“Il caso Kaufmann” al Piccolo: storia di un amore e di una condanna a morte per “inquinamento razziale”

Il caso Kaufmann al Piccolo: storia di un amore e di una condanna a morte per inquinamento razziale

@Rinaldo Caddeo, 12 maggio 2025

Il caso Kaufmann (2019) di Giovanni Grasso, da cui è tratta la pièce, è un romanzo storico, ispirato a fatti realmente accaduti. Manzoni direbbe un’opera mista di storia e di invenzione. Alcuni personaggi, come i due protagonisti, sono esistiti, altri sono stati creati dall’autore. Lo sfondo storico, come per I Promessi Sposi, è vero.
Siamo a Norimberga, in epoca nazista. Il protagonista, Lehmann Kaufmann, è un borghese benestante ebreo. Fa il commerciante, vive in uno spazioso appartamento e possiede diverse proprietà immobiliari. Presidente della comunità ebraica della città, prende una posizione conciliante riguardo l’inizio della persecuzione e ritiene che la borghesia moderata e cristiana tedesca che lui conosce e frequenta, finirà per arrestare il radicalismo antisemita del regime.
Non sarà così.
Il cappio si stringerà alla gola degli ebrei. È un processo graduale, con intervalli di tregua, che producono l’illusione che il mostro si fermerà.

Kaufmann accetta la richiesta di un amico ariano, Kurt, trasferitosi ai confini con la Polonia, di prendersi cura di Irene, la giovane figlia ribelle, che, dopo aver abbandonato l’Università per dedicarsi alla fotografia artistica, ha chiesto di andare a Norimberga per seguire un corso di fotografia. Fornisce a Irene una mansarda e i primi aiuti economici per aprire un negozio di fotografia.
La ventenne Irene detesta il nazismo e si innamora del sessantenne Lehmann che condivide il suo sentimento ma si impone di non contraccambiarlo.
Dopo la Kristallnach, Kaufmann è costretto a svendere tutto. Irene diventa un bersaglio: perde clienti, riceve lettere anonime di insulti.
Gli incontri tra i due diventano clandestini. Elaborano un codice di gesti da lontano per non farsi vedere a parlare insieme. Vengono presi di mira lo stesso: spie e pettegolezzi tessono una rete di accuse che servirà a catturarli. Gli ultimi capitoli sono un maelstrom di ferocia persecutoria.

I nostri due eroi sono condannati a-priori dalla macchina del fango nazista che cavalca l’archetipo favoloso de La Bella e la Bestia: il vecchio ebreo, sporco e cattivo, che circuisce e possiede la giovane ariana, bella, bionda e ingenua.
Non importa se Lehmann Kaufmann non è brutto e sporco, ma è un uomo signorile e di alto sentire. Non importa se la vittima ariana, Irene Seiler, non è ingenua e remissiva. Semmai è proprio lei a cercare di conquistare, senza riuscirci, il vedovo Lehmann che la respinge per salvarle la vita e la induce a sposarsi con un giovane insospettabile.

Kaufmann è considerato innocente dal giudice ordinario ma il suo caso viene avocato dal Tribunale Speciale. L’implacabile giudice nazista, Oskar Rothenberger, in nome del popolo tedesco, e a vantaggio della propria carriera e del trionfo dell’antisemitismo, accoglie come vere tutte le testimonianze e le maldicenze di quartiere. Kaufmann è condannato a morte per disonore e inquinamento razziale, Irene Seiler è condannata a quattro anni di carcere duro per spergiuro e falsa testimonianza.

La pièce di Piero Maccarinelli parte dalla fine.
Il palcoscenico è diviso in due: a destra lo spazio del presente, delimitato dalle sbarre del carcere. Siamo nella cella dove Kaufmann, condannato a morte, attende l’imminente esecuzione. Il prigioniero chiede di vedere il cappellano non per confessarsi ma per trasmettere un ultimo messaggio a Irene. L’umanità e l’empatia del prete spingono Kaufmann a ripercorrere tutta la vicenda. Personaggi, stati d’animo, fatti, ambienti (le stanze del suo appartamento, il quartiere) vengono evocati nello spazio a sinistra. Franco Branciaroli si sposta in continuazione da destra a sinistra, da sinistra a destra: dal presente al passato, dai ricordi all’attesa della morte. E noi con lui.

Storia di un amore reso impossibile dall’instaurazione di una dittatura.
Storia giudiziaria di fanatismo e ambizioni sbagliate di un giudice che ramazza come una scopa recriminazioni e frustrazioni popolari e le ammucchia nel bidone populista e razzista: la colpa fondamentale di Kaufmann è di appartenere a una razza inferiore e nociva. Quindi merita la morte.
Racconto paradigmatico di un sacrificio umano che, come nella Storia della colonna infame di Manzoni o ne Il processo di Kafka, officia la morte degli innocenti, come rito espiatorio delle colpe di una comunità.

Prova teatrale ad alta tensione, lascia senza fiato, dall’inizio alla fine. All’insegna di un teatro di parola, scava nei meandri dell’anima con i gesti del corpo, i timbri della voce (talvolta quasi alla Carmelo Bene da parte di un magnetico Branciaroli), i sussurri e le grida.
La struttura dei dialoghi, impostata su antitesi tipologiche ponderate, manda scintille grazie alla qualità della recitazione di un cast, tutto, di alto livello.
L’attenzione del pubblico è partecipe. Si colgono l’incredulità (la storia è vera!), il coinvolgimento, oltre l’applauso finale sacrosanto.

Il caso Kaufmann
di Giovanni Grasso
regia Piero Maccarinelli
con Franco Branciaroli, Stefano Santospago, Viola Graziosi, Franca Penone, Piergiorgio Fasolo, Alessandro Albertin, Andrea Bonella
scene Domenico Franchi
luci Cesare Agoni
musiche Antonio Di Pofi
costumi Gianluca Sbicca
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Fondazione Atlantide – Teatro Stabile di Verona, Il Parioli

Dal 6 al 18 maggio al Teatro Grassi di Milano