Amore, sesso, violenza e fantasia. È il teatro delle incertezze di Vargas Llosa

Amore, sesso, violenza e fantasia. È il teatro delle incertezze di Vargas Llosa

@Anna Di Mauro, 14 maggio 2025

Sud America. 1945. Un sordido bar, perfettamente riprodotto in un’apprezzabile ed evocativa scenografia. Ed è subito musica, canto, una storia. Historia de un amor… La storia della Chunga, nata in un bordello, frocia, del suo squallido bar, con i suoi balordi avventori e con la bella Meche in quella famosa notte, colpo di accetta sul misero mondo di Piura, piccolo avamposto a Nord del Perù.
Realtà e finzione sono i cardini de “La Chunga”, spettacolo contorto, gravido di basse passioni e miserie umane, dove però acquattato nel fondo affiora il sogno, a rendere più sopportabile quella lurida vita che ogni giorno strozza i perdenti di Piura. Si respira un’atmosfera rovente, grondante degrado materiale e morale, nel peruviano, fatiscente bar della Chunga, una scialba donna in grembiule e pantofole, seduta a dondolarsi, mentre attorno a un sordido tavolo quattro sordidi individui giocano a dadi bevendo birra, cantando a squarciagola, imprecando, sciorinando volgarità.

Sono gli “inconquistabili”, perdigiorno dediti all’ozio, all’eros, ai pugni. Uno di loro Josefino, una sorta di lenone in pretese di bianca eleganza, sciorina coltelli e conquiste femminili, in odore di violenza e di sesso. Strillano, tracannano, si vantano, si sfidano. Uno balbetta, l’altro gongola, il terzo si muove come una scimmia. Trascinano le loro stanche giornate nel gioco d’azzardo, vagheggiano donne, ingurgitano senza sosta alcolici, in una incessante routine che li assimila a volgari marionette di un infimo teatro. La scena si ferma quando il ricordo di un tempo lontano li assale all’improvviso e rivivono quella famosa sera in cui arrivò l’innamorata di Josefino, la bellissima Meche, a scaldare il cuore di tutti. Anche la Chunga è visibilmente colpita dal fascino di quella creatura leggiadra, un fiore nel fango, avvezza a scatenare sogni e desideri. Sognano tutti. Loro di possederla, uno per uno, lei di sposare il suo Josefino, che però la vende alla Chunga per una notte, in cambio di denaro per un debito di gioco. Dopo quella notte nessuno ha più visto Meche, svanita nel nulla. Il mistero della sua scomparsa accende la fantasia di Vargas e dei suoi personaggi.

Che fine ha fatto Meche, la meravigliosa Meche? È stata uccisa? Da chi? O è fuggita con un altro uomo? Se lo chiedono a distanza di anni gli “inconquistati” in quell’infimo bar, tra una birra e un’imprecazione, ricordando la sua bellezza e la sua dolcezza. Ognuno di loro darà una versione diversa dei fatti, tutte possibili, in un gioco teatrale inarrestabile, sorretto da una recitazione forzata mista a dei fermo-immagine che esaltano il senso di irrealtà in cui si snoda la trucida storia, nata dalla penna di Vargas come un ramo dal romanzo “La casa verde”. La Chunga era nata in quella casa, una casa di prostituzione, ora alimentata dalle ex di Josefino, che dopo essere state le sue amanti vengono gettate inesorabilmente in quel bordello. Anche Meche farà quella fine. Glielo sputa in faccia la Chunga quando la vede irrimediabilmente innamorata e succube di quella feccia d’uomo che la picchia e la vende senza pietà. Quale sarà il destino di Meche? Riuscirà a riscattarsi e liberarsi da quell’uomo? Che cosa accadde quella notte con la Chunga? Non c’è soluzione. Il mistero rimane. Il mistero del rapporto uomo-donna. Il mistero della vita delle donne, strette tra il desiderio sessuale e la violenza del maschio imbelle e sfruttatore. A questa latitudine le figure maschili di quei poveracci, rozzi e ignoranti, hanno un impatto più greve che mai.

 

Le donne possono solo fuggire… tacere… o morire, mentre l’omosessualità è inevitabilmente oggetto di scherno. Con “La Chunga” si conclude il ciclo di spettacoli dedicato dal Teatro Stabile di Catania al grande scrittore peruviano recentemente scomparso. Dopo “I racconti della peste” e “Appuntamento a Londra” ecco la celebre, affascinante e inquietante pièce, nata dalla capacità affabulatoria di Vargas e dalle sue riflessioni sul difficile rapporto tra l’universo maschile, custode del mito donna-madre in contrapposizione con la donna-amante, e l’universo femminile che di fronte a questa lacerazione cerca inutilmente una improbabile felicità per poi rifugiarsi come la Chunga nella fuga della bruttezza e della rinuncia alla femminilità, o nella fuga vera, forse, come Meche. Carlo Sciaccaluga, che per la terza volta si cimenta nella regia del teatro di Vargas, ha dato vita alla potente drammaturgia dell’opera puntando sulle caratteristiche salienti di una realtà decisamente squallida al punto da diventare osè in alcune scene, accanto al salvifico sogno, accentuando la prima e dando risalto al secondo con opportuni moduli recitativi e scenografie che affiorano per poi scomparire, in un continuo interscambio di reale e immaginario.

L’interpretazione dei personaggi avvalora questo dualismo, assecondando la loro doppia natura tra ciò che sono e ciò che vorrebbero essere. Ne viene fuori una sorta di gioco che gli attori hanno vissuto pienamente sulla propria pelle, ognuno nel proprio ruolo, dall’ambiguità della Chunga di Debora Bernardi, alla spacconaggine del Josefino di Francesco Foti, alla spiccata femminilità della Meche di Francesca Osso, alla ruspanteria dello Scimmia di Giovanni Arezzo, alla goffagine del Lituma di Valerio Santi, alla esuberanza infantile del Josè di Pietro Casano. Fantasmi di un mondo reale o incarnazioni di un mondo immaginario? Del resto è l’immaginario nella letteratura e nelle arti in genere, più vero del vero, a rendere più sopportabile la nostra vita. L’assunto pirandelliano lo ritroviamo in Vargas inciso in un avamposto peruviano, a ricordarci che scrivere per uno scrittore è una catarsi che lo libera e ci libera dai nostri incubi, dalle nostre ombre, dai nostri fantasmi, più veri del vero, perché eterni contro l’effimero che è la nostra condizione esistenziale. Noi che assistiamo a questa suspense in palco, vorremmo che Meche si salvasse, ma non sapremo mai se lo fu, salva. Immortalata nella sua indeterminatezza resterà come un chiodo fisso nella nostra anima bramosa di certezze. Non ve ne sono. Rimane, come una nube sospesa, unica certezza, il desiderio di conoscere la verità.

LA CHUNGA
di Mario Vargas Llosa
regia Carlo Sciaccaluga
scene Anna Varaldo
costumi Anna Verde
luci Gaetano La Mela
Regista assistente Alice Ferrante
con Debora Bernardi, Francesco Foti, Francesca Osso, Valerio Santi, Giovanni Arezzo, Pietro Casano.
produzione Teatro Stabile di Catania, Teatro di Roma – Teatro Nazionale

Al Teatro Verga di Catania fino a Domenica 18 Maggio