Sauro BORELLI- Il mito e l’enfasi (“Noah”, un film di Darren Aronofsky)

 

 

 

Il mestiere del critico


 

IL MITO E L’ENFASI

Locandina Noah

 

“Noah” Il nuovo film di Darren Aronofsky

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La Bibbia, si sa, è la fonte di (quasi) tutte le storie, i personaggi, gli eventi pervasi di avventurose gesta. E, per di più, le varie confessioni religiose che dalla stessa Bibbia traggono suggestioni, credenze, dogmi e precetti non hanno mai smesso, dall’origine del mondo, alla più ravvicinata, corrusca realtà contemporanea di accapigliarsi, di scannarsi persino su chi, come, perché la vulgata più autentica, più ortodossa sia la propria e, di conseguenza, tutte le altre sono biasimevoli, da condannare, da vituperare, pena la morte, la dissoluzione pura e semplice.

Tutto ciò per dire che il nuovo film del cineasta americano Darren Aronofsky, incentrato sul mito classico di Noè – per l’occasione ribattezzato Noah –, risulta la più recente versione, appunto, dell’arcaico progenitore che, su mandato del sommo Creatore, disamorato dell’umanità tutta, pose mano e realizzò fedelmente l’improba fatica di costruire la gigantesca Arca nell’intento (riuscito, a quel che si dice) di salvare l’intiero globo dal diluvio universale e, in subordine, tutti gli animali, gli uomini, le donne, il residuo sentimento del Bene in eterna lotta contro il Male.

E’ tanto accertato lo stato delle cose ora descritto che, a tutt’oggi, al solo sentire la notizia del temerario, ma anche talentoso, Aronofsky, determinato a realizzare un film desunto, con ampie licenze, dal brano della Bibbia riservato alla figura campeggiante di Noè (o Noah che sia) hanno cominciato subito a profferire interdizioni, veti o proibizioni condanne d’ogni genere. Noè è roba loro, la Bibbia con tutti gli annessi e connessi è materia esclusiva di officianti, sacerdoti, esegeti, non si sa da chi e come autorizzati, e quindi ogni altra mediazione dell’originario testo sacro viene ad essere blasfemo, intollerabile, da distruggere e basta.

Per fortuna, che Aronofsky e i suoi complici – confortati da un marchingegno spettacolare come la dilagante tecnica del 3D – non si sono dati punto pensiero di parrucconi, fanatici e bigotti di tutte le confessioni religiose e risolutamente, con un budget da dissipatori (150 milioni di dollari) hanno, dopo laboriose riprese, toccato l’esito di un giocattolone smodato e farraginoso di un film, protratto per oltre due ore, sulla figura, le gesta esagerate ed esagitate del mitico Noè e dei suoi indocili caudatari (la moglie, i figli, i nipoti) e della sterminata congrega degli animali da salvare.

Alla bisogna, Aronofsky che è un tipo, sembrerebbe, più che resoluto, ha precettato, per il ruolo del mitico e mitizzato protagonista il roccioso (e adiposo) Russell Crowe, attorniato da un incartapecorito Anthony Hopkins, e via via da Emma Waston, Jenny Connely, Ray Winstone: più una miriade di figuranti, di comparse per creare verosimilmente le intricate, affollatissime scene di guerra, di infiniti sfracelli in cui l’umanità ormai allo sbando cerca di trovare salvezza, capeggiata da un crudele despota, dall’incombente diluvio. La vicenda, per macroscopica che sia, prende le mosse con grandiosi scorci naturali e dissennati scontri tra Noè e tutti coloro che aborrono la “soluzione finale” cui egli si appresta a dar luogo. Grintoso e inamovibile nel suo fiero proposito – l’ha delegato lo stesso Creatore, d’altronde –, il Nostro marcia resoluto verso la costruzione dell’arca e, poi, nel raccattare gli animali del Creato. Ma anche questo arduo compito non è senza intoppi: persino i figli cercano (vanamente) di sottrarsi all’amaro destino di restare soli nel vasto mondo sommerso dalle acque.

Poi, però, a forza di fatiche inenarrabili, di soprassalti e colpi di scena risolutori, l’Arca prende il largo col suo prezioso carico, fintantoché dopo giorni e giorni di prolungato maltempo il sole torna a brillare su quel deserto d’acqua e, infine, i sopravvissuti approdano a una verdeggiante terra emersa. Il lieto evento è da tutti salutato con smaglianti sorrisi. Ebbene, in tanto e tale tripudio, Noè che fa? Prende una solenne, formidabile sbornia di vino. Mica tanto epico, si dirà. Comunque è un fatto: Noè, nonostante tutto, era, è e rimarrà un uomo, coi suoi difetti e i suoi meriti. Infatti, di lì a poco, lo stesso Noè, già allettato dal vino, si mostrerà provvido e tenero padre e marito coi suoi familiari, mentre un tramonto tutto rosa echeggiante di zuccherose melodie invade lo schermo in 3D, suggerendo l’abusato consolatorio concetto: “E vissero tutti felici e contenti”.

Aronofsky, certo, ci sa fare, quanto a raccontare favole, pur se questo suo Noah ci sembra uno spasso un po’ dispendioso, visto lo scarso diletto che in fin dei conti procura. A suo tempo, nel lontano 1966, il grande John Huston interpretò e diresse lui stesso una controversa lettura della Bibbia e, da quell’indocile diavolaccio che è sempre stato, fu il primo a ironizzare sapidamente su quella sua inusuale impresa. Aronofsky, invece, l’ironia non sa nemmeno che cosa possa essere.

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