Prove di un assurdo limitrofo in Landolfi
@ Rinaldo Caddeo, 27 ottobre 2025

Nel racconto Il bacio, il dramma inizia con lo sfioramento di un’ala sulle labbra, al buio, un attimo prima di addormentarsi.
È il notaio D., scapolo maledettamente timido con le donne, non più giovane, non ancora vecchio, a sperimentarlo: una farfallina notturna, il vento delle coltri? Non gli dà importanza ma il fenomeno si ripete la notte successiva e quella dopo e quella dopo ancora.
Per quanto il notaio cerchi di scongiurarlo, diventa desiderio e assillo. Non vi si può sottrarre.
È solo una sensazione, un’allucinazione o un fluido, o una creatura inafferrabile? Qualunque cosa sia, una cosa è certa: è un bacio. Un bacio sempre più intenso e subitaneo, che lascia un sapore dolce e febbrile, di sangue a volte, o un riso che si sperde in un angolo, o un’ombra che prende una forma fulminea e sparisce.
L’addormentamento diventa un’attesa spasmodica. All’inizio, le prime notti, si rallegra, poi l’inquietudine prende il sopravvento, diventa ansia, tormento. Il Nostro non riesce più a dormire, perde l’appetito, smagrisce.
Decide di dormire con la luce accesa. Per qualche giorno il bacio lo lascia in pace e lui può risollevarsi, riprendere le forze ma poi ritorna alla grande: è una tromba d’aria o un’immensa massa, con un acre sapore, ovvero un odore dolciastro e putrido. Un vuoto in un vuoto, l’informe, l’inesistente che esiste, che appare e svanisce. È angoscia, terrore. È un crescendo rossiniano. Insopprimibile, insoffribile.
L’ultima notte della sua vita un’immane voragine, un vortice immenso, un nicchio (conchiglia, vulva) colossale, si spalanca e lo divora. È l’abisso dove minimo e massimo, irrisorio e apocalittico, amore e morte collidono, esplodono come in una fissione nucleare dell’atomo.
Infine, prima di morire, forse, «gli fu dato guardarla in viso, colei che lo aveva succhiato dalla vita, che ora gli strappava l’estremo bacio.»
Nell’eponimo Un paniere di chiocciole, un rumore notturno indefinibile, d’imprecisabile provenienza, impedisce a Riccardo di dormire. Riccardo si convince che l’origine del rumore sia un paniere di chiocciole dolcemente scosso. Lo cerca, senza successo in casa e nei giorni successivi presso i vicini basiti, suscitando le più disparate reazioni, finché, balzandogli il sospetto che il paniere di chiocciole sia dentro e non fuori di sé, non finisce per accettarlo, pensando di essere lui stesso un paniere di chiocciole.

In Un passo è un conte che spiega a un barone scettico che non crede nel sopranaturale, come a lui una notte, in una dimora di campagna isolata, sia mancata la luce e abbia udito un passo prima debolissimo che proviene da qualche angolo nascosto della casa, dalle sue viscere, e che, procedendo al piano di sotto, diventa sempre più nitido, si fa, salendo le scale, la marcia di un paio di stivali. Arrivato in cima alle scale esita e poi riprende, imboccando il corridoio si avvicina alla sua stanza (lui paralizzato dal terrore): chi è? Si avvicina a tal punto che avrebbe dovuto sentire il suo respiro, se fosse stata una persona, ma è solo un passo e poi ritorna la luce e il passo svanisce. Tutto però non è come prima: dove è passato il passo le cose non sono più al loro posto. Persino i mobili sono, sia pure di poco, spostati e i soprammobili respinti verso le pareti. Ai muri è rimasto un ronzio e nell’aria uno splendore.
Il carattere dominante, di questi racconti, è quello dell’attesa. Attesa di qualcuno o di qualcosa che dovrebbe accadere ma non accade o accade in modo distorto, incomprensibile, distruttivo. Un’attesa che invade e sconvolge la vita di benestanti o di poveracci che vivono da soli. Attesa di una donna che non arriva o non esiste o quando arriva, come ne La moglie perfetta, il protagonista, dopo averla scelta con cura, con gli stessi gusti, le sue stesse attrazioni e ripugnanze, la trova odiosa, ripugnante poiché scopre che ella è me. Attesa di una vincita al gioco che non viene mai o che, quando viene, porta alla rovina. Attesa di capire, da parte di un navigatore-scienziato, che cosa gli chiede, in ZZZZ, una nuvoletta che ha catturato a un ammasso di nuvole a 1000 anni luce dalla Terra in una scatola di vetro. Attesa della parola giusta, ma le parole si ribellano, si accapigliano tra loro, si scambiano i significati in Parole in agitazione.
Un’estraneazione radicale, planetaria, attanaglia i personaggi di Un paniere di chiocciole come di molte altre narrazioni di Tommaso Landolfi. Un esprit maniaco-umoristico, tra Čechov e Pirandello, li pervade.
L’apporto di arcaismi, tra Boccaccio e Bandello, tipo mancipio, compicciare, illecebroso, locupletale, zinzino, non risponde tanto a un’istanza antiquaria o a un vezzo letterario, quanto serve a imbastire la lingua artificiale di un’affabulazione barocca, ilaro/tragica, onirica, unheimlich, ai confini del delirio, in cui sono immersi vicissitudini paradossali e punti di vista che illuminano pieghe recondite di realtà assurde ma riconoscibili, a noi limitrofe.
Tommaso Landolfi, Un paniere di chiocciole, Adelphi, Milano 2025

