Le “Carceri” di Regis

L’astronave terrestre L’invincibile raggiunge il pianeta Regis III dopo un viaggio durato vari anni luce. L’incarico è quello di ritrovare l’incrociatore galattico gemello Condor di cui si sono perse le tracce. Gli uomini della spedizione si trovano immersi in un deserto di sabbia in costante movimento, reso ancor più sinistro dalla luce rossastra di un sole morente privo di calore e di nuvole solitarie che scaricano improvvise piogge nere, appiccicose come catrame. Le dune sono lambite da un oceano cupo, abitato da pesci che sembrano essersi adattati a captare i campi magnetici.
Esplorando Regis, l’equipaggio avvista gigantesche rovine contorte e gocciolanti, simili a torri di ingranaggi indecifrabili e filo spinato. Lem ci guida entro queste forme enigmatiche con sapiente lentezza e un lessico di estrema precisione scientifica che, tuttavia, riesce a edificare “brevi sonni imaginosi’, pieni di visioni bizzarre di ascendenza ariostesca. Metterebbe fuori strada il lettore evocare “Le città invisibili”, troppo astratte e prive di angoscia; assai più plausibile, invece, vedere delle affinità con la cosmogonia di Lovecraft e, ancor più, con l’intrico dei volumi, la ripetizione infinita di varchi, spazi e scalini presenti nelle tavole di Piranesi. I lacerti meccanici sopravvissuti su Regis condividono con le “Carceri” l’impossibilità di fuggirne, di raccapezzarsi nell’incrocio di gallerie che non conducono in alcun punto preciso, mentre le coordinate si dissolvono in una tenebra degna del folle Kurtz.

L’Invincibile (1964)
La memoria n. 1173
288 pagine
14 euro

