Sior Todero, nuovo e antico, al Piccolo Teatro di Milano

Sior Todero, nuovo e antico, al Piccolo Teatro di Milano 

@ Rinaldo Caddeo, 15 ottobre 2025

Due giovani, Zanetta e Meneghetto, si piacciono e intendono sposarsi. Il nonno, il paron vecchio, Sior Todero brontolon, un rustego fastidioso, avaro e tirannico, si oppone. Vuol far sposare la nipote Zanetta con il figlio del fattore per risparmiare sulla dote. Meneghetto, benestante facondo e giudizioso, riuscirà a sposare Zanetta, smascherando i raggiri di Desiderio (il fattore), ma saranno due donne di spirito, Marcolina (la madre di Zanetta) e Fortunata (amica intrigante e accorta di Marcolina) a mandare a gambe all’aria i piani malefici di Todero, con un abile mossa sulla scacchiera del fatto compiuto, facendo sposare in anticipo il prescelto del nonno con Cecilia, la cameriera di Marcolina. Poi saranno le buone ragioni avanzate da Meneghetto (decisiva quella di rinunciare alla dote) a sgominare l’opposizione di Todero e a garantire il lieto fine.
È una trama classica della Commedia, resettata e corroborata dalla riproduzione lenticolare, da parte di Goldoni, dei meccanismi di funzionamento del teatro e della società.

La novità scenica introdotta da questa versione è che Todero e i suoi familiari operano nel teatro: fanno i marionettisti. Alla fine del I Atto c’è la rassegna delle marionette. Tutti sul ponte, uno accanto all’altro, manovrano, a ritmo di una musica da farsa, le marionette: Arlecchino, Pulcinella, Colombina, Pantalone.
Nel corso della rappresentazione, in alcuni frangenti clou di riflessione o di tensione emotiva, ciascuno porta con sé, in braccio o tenuta e mossa dai fili, una marionetta a propria immagine e somiglianza, che si interfaccia con un’altra marionetta mossa da un altro attore.
«Figure dal cuore di legno […] Oggetti inseparabili dagli umani, misteriosi e inquietanti», come riportano le Note di regia di Paolo Valerio, le marionette hanno ispirato artisti come Collodi, Paul Klee, Giorgio De Chirico.
Affastellato di scale, scatoloni, gambe, braccia, teste di marionette, quinte, sacchi, corde, sipari, ribaltine, il palco è un retropalco di comici.
Pellegrin (Piergiorgio Fasolo), marito soggiogato di Marcolina, figlio sottomesso di Todero, personaggio stralunato, di poche parole (il suo motto, di sicuro effetto comico: mi digo niente) compare e scompare dalla scena, uscendo e rientrando come una marionetta in un baule.
Todero emerge dal fondale semisdraiato su di una poltrona/trono recinta di marionette.

Che cosa implica ciò?
Un raddoppiamento non solo dello spazio ma anche del tempo: ogni personaggio stringe nelle proprie mani un altro personaggio che appartiene alla Commedia, che lui manipola nel momento in cui recita. Personaggio di cui è proiezione e direzione, che gli assomiglia ma che appartiene a un’altra epoca.

Che cosa vuol dire?
Una tipologia di metateatro che scava nel tempo, sia nel passato sia nel presente, con cui stipula una nuova intesa.
Due secoli e mezzo ci separano da Goldoni. E pure Goldoni è uno degli autori più rappresentati. Perché? Perché Goldoni riformula chirurgicamente la tradizione. Con lui la Commedia dell’Arte diventa una macchina iper-reale, composta da ingranaggi che fanno ruotare altri ingranaggi. Ed è ogni volta una meraviglia ascoltare e vedere il prodigioso movimento, se la chiave di lettura, come nel caso di Valerio, riesce a ripristinare con nuove maniere la magia del teatro antico/moderno di Goldoni.

Todero è il tipo del buffo avaro che fa ridere per le minuzie a cui si applica la sua avarizia: lo zucchero, il caffé, le legne. Tanto piccole quanto emblematiche. Branciaroli recupera la voce, claudicante e piena di ombre di Cesco Baseggio, a volte anche la mimica e le porta in un altrove stranito, trasfigurato.
Meneghetto è il Magnifico giusto, istruito, esperto di legge che crede, con un po’ di presunzione, di poter vincere ma si deve arrendere di fronte all’ostinazione di Sior Todero. Emanuele Fortunati non manipola marionette, spesso si rivolge al pubblico: è la voce illuministica e scettica di Goldoni.

Tutti gli attori, incastonati nel proprio ruolo, con la propria diversità fisica, recitativa, con la multipla creatività/coloritura del dialetto/lingua (specie quando s’infervorano), risultano, grazie a una recitazione dinamica, a volte funambolica, funzionali a questo progetto.

Stefania Felicioli (Marcolina), Ester Galazzi (Fortunata), riformulano con ironia il ruolo dei personaggi femminili goldoniani. Sono loro, Marcolina e Fortunata, due donne avvedute, ardite e risolute, a far pendere dalla loro parte il peso della bilancia. Però c’è un però. In Goldoni come in Aristofane o in Sofocle o in Shakespeare, queste donne, devono sottostare a regole, angherie patriarcali, che contestano ma a cui devono quotidianamente assoggettarsi. È il grande teatro classico, soprattutto comico, però, ring dei rovesci e del rovesciamento, il luogo di un gigantesco, spassoso, apocalittico risarcimento dove i perdenti risultano, grazie a iniziativa e coraggio, vincenti.

 

Sior Todero brontolon 
di Carlo Goldoni
drammaturgia Piermario Vescovo
con Franco Branciaroli 
e con Piergiorgio Fasolo, Stefania Felicioli, Alessandro Albertin, Ester Galazzi, Riccardo Maranzana, Valentina Violo, Emanuele Fortunati, Davide Falbo, Federica Di Cesare
in collaborazione con I Piccoli di Podrecca
regia Paolo Valerio 
scene Marta Crisolini Malatesta 
costumi Stefano Nicolao
luci Gigi Saccomandi 
musiche Antonio Di Pofi 
movimenti di scena Monica Codena 
produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Teatro de gli Incamminati, Centro Teatrale Bresciano

Le immagini sono di Simone Di Luca