Inanità e frustrazioni in riva al lago. ‘Il gabbiano’ di Cechov al Teatro della Corte di Genova
GENOVA – Al cospetto de Il gabbiano, scritto da Anton Cechov nel 1895, si rischia di essere soggiogati al punto di non capire il suo valore, la sua bellezza e considerarlo unicamente come un classico, un compitino svolto con migliore o peggiore risultato dai molti che nel corso degli anni lo hanno portato sul palcoscenico. Difficilmente capita che, grazie alla bravura del regista, non ci si senta intimiditi. E’ un testo tanto difficile e variegato, che se non lo si conosce e non lo si ama, difficilmente può essere donato al pubblico. Era innovativo nel linguaggio e nei contenuti tanto da non essere compreso dai suoi contemporanei, con il pubblico della prima che rideva senza ritegno durante tutto il suo sviluppo costringendo Cechov letteralmente a scappare dal teatro. Stesso giudizio negativo da parte dei critici teatrali ma anche di Tolstoj che lo considerò un pessimo dramma scritto a imitazione di Ibsen. Il tempo ha dato ragione all’autore e questo suo scritto è considerato tra i migliori in assoluto della letteratura russa del tempo.
Marco Sciaccaluga si è affidato alla magistrale traduzione fatta da Danilo Macrì – lui stesso drammaturgo e autore dell’interessante Noi – del testo prima della pesante censura zarista che dovette subire: è un Cechov che in molti non avevano ancora visto. La sua scelta è stata di concentrare entro due sole scenografie l’intera vicenda, che dura nella sua rilettura poco più di due ore e mezzo. Il giardino, il lago sullo sfondo, le atmosfere di una campagna russa benevola che accompagna i personaggi verso lo sviluppo del dramma che ha il suo punto saliente nella seconda parte, dentro la bella casa dell’attrice. Non è un giallo, tutti conoscono la vicenda, ma non è lecito anticipare nulla di quanto poi accadrà: lo si può vedere più volte, e sempre riesce ad emozionare, a stupire. Il merito di Sciaccaluga è di avere reso il dramma senza caricarne troppo le tinte, il demerito quello di non aver creato una struttura che emozioni davvero, in cui i personaggi si amalgamino in modo da rendere ogni episodio più coinvolgente. Soprattutto alcune figure minori sono raccontate in maniera tale da non essere utili per l’economia dello spettacolo, soprattutto le donne hanno poca visibilità.
La bravura degli interpreti è fuori discussione, con Andrea Nicolini che dona al maestro Semen Semenovič Medvedenko un’umanità notevole, lo fa conoscere come insoddisfatto, infelice e frustrato nei confronti di tutti gli altri perché si ritiene uno sfortunato, una persona a cui il fato ha chiesto e continua a chiedere troppe prove.
Nel fratello dell’attrice c’è anche una forte componente autobiografica del drammaturgo che gli fa vivere i drammi ed i disagi di una malattia che lo portò ancora giovane alla morte; Federico Vanni ha i tempi giusti, evita di sottolineare troppo lo sconquasso di una persona che combatte con la malattia per poter essere attivo, vivo fino alla morte. E’ il personaggio attorno al quale ruotano la sorella, il nipote, la vita stessa di quella casa.
Il figlio dell’attrice ha il volto e la recitazione del trentunenne Francesco Sferrazza Papa, qui forse alla sua prova più incisiva, che recita con vigore, anche fisicamente ma, forse, non definisce bene la psicologia di un personaggio che risulta alla fine irrisolto. A Roberto Serpi, medico del paese che ha girato il mondo, spetta il compito di omaggiare Genova con le parole scritte da Cechov, parole che fanno intravvedere una vita intellettuale, sociale che ormai non le appartiene più. Alla domanda del maestro
Posso chiedervi, dottore, quale città straniera vi è piaciuta di più?
risponde Genova e giustifica questa sua scelta dicendo:
Per le strade di Genova cammina una folla meravigliosa. Quando si esce, di sera, dall’albergo, tutta la strada è colma di gente. Poi te ne vai a zonzo, senza una meta, di qua e di là, a zig-zag, tra quella folla; vivi della sua vita, ti confondi a lei nell’anima; e cominci a credere che possa esistere una sola anima universale … Genova è la città più bella del mondo.
Elisabetta Pozzi è attrice d’esperienza e grande bravura che rende con ironia la figura della Diva, quando esistevano interpreti (e personaggi) quali Adelaide Ristori o Eleonora Duse. E’ una donna ricca, viziata, non necessariamente felice, irrisolta come moglie e madre, che si accompagna ad un noto scrittore che sta con lei perché incapace di lasciarla. La sua recitazione è un alternarsi tra i toni della persona ‘vera’ e quella sempre abituata a fingere.
Stefano Santospago è invidiato dal figlio della donna perché coi suoi scritti privi di modernità riesce ad essere ricco e famoso mentre per lui che tenta di imporsi nel mondo della letteratura e della drammaturgia c’è solo compatimento. Non ama il suo mestiere, la maledizione di dovere continuamente prendere appunti perché ogni cosa potrebbe essere utile come base per un racconto o un romanzo: il suo sogno sarebbe di stare tutto il giorno in riva al lago, in attesa di un pesce che abbocchi al suo amo. La sua recitazione, che si è affinata anche tramite il linguaggio televisivo e cinematografico, è sempre di grande naturalezza vivendo dall’interno un ruolo non certo facile. Dona spessore al vacuo scrittore, insoddisfatto ed incapace di prendere decisioni, che vive come non vorrebbe ma che non sa affrontare eventuali suoi sogni o desideri in maniera composita.
Del resto, tutto Il gabbiano, all’interno di questo modo di raccontare di teatro nel teatro, è abitato di persone infelici, ognuna con frustrazioni e l’impossibilità di vivere secondo i propri sogni. Ed il dramma è proprio lì, nel non essere mai protagonisti della propria vita.
Al Teatro della Corte di Genova – Il gabbiano
Un classico con la freschezza di un testo contemporaneo
Scheda spettacolo:
Il gabbiano di Anton Cechov
Versione italiana Danilo Macrì
Interpreti Elisabetta Pozzi, Stefano Santospago, Roberto Alinghieri, Alice Arcuri, Elsa Bossi, Eva Cambiale, Andrea Nicolini, Roberto Serpi, Francesco Sferrazza Papa, Kabir Tavani, Federico Vanni
Musiche Andrea Nicolini
Luci Marco D’Andrea
Scene e costumi Catherine Rankl
Regia Marco Sciaccaluga
Regista assistente Angelo D’Agosta
Produzione TEATRO NAZIONALE DI GENOVA