La stringente attualità del “Malato immaginario” nello storico allestimento di Shammah al Teatro Franco Parenti di Milano

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La stringente attualità del “Malato immaginario” nello storico allestimento di Shammah al Teatro Franco Parenti di Milano

@ Amelia Natalia Bulboaca, 31-10-2022

Sul palco del Teatro Franco Parenti, che festeggia cinquant’anni dalla fondazione è andato in scena “Il malato immaginario” di Molière, storico spettacolo allestito da Andrée Ruth Shammah nel 1980 con Franco Parenti nel ruolo di Argan e la traduzione di Cesare Garboli. Di quella memorabile epoca nulla pare andato perduto, il cast è naturalmente cambiato (straordinaria la coppia Gioele Dix/Anna Della Rosa) ma l’impianto registico e scenografico rimane immutato nella sobrietà ed essenzialità di una volta, evocando una dimensione asettica, di pulizia quasi maniacale merito anche delle scene e dei costumi di Gianmaurizio Fercioni.

Dunque, stiamo parlando dell’allestimento storico di una pièce immortale, quale un classico lo è per definizione. E lo è in quanto il classico deve essere capace di parlare ancora a noi, uomini e donne di oggi, a quattrocento anni dalla nascita del suo autore, di quel Molière che, assimilata la lezione della commedia dell’arte italiana, rappresentò il vertice della commedia francese del Seicento, così come Racine incarnò la vetta della poesia tragica. L’attualità della commedia sta tutta nei temi trattati, perché se l’essere umano è da sempre affetto da un inguaribile mal di vivere, perennemente incastrato tra la pulsione di morte e l’élan vital, fantoccio nevrastenico che si rifugia nella sicurezza immaginaria del morbo perché ha troppa paura di vivere, quali e quanti significati non emergerebbero da una lettura attualizzata anche alla luce della recente pandemia, vera apoteosi collettiva della malattia immaginaria? Ma questa attualità non c’è in un allestimento volutamente immutato che rischia di scivolare nella museificazione. Il che non è necessariamente un male, non sempre comunque. Di più: nella speranza di non doverci mai più sottoporre alla tortura di vedere a teatro cosiddetti spettacoli sul Covid (e purtroppo sono già stati prodotti obbrobri simili), qui abbiamo tutto il necessario per riflettere sull’immane sciagura appena capitataci. Come non pensare allora a una società, la nostra, del tutto soffocata dall’ossessione della malattia, quasi da costringerci a essere malati e ipocondriaci a tutti i costi. Una società di milioni di Argan. La malattia come nuovo status sociale, come nuova normalità. Una società che ha incoraggiato in tutti i modi la coltivazione della nevrosi collettiva, radicalizzando mali ben più subdoli: la solitudine, la separatezza, la lontananza (“il distanziamento sociale”!) e il sospetto verso l’altro, insufflando una paura non della morte ma della vita stessa, una paura molto lucrativa. Una tentazione di esistere costantemente ricacciata dietro il filo spinato di regole, regolette, restrizioni, raccomandazioni, protocolli. Perché così è molto più semplice e riposante.

Argan sprofonda nei suoi pizzi e nelle sue poltrone tra clisteri, polverine e pozioni perché si sente al sicuro, perché il peso del giogo autoimposto è più confortevole del rischio di vivere. Per fortuna c’è la serva Tonina (egregiamente interpretata da Anna Della Rosa) a scuoterlo ogni tanto dalla maniacalità che rischia di rovinare non solo la sua di esistenza ma anche quella della figlia Angelica, facendo trionfare le perfide macchinazioni della matrigna e quelle altrettanto perfide e redditizie dei medici. Alleato di Tonina è il fratello di Argan, Beraldo, che nei suoi cinici e lucidi strali all’indirizzo dei medici e delle loro furfanterie ricorda per certi versi la ferocia di un Thomas Bernhard (scriverà il grande austriaco: “Si tratta di capire se di malattie reali in generale ne esistano, se tutte le malattie non siano malattie inventate, essendo la malattia un’invenzione per sua stessa natura.”)

In fin dei conti ognuno di noi è chiamato a fare una scelta: abbracciare la vita con tutte le sue inevitabili “contaminazioni” , o languire in un perenne “trapassatoio” in attesa dell’inevitabile conclusione.

Bravissimo l’intero cast: Marco Balbi, Francesco Brandi, Fabrizio Coniglio, Piero Domenicaccio, Filippo Lai, Viola Magnone, Silvia Giulia Mendola, Pietro Micci, Marina Occhionero.

luci Gigi Saccomandi
musiche Michele Tadini Paolo Ciarchi

aiuto regista Benedetta Frigerio
assistente allo spettacolo Diletta Ferruzzi
scene dipinte da Santino Croci e Federico Carrassi
direttore di scena Paolo Roda
elettricista e fonico Gianni Gajardo
sarta Paola Landini
amministratrice di compagnia Carla De Gasperis
scene costruite da Tommaso Serra presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati dalla sartoria del Teatro Franco Parenti diretta da Simona Dondoni

Author: Amelia Natalia Bulboaca

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