La Pace di Ciccio
@ Antonio Castronuovo, 26 marzo 2024
Alla metà del Settecento le corti europee erano in fermento: l’arciduchessa Marianna d’Austria, sorella dell’imperatrice Maria Teresa, si prestava alle nozze col principe Carlo Alessandro di Lorena: l’augusto imeneo sarebbe stato celebrato a Vienna il 7 gennaio 1744, e quel giorno era da festeggiare anche nelle sedi più periferiche del dominio austriaco. Ad esempio a Rimini, che gli austriaci – impegnati in quegli anni in un lungo quanto incomprensibile conflitto di successione asburgica – avevano occupato a ottobre del 1743 cacciando gli spagnoli.
Ora, caso vuole che in quel torno di tempo giungesse a Rimini anche un Carlo Goldoni afflitto dai debiti e inseguito dallo scarso successo ottenuto a Venezia. Il comandante dell’armata imperiale a Rimini era il principe boemo Georg Christian von Lobkowitz: fu lui a voler festeggiare il matrimonio con una grande cantata, e Goldoni – noto per l’esperienza di uomo di teatro – fu incaricato di organizzare tempestivamente l’evento scegliendo un compositore e delle voci.
Viveva allora a Rimini un maestro di musica napoletano, tale Francesco Maggiore detto Ciccio. Nelle proprie Memorie commenta Goldoni: «Non era di prim’ordine, ma in tempo di guerra poteva passare». Ciccio fu incaricato di riesumare una sua vecchia cantata, a cui Goldoni applicò dei versi. In capo a un mese era tutto pronto e il 7 gennaio La pace consolata fu eseguita nel teatro della città da cantanti bolognesi e con massima soddisfazione del committente. Il teatro fu illuminato a giorno da centinaia di candele, una grande lumiera pendeva dal soffitto e una lunga fila di torchietti di cera faceva rifulgere il palcoscenico. Tutta la nobiltà riminese era accorsa, come pure i cittadini d’ogni classe, radunati in gran moltitudine e ben vestiti. Quando il generale ebbe preso posto nel palco del magistrato, lo spettacolo ebbe inizio con una sinfonia eseguita da un’ampia orchestra, e a seguire la cantata, le cui parti erano distribuite tra il coro e quattro personaggi simbolici: la Pace, la Fama, la Giustizia e Imeneo.
La qualità artistica della serata non fu grande: la cantata non aveva pregio poetico ma presentava spunti originali e qualche allusione ad avvenimenti contemporanei, come anche qualche nota d’ambiente. Il generale austriaco ricompensò largamente Goldoni e Ciccio Maggiore, che essendo comunque un arguto napoletano suggerì un modo per moltiplicare i guadagni: «Facemmo rilegare, il più decorosamente possibile, una cospicua quantità d’esemplari stampati della nostra cantata; e, con una bella carrozza, andammo a presentarla a tutti gli ufficiali dello stato maggiore dei vari reggimenti alloggiati nella città e nei dintorni, e riportammo a casa una borsa piena di zecchini veneziani, di pistole spagnole e di quadrupli portoghesi, che ci dividemmo tranquillamente e alla buona».
A marzo 1744 gli austriaci lasciarono Rimini e al contempo un pessimo ricordo di loro: avevano fatto di tutto per vessare la popolazione di una città che non c’entrava nulla in quel conflitto dinastico. Goldoni ebbe un fulgido futuro di commediografo, Ciccio Maggiore girò per l’Italia a comporre melodrammi e morì in miseria, quarant’anni dopo, in Olanda. Ancor peggio andò alla sposa: pur stracarica di titoli (Arciduchessa d’Austria, Principessa di Lorena, Principessa reale di Ungheria, Boemia, Croazia, Slavonia e Germania), Marianna d’Austria morì a Bruxelles dando alla luce un figlio morto pochi mesi dopo il matrimonio. Carlo di Lorena non si risposò più e ricordò per tutta la vita gli occhioni scuri della giovane sposa. Non era stato insomma un felice imeneo, neanche per la qualità della musica.