La terza via di Ferruccio
@Antonio Castronuovo, 16 ottobre 2025
Ferruccio Busoni, questo sconosciuto. Eppure le tracce che ha lasciato nella storia della musica sono profonde, forse soltanto non ben visibili, e pertanto ogni cosa giunga a metterle in luce – come il recente volume Dialogo sulla musica moderna dedicato ai suoi scritti e al rapporto con Schönberg – è cosa buona. Il fatto è che il nostro – come allude il curatore in premessa – incarna La terza via del moderno, quella fusione tra progresso e tardo romanticismo che sentiamo in questa sua affermazione del 1922: «Se c’è qualcosa di altrettanto deplorevole quanto il voler ostacolare il progresso, questo è il forzarlo senza discernimento». La sua musica è infatti proiettata verso il nuovo, ma con ‘discernimento’, appunto.
L’uscita di un volume di tale stazza (più di 500 pagine) reclama minime coordinate: Busoni (1866-1924) era di Empoli, ma crebbe a Trieste e studiò a Graz, formandosi nell’ambiente virtuosistico dei raffinati epigoni di Liszt. In Italia rimase stabilmente solo quando diresse il Liceo musicale a Bologna nel 1913-1915, e per il resto la sua vita si svolse intera tra Vienna, Lipsia e Berlino, dove oltre a dirigere l’Orchestra Filarmonica e sostenere ogni musica nuova, tenne all’Accademia la cattedra di composizione che – alla sua scomparsa – fu poi di Schönberg. Dalla cui musica era stato nel frattempo sedotto, transitando dall’esperienza romantica nel recinto dei musicisti di avanguardia.
Non del tutto appagato da Schönberg, sposò la tecnica della dissonanza emancipata. Nel Rondò Arlecchinesco del 1915 introdusse tuttavia un tema di dodici note, come se lo sviluppo verso la dodecafonia fosse una brezza percepita dagli artisti sensibili: nel 1896 Strauss aveva composto un tema di dodici note e fu forse il primo a farlo; nel 1915 Casella mise sul pentagramma il primo accordo di dodici note concepito fuori dalla corrente di Schönberg. Alla fine, la formula buona per Busoni fu il connubio tra politonalità cromatica e contrappunto severo, che così bene si legano nella sua Fantasia contrappuntistica.
Comunque l’intesa tra i due, come prova il loro fitto carteggio, produsse fecondi scambi di idee, anche piccoli scontri per le diverse visioni sul senso della musica e della composizione: Schönberg era mente che mirava alla radicale innovazione, Busoni preferiva sperimentare nuovi linguaggi, ma sulla falsariga dei modi tradizionali. Le loro figure provano quanto sia stato complicato, per i linguaggi musicali e no, il transito dall’Otto al Novecento.
La produzione di Busoni guardava all’atmosfera culturale tedesca di quegli anni, e lo discostava dalla contemporanea opera verista italiana, mondo musicale – quello italiano – per il quale vagheggiava un’adesione agli stilemi di avanguardia del Novecento e una rinascita della musica strumentale. Convogliò la revisione del romanticismo nel segno di Bach e nell’aspirazione a un “classicismo logico” che primeggiasse sul sentimentalismo e gettasse le basi di un superamento del sistema tonale mediante una sorta di “pre-dodecafonia”, un libero utilizzo dei dodici semitoni (ma anche, in prospettiva, dei quarti di tono): concezioni presenti già dal 1906 nel geniale Abbozzo di una nuova estetica della musica, lucida indagine teorica che rappresentò, in quel primo Novecento, il rigetto delle consuetudini musicali del secolo precedente. Il volume – dopo l’ampia sezione di carteggio tra Busoni e Schönberg – colloca correttamente il saggio in testa a un’ampia silloge di scritti critici e storici busoniani (che mancavano fin dalla collezione Lo sguardo lieto pubblicata dal Saggiatore nel 1977).
E insomma: tanto scrisse e tanto compose Busoni, senza però riuscire a entrare stabilmente nel repertorio e nell’attenzione dei teorici. Scontrosa era la sua posizione: troppo avanti per il pubblico di quel crinale tra i due secoli, troppo indietro rispetto alle nascenti avanguardie, che oltretutto non si accorsero quanta parte delle loro ideazioni fosse già presente in quel trascurato precursore. Speriamo allora che questa edizione – di ampia taglia, strutturata in ariosa impaginazione e agilmente leggibile – faccia compiere al nostro Ferruccio dei passi avanti nell’interesse pubblico: si tratta di ascoltarne le opere, di capirne la teoria e dunque di leggerne gli scritti, ora di nuovo a nostra disposizione.
Ferruccio Busoni, Arnold Schönberg, Dialogo sulla musica moderna, Macerata, Giometti & Antonello, 2025.

