturro ha così chiosato il senso della sua fortunata fatica: “Il film non parla di me, ma dei rapporti tra uomini e donne, di amicizia, di solitudine. C’è il desiderio di ognuno di noi di intercettare le attenzioni degli altri”. E per toccare simile approdo, Turturro, ribadendo la passione per quel che pertiene il coté italiano del suo cinema, non ha esitato a ricorrere da un lato a ripetute frasi nella nostra lingua. E, ancor più, ad affidare la direzione della fotografia a Marco Pontecorvo (figlio di Gillo) e il montaggio del film a Simona Paggi, quasi a rimarcare ancor meglio la sua determinata vocazione alla riscoperta delle proprie radici. Gigolò per caso risulta, in definitiva, un film del cuore ove la bonomia, l’umorismo, la tolleranza si mischiano, si fondono in un apologo di spiritosa, confortante filosofia della vita.

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