Sauro BORELLI- Mafia, amore e morte (“Salvo”, un film di Grassadonia e Piazza)

 

 

 

Il mestiere del critico


MAFIA, AMORE E MORTE

Locandina Salvo

 

Salvo” il film pluripremiato del duo Grassadonia – Piazza

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Ci sono voluti anni affinché il proposito di due ostinati aspiranti cineasti – Fabio Grassadonia e Antonio Piazza – potessero realizzare, dopo aver vinto con la loro sceneggiatura il premio Solinas, il lungometraggio d’esordio intitolato Salvo, interpreti: l’attore palestinese Saleh Bakri, la debuttante Sara Serraiocco, il bravo Luigi Lo Cascio, ecc. Poi, quest’anno, alla Semaine de la critique di Cannes l’improvvisa, quanto totale consacrazione dello stesso film con due premi prestigiosi e l’unanime consenso della critica internazionale.

Eppure Salvo non è, a rigore, un film molto rappresentativo delle attuali tendenze del cinema di casa nostra, incentrato com’è su uno scorcio drammatico ben definito e strutturato secondo moduli narrativi-stilistici di algida intensità espressiva. Evidentemente, la prolungata gestazione – anche in ordine ai complessi problemi di produzione e distribuzione (soltanto ora giunta in porto in Italia) – ha per qualche verso giovato alla circostanziata cura con cui i due neoregisti hanno concepito e svolto poi in dettaglio l’assunto di questa “favola nera” arieggiante, da un lato, ad un cruentissimo action movie (specie all’inizio congestionato di spari di malavitosi), e dall’altro da un successivo incalzarsi di rallentati piani-sequenza tesi a prospettare emozioni, sentimenti basilari quali la paura, l’incombente violenza, l’attesa esasperata di una possibile salvezza, forse d’una improbabile redenzione.

Ma andiamo con ordine. L’incipit di Salvo è tutto un precipitoso deflagrare di spari, di inseguimenti, di fughe tra bande criminali. Poi, Salvo, un killer agile, spietato entra in campo e domina subito la scena. In caccia di un bandito rivale, lo raggiunge e lo giustizia a bruciapelo. Al fatto assiste, senza vedere alcunché perché cieca, la sorella della vittima, Rita. Di fronte all’inattesa presenza della ragazza, il killer Salvo ha prima un attimo d’esitazione quindi decide di fare grazia della vita a quella pur temibile testimone. Sono momenti tesi, dipanati in una muta schermaglia tra la sfortunata ragazza e l’inesorabile assassino.

Qui, ancora articolato tra la fotografia essenzialissima di Daniele Ciprì e la scenografia prosciugata di Marco Dentici, prende gradualmente forma e senso compiuti il dramma di un legame impossibile eppur ben esistente tra la ragazza che, scossa dal violento trauma cui è costretta a soggiacere, riacquista di colpo la vista.

La ragazza deve subire altresì il rapimento e la segregazione da parte di Salvo, parallelamente ravveduto (almeno per pietà) del suo agire cruento, tanto da portarsi nei confronti di Rita e persino coi personaggi ectoplasmatici con i quali convive spartanamente in un interno familiare a dir poco disossato, come una sorta di alieno ossessionato soltanto dal rigore dei propri gesti e, soprattutto, dall’ossessiva preoccupazione di proteggere da un minaccioso capomafia la vulnerabile Rita, cui lo stesso Salvo, impercettibilmente corrisposto, si sente ormai legato da un sentimento d’affetto o, se si vuole, da una specie d’amore.

La dinamica che sopravviene tra il brusco, sbrigativo Salvo e la sempre allarmata Rita si incontra, si scontra con la rude realtà fisica circostante, una desolata Palermo di periferia tra capannoni fatiscenti e presenze torve, di quando in quando rimbombante delle gesta criminose di cinici giovinastri costantemente dediti a soperchierie e fattacci d’ogni genere. Fintantoché, un brutto giorno il capomafia e i suoi scherani cercano di sottrarre alla tutela di Salvo la povera Rita, ma, pur ferito, il già spietato killer riesce a far fronte all’attacco, per spegnersi di lì a poco quietamente, solo, dinanzi a un tramonto di fuoco.

Film governato da un rigore figurativo strenuo e da una essenzialità narrativa esemplare, Salvo viene ad essere, anche per le ottime prove degli interpreti e l’azzeccata scansione ritmica del racconto, un’opera che per sé sola testimonia dell’intento alto di un esordio insieme felice ed originalissimo di due giovani cineasti, appunto Grassadonia e Piazza, destinati certissimamente a più consistenti, pregevoli avventure creative. Almeno, noi glielo auguriamo di cuore.

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