Bianco Natale / Gian Marco Griffi, Ferrovie del Messico, Laurana, 2022
@ Amedeo Ansaldi, 10 dicembre 2023
Gian Marco Griffi ha viaggiato nella scorsa settimana in Messico, sempre rigorosamente in treno (o almeno così ci piace pensare), accolto con grande calore e simpatia dalle locali associazioni letterarie – delle quali è diventato uno dei beniamini – per visitare quei luoghi che tanto bene ha descritto nel suo romanzo d’esordio, pur senza averli mai visti (come faceva Salgari con la Malesia e i suoi pirati). Sotto il profilo estetico è pressoché indifferente accertare se l’ambientazione sia frutto, come parrebbe, di un lavoro di strenua e scrupolosa documentazione o non sia dovuta piuttosto al fertilissimo intuito dell’autore (una cosa non esclude l’altra). In ogni caso Ferrovie del Messico, pubblicato nella collana ‘fremen’ della casa editrice Laurana, diretta da Giulio Mozzi, ha ottenuto in breve lasso di tempo diversi prestigiosi riconoscimenti (ricordiamo almeno il Premio Mastercard Letteratura e il Libro dell’anno di Fahrenheit) ed è entrato, su accorta segnalazione dello storico Alessandro Barbero, nell’elenco dei dodici semifinalisti del più importante concorso letterario del nostro Paese. Ma forse, ed è l’aspetto più rilevante, è stato anche il libro candidato di cui si è parlato maggiormente; in certo modo, e senza nulla togliere agli altri partecipanti, il vincitore morale del Premio Strega, edizione 2023.
Fin dall’uscita, il romanzo ha conquistato legioni di lettori ed estimatori, dovendo la propria inattesa quanto meritata fortuna a un serrato passaparola.
La prima cosa che balza agli occhi anche aprendo il libro a caso è che Griffi ha operato, al modo, diremmo, di Saramago, la scelta suggestiva di rinunciare al classico discorso diretto (nel senso di aperte e chiuse virgolette), presumibilmente allo scopo di accentuare il carattere di romanzo-fiume delle Ferrovie. Nonostante la natura aneddotica, più da novelliere che da romanziere, dei singoli capitoli, che hanno ciascuno autonomia propria, il libro presenta i connotati digressivi e polisemici dell’opera-mondo, mantenendo nel contempo una sostanziale coesione. Lo stile ne risulta colloquiale eppure letterariamente scaltrito. I modelli – certo, inarrivabili – sono molteplici e facilmente individuabili: Rabelais, Sterne, Kafka, Stevenson, Borges, Proust, Céline, Gadda, Joyce, Buzzati, Harold Pinter, Beckett, Ionesco, García Márquez, perfino Gianni Brera, ma si potrebbero fare forse ancora tanti nomi.
Riferimenti culturali così nobili e disparati sottintendono, di norma, il rischio di aver puntato troppo in alto, o di aver messo troppa carne sul fuoco, invece Griffi in moltissime pagine (il libro ne conta ca. 800) si rivela scrittore consumato ed epigono all’altezza.
I narratori che si succedono sulla scena nel corso della vicenda sono tanti e variano di capitolo in capitolo; alcuni (soprattutto Cesco Maggetti, ma non solo) ricorrono più o meno spesso, altri prendono la parola una volta sola per poi tornare nell’ombra, salvo restare tenacemente impressi nella memoria del lettore (un esempio per tutti: l’aristocratico bibliofilo incorreggibile).
Gli episodi non sono esposti in rigoroso ordine cronologico: ben presto, nonostante l’indicazione della data all’inizio di ciascun capitolo, il lettore rinuncia a ricostruire minuziosamente la sequenza dei fatti, ch’è poi in fondo particolare secondario in un romanzo di questo genere. Il che non significa che la successione dei capitoli sia gratuita o casuale; risponde bensì a calcoli consapevoli dell’autore, che procede nella sua narrazione a incastro alternando sapientemente l’azione, l’avventura e la descrizione concreta dei luoghi a frequenti digressioni che vengono a spezzare il ritmo del racconto a più voci, flussi di coscienza sul modello dell’Ulisse joyciano, sequenze oniriche.
A dispetto della ricchezza e difformità dei modelli letterari, della fittissima, magmatica folla dei personaggi, dell’ambientazione sempre cangevole (l’astigiano, Torino, il Messico, le Samoa, l’Islanda, l’inferno opprimente e grottesco della burocrazia nazionalsocialista…), insomma della sua struttura labirintica, il romanzo è opera unitaria, severamente controllata; l’autore calibra – quasi – sempre le trovate e le pagine con sicuro istinto.
È vero altresì che, come suggerisce acutamente il postfatore Marco Drago, il libro, considerata la sua straordinaria varietà di tono, di argomenti, di ambientazione, potrebbe sembrare vergato piuttosto da un collettivo di scrittori (come il noto Q di Luther Blissett) che non da una singola persona di nome Gian Marco Griffi, nella vita direttore di un club golfistico.
Un accenno alla trama, senza rivelare più del lecito.
Il protagonista principale, Cesco Maggetti, fascista più per inerzia che per intima convinzione, soldato della Guardia Ferroviaria ad Asti nell’anno 1944, riceve dai diretti superiori l’incarico, apparentemente strampalato, ma perentorio, di tracciare – Dio sa come – una mappa della rete ferroviaria del Messico. Il giovane, che è afflitto da un persistente mal di denti che lo tormenterà fin quasi alla fine del romanzo, si pone allora alla ricerca di un libro (la fantomatica Historia poética y pintoresca de los ferrocarriles en México, della quale si troverebbe in Italia un’unica copia, depositata proprio presso una biblioteca astigiana, dove peraltro risulta in prestito), nell’auspicio che il raro volume possa aiutarlo nello svolgimento del suo curioso e, date le oggettive circostanze belliche, virtualmente impossibile compito. Nel corso di questa disperante e grottesca odissea, le cui tappe si snodano in una Repubblica di Salò dai mesi contati, si innamorerà di una giovane, tale Tilde, graziosa bibliotecaria imbevuta di letteratura che lo coadiuverà nell’impresa.
L’assurdo ordine trasmesso al Maggetti, motore stesso della vicenda, parte da lontano: proviene, a sua insaputa, dalle massime gerarchie naziste, persuase, per l’interpretazione fuorviante data al passaggio di un testo, che nella città messicana di Santa Brígida de la Ciénaga, peraltro raggiungibile solo in treno, sarebbe custodita un’arma dalle potenzialità spaventose, della quale sono ansiose di entrare in possesso, per fini facilmente immaginabili. Ponendosi sulle tracce del libro, il cui recupero è fondamentale per il felice esito delle sue indagini, Cesco inizia così un lungo percorso che lo porrà in contatto con una folla variegata di personaggi, alcuni dei quali assolutamente improbabili: Epa, poeta-cartografo samoano di lingua tedesca così scrupoloso da disegnare nelle mappe perfino le persone, già fuggito da Apia terremotata con una maestrina monferrina soccorritrice volontaria; Lito, becchino logorroico, bollitore di cadaveri, che ha tirato di boxe in Nicaragua (o forse Honduras, non ricorda), ha montato cremagliere in Perù e costruito ferrovie in mezzo mondo, ma soprattutto ha la distinzione, agli occhi di Cesco, di aver vissuto a lungo in Messico e conoscere piuttosto bene la sua rete ferroviaria; il fedele collega muto di quest’ultimo, Mec, contraltare al suo torrenziale profluvio di parole; un inveterato alcolista e oppiomane, seguace della corrente letteraria dei poeti frenatori avanguardisti; due prostitute, entrambe di nome Maria, delatrici per salvare la loro “vita pulciosa”; Giustina, povera trovatella dall’ingrato destino, amante sedicenne di un ufficiale nazista; don Tiberio, sacerdote pedofilo, ma capace di reprimere i palpiti inconfessabili della carne, che nasconde gli ebrei (e i partigiani) esposti ai rigori della persecuzione, mal affiancato in questo da una perpetua riluttante; Ettore e Nicolao, due giovani contigui alla Resistenza; lo spietato comandante delle SS Hugo Kraas; infine il partigiano disarmato Steno, fidanzato della giovane, folle bibliotecaria, l’eroe delle ultime pagine, che, per amore di Tilde, sottoposta a elettroshock e lobotomizzata, dall’astigiano (l’oscuro torrente Borbore) raggiungerà a nuoto, prima per via fluviale, poi marittima, poi di nuovo fluviale un lago nell’interno dell’Islanda, dove forse è posta la chiave per la salvezza della giovane, passando attraverso i secoli (le saghe della mitologia norrena) e il presente bellico (l’Europa in fiamme) nelle pagine forse più suggestive e memorande dell’intero romanzo.
A ogni nuovo tentativo d’indagine, Cesco si imbatte nella flemma, le reticenze, le chiacchiere inconcludenti di chi potrebbe, forse, fornirgli notizie decisive sull’ubicazione dell’agognata Historia.
Vari narratori ci trascineranno in giro per il mondo, per esempio nelle Samoa tedesche, nella disastrosa campagna di Russia, in Sudamerica o nella guerra cristera nel Messico del 1928-’29 (la stessa durante la quale è ambientato Il potere e la gloria di Graham Greene) e ancora: in un cimitero bombardato per un singolare errore ‘letterario’ riconducibile a un racconto di Jorge Luis Borges; un circolo dopolavoristico, per accedere al quale è necessario pronunciare, di settimana in settimana, una parola d’ordine sempre diversa, de desumersi risolvendo un cruciverba della Settimana enigmistica; nel locale notturno de ‘L’aquila agonizzante’, covo della resistenza al nazifascismo; ad una partita del Grande Torino di Loik e Valentino Mazzola in quell’avventurato campionato del 1943-’44, mai omologato; nella drammaticità dei rastrellamenti e delle feroci rappresaglie in quella che era diventata ormai un’aperta guerra civile.
Il libro è in certo modo assimilabile al filone Bildungsroman (romanzo di formazione interiore): Cesco Maggetti, che all’inizio della storia è mera pedina di un gioco infinitamente più grande di lui, al culmine del suo percorso di maturazione, pur restando quello che è – uomo normale, antieroe – compirà l’atto liberatorio che sancisce la sua definitiva presa di coscienza umana, storica, morale.
Anche le pagine drammatiche, che pure non mancano (es.: un banale scherzo finito con una sommaria fucilazione), sono rese con una leggerezza di tono che, paradossalmente, sottolinea la tragicità e assurdità degli eventi umani.
L’autore si muove a proprio agio fra registri diversi. Un dialogo fra Eva Braun e Adolf Hitler sembra appartenere al teatro dell’assurdo (e potremmo citare almeno Delirio a due). Esilarante e ineffabile anche la discussione che si svolge fra due giocatori, imperturbabili come due gentlemen britannici (e son altro!), nel bel mezzo di uno scontro a fuoco, su come si debba interpretare, regolamento golfistico alla mano, l’ostacolo rappresentato sul green dal cadavere di un soldato tedesco sul cui viso si è andata ad adagiare, beffardamente, la palla. Né mancano citazioni palesi, e talora testuali – o apocrife, sul modello di Borges.
Certamente – vuoi per la mole inconsueta, vuoi per la struttura corale, labirintica, ambiziosa – il romanzo rappresentava fin dall’inizio una scommessa coraggiosa, tentata dal suo autore durante gli ozi forzati del lockdown e risoltasi infine in un successo clamoroso di pubblico e di critica: un azzardo decisamente riuscito su tutti i piani.
Molti lettori hanno trovato avvincente il libro e lo hanno letto tutto d’un fiato; altri – pochi – confessano di aver un po’ faticato a finirlo, considerata anche la lunghezza e l’impianto non tradizionale. Chi scrive rientra convintamente nella prima schiera. Poi, come sempre, saranno gli anni ad assegnargli la collocazione che gli compete. Al netto di qualche pagina diseguale, difetto inevitabile in un’opera-mondo di così pronunciato eclettismo, l’impressione a una prima lettura è quella di un romanzo che lascerà qualche traccia.
Ovviamente aspettiamo con grande curiosità l’ancor giovane Gian Marco Griffi (1976) al varco di nuove prove, altrettanto, se non più, mature.
Gian Marco Griffi
Ferrovie del Messico
Laurana Editore, 2022