Sauro BORELLI- L’ ABC del neorealismo (“Roma città aperta” in copia restaurata)




Il mestiere del critico

 

 

L’ABC DEL NEOREALISMO

“Ritrovato” il capolavoro di Rossellini “Roma città aperta”

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Rivisitare, oggi, Roma città aperta, il capolavoro di Rossellini che la rigorosa cura della Cineteca di Bologna (in collaborazione con quella di Lione) ci ripropone in una versione restaurata di smagliante nitore, è certo un’emozione intensa che non esclude un immediato richiamo alle problematiche questioni innescate sia dall’ordito narrativo sia dalla struttura drammaturgica connessi proprio al tipo di poetica innovatrice del film rosselliniano,  specie rispetto al cinema convenzionale del passato e, ancor più, agli scorci realistici della vicenda portante.

Si è giustamente scritto in proposito: “Film emblematico in molti sensi, Roma città aperta delimita e al tempo stesso supera i confini del cinema. ‘Dentro’ il cinema è l’opera che apre la nuova stagione cui fu dato il nome di neorealismo. ‘Fuori’ del cinema, fissa la svolta della storia italiana con cui si esaurisce l’esperienza fascista”.

Incentrato sul clima torvo, tragicissimo della capitale funestata dalla repressione nazifascista tra il 1943-1944, Roma città aperta è la risultanza dei concomitanti slanci creativi, appunto, di Rossellini e dei complici Sergio Amidei e Federico Fellini che in alterna misura prospettavano la memoria, oltreché la vivida testimonianza della tribolata stagione resistenziale, anche e soprattutto nelle sue componenti più contingenti, vibratamente popolari (non è un caso che affiorino di quando in quando spunti e suggestioni melodrammatiche di gusto tutto dialettale).

Senza alcuna “mediazione” di tipo ideologico o specificamente politico, Rossellini affronta risolutamente un tema che della realtà coglie in modo speciale l’aspetto effettuale – i personaggi coinvolti, le storie quotidiane, gli approdi cronachistici – di un mondo contiguo, contingente che non si può definire altrimenti che la realtà di una determinata epoca, di un divenire tutto pragmatico e abitato da naturali passioni esistenziali.

In questo senso, la traccia narrativa è esemplare. Roma città aperta racconta di un comunista che tesse le fila della Resistenza, di un prete che lo aiuta, di un tipografo catturato in una retata (e della donna che sta per sposare, uccisa dai tedeschi, mentre rincorre il camion che trasporta gli arrestati) della repressione effettuata dai nazisti con la complicità delle autorità italiane, della morte del comunista torturato e della fucilazione del sacerdote.

L’elemento di fondo che ha caratterizzato fin dalle origini affannosamente complicate di Roma città aperta è stato, in effetti, l’approccio sempre eterodosso di Rossellini rispetto ai convenzionali metodi registici e ancor più nell’assemblaggio di una compagnia di attori (taluni anche non professionisti) che, per l’occasione, hanno saputo trascendere il loro abituale ruolo interpretativo per dare corpo e senso a personaggi vigorosamente trascinanti: dalla volitiva, carnale Pina, ovvero Anna Magnani esaltata nella propria urlante protesta umana, ad Aldo Fabrizi, un prete dalla bonaria generosità, dal “comunista” indomito Marcello Foliero ai restanti comprimari (Maria Michi, Giovanna Galletti, Francesco Grandjacquet, ecc.).

Ora, in tempi in cui il prepotere e l’efficienza speculativa del cinema americano stanno devastando – salvo sporadiche e parziali sortite “resistenziali” di film e cineasti europei e di fuorivia – l’assetto e l’incidenza anche delle migliori realizzazioni internazionali, è perlomeno confortante che il capolavoro rosselliniano dia conto, anche con un effetto tutto sommato un po’ patetico, di quanto e come sia stato (e, storicizzando le cose, lo sia tuttora) della quasi traumatica importanza d’un film come Roma città aperta proprio nel colmo di un problematico, tormentato periodo storico quale il secondo dopoguerra.

Significativamente, nel suo benemerito dizionario dei film, Morando Morandini così prospetta nel caso particolare il proprio meditato giudizio critico: “Specchio di una realtà come colta nel suo farsi, appare oggi come un’opera ibrida in cui il nuovo convive col vecchio, i grandi lampi di verità con momenti di maniera romanzeschi, in bilico tra lirismo epico e retorica populista. La stessa lotta antifascista è raccontata ponendo l’accento sul piano morale più che su quello politico, il che non gli impedì di essere il film giusto al momento giusto”. Anzi, l’opera che costituì, a conti fatti, l’ABC del neorealismo.

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