Così diventiamo fascisti. Il manuale di Michela Murgia per non adeguarsi ai tempi (*)

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Così diventiamo fascisti. Il manuale di Michela Murgia per non adeguarsi ai tempi (*)

Il provocatorio saggio della scrittrice, “Istruzioni per diventare fascisti” pubblicato da Einaudi, propone in conclusione un test: per misurare il grado di apprendimento raggiunto e i progressi fatti. Sessantacinque frasi, luoghi comuni, slogan. Spuntate quelle che vi sembrano di buon senso e leggete il risultato finale.

Essere populisti da fascisti non è difficile: è come corteggiare una ragazza bruttina che sa di esserlo perché per anni gli altri ragazzi l’hanno snobbata, ma che non vede l’ora che arrivi il tipo che le dice che sono stati loro gli stupidi a non capire la sua bellezza. Quel ragazzo, se azzecca la cosa da dire, se la porterà a letto tutte le volte che vuole e lei sarà sempre molto felice di andarci. L’avevate notato che nemmeno la fica è democratica? Non ce n’è per tutti, ma solo per chi sa prendersela. Per cui, se volete essere fascisti, siate prima di tutto seduttori: guardatevi intorno e cercate la bruttina sociale. È pieno.

Considerate per esempio le persone che per vari motivi non hanno studiato. Con il feticcio democratico della scuola pubblica e dell’istruzione obbligatoria è passata la convinzione che tutti dovessero studiare anche se magari non volevano, perché studiare era nobile in sé. Il risultato è che quelli a cui di studiare non andava e hanno smesso appena potevano farlo sono stati per anni oggetto di sberleffo. Rivolgetevi a loro, ai poco scolarizzati che dalla mattina alla sera si sentono dare dell’analfabeta funzionale da chiunque abbia studiato un solo giorno più di loro. Ditegli che non è vero che studiare serve, che quella che conta è l’università della vita, che i laureati non sono migliori di nessuno (e che sono a spasso col loro inutile pezzo di carta in tasca) e non dimenticate di dire che una mano incallita dal lavoro è più onorevole di un culo reso quadrato dalla sedia degli studi. Chi non sa potrà finalmente smettere di vergognarsi della sua ignoranza e cominciare a disprezzare chi ha studiato e l’ha guardato dall’alto in basso per decenni.

Essere populisti, proprio perché è come corteggiare la bruttina del liceo, funziona soprattutto con le donne. Le femministe hanno detto loro che vengono trattate come se fossero inferiori agli uomini e dovrebbero per questo ribellarsi alla condizione di sudditanza? Fate in modo che non la vedano come una condizione di sudditanza! Evocate le loro nonne e chiamatele matriarche. Ricordate loro i profumi d’infanzia, quando una donna in casa a girare il sugo restava sempre. Richiamate la saggezza della semplicità popolare, delle cose fatte in casa a mano, delle madri che hanno retto questo paese con il dono del loro amore. Dite loro che stirare le camicie e occuparsi dei figli e dei vecchi malati non solo non le rende inferiori, ma anzi le rende uniche, dotate della genialità femminile di cui un uomo non sarà mai capace.

Annunciate provvedimenti di governo a favore di queste attività, per esempio sgravi fiscali per chi sta a casa a occuparsi degli anziani e incentivi alla maternità per chi decide di fare figli. Raccontate alle donne che sono migliori ed esse, pur di continuare a sentirsi speciali, faranno e rifaranno quello che non volevano più fare persino quando si troveranno davanti alla possibilità di scegliere diversamente: se hanno studiato stireranno, se hanno un lavoro lo lasceranno per accudire i bimbi, se si sognavano emancipate si sposeranno. Se il suo uomo trova il modo di farla sentire speciale, nessuna donna avvertirà mai il bisogno di essere uguale.

La categoria della specialità è populista per eccellenza: ogni volta che siete in presenza di una fragilità, chiamatela specialità, promettete di proteggerla e chi ne è detentore smetterà di chiedervi di cambiare la sua situazione. Andate al Nord? Lodatene la produttività e il rigore, evocate le piccole imprese aziendali che hanno fatto grande il made in Italy, contrapponete questa intraprendenza al Sud parassita e indolente e promettete di abbassare le tasse. Andate al Sud? Evocate il sacrificio dei loro nonni emigrati, esaltate la veracità dei modi, la capacità di arrangiarsi, l’ospitalità contrapposta alla freddezza settentrionale e promettete condoni e grandi opere. I siciliani? Tutta gente speciale. I campani? Specialissimi. I sardi? Unici nel Mediterraneo. I lombardi? Come loro nessuno mai.

Per ciascuna di queste specialità c’è una promessa che il fascista ha il dovere di fare. I democratici – intossicati dal loro incubo di uguaglianza – farebbero a tutti la stessa, ma il fascista sa che è meglio che siano tutte diverse, perché ogni gruppo sociale deve immaginarsi unico agli occhi del capo. Alcune affermazioni potranno sembrare contraddittorie – tipo che al Sud potrebbero sentire che al Nord dite di loro che sono indolenti -, ma questo non è rilevante né in politica né in seduzione. Nessuna donna, tranne la strega di Biancaneve, vuol essere la più bella: a tutte basta essere desiderate quando tocca a loro.

La capacità del capo di sintetizzare in sé ciascuna di queste identità e farle sentire rappresentate passa anche per il suo modo di apparire, che deve essere sempre populista. Quando incontra chi non arriva alla fine del mese, il capo indosserà jeans, felpe, tute, cose semplici e poco costose. Con il padre di famiglia è ideale che appaia invece in maniche di camicia, dignitoso ma disinvolto, lasciando intuire la tempra di chi si è fatto da sé anche sotto i vezzi della formalità. Con i potenti e i professionisti la cravatta ci sarà, ma i modi resteranno freschi, giovanili, pronti a rompere i protocolli, perché l’energia fascista è una forza impaziente e rispetta le regole solo finché non può cambiarle.

Quando il fascismo sarà già maturo anche i vestiti lasceranno il tempo che trovano e allora sarà il corpo stesso del capo a raccontare il paese, magari attraverso qualche impresa che richieda forza, resistenza e controllo, come fare a nuoto un lungo braccio di mare, immergersi in acque gelide, avere una vita sessuale gioiosamente movimentata e ostentata o correre con costanza per chilometri e chilometri. L’apice del populismo è mostrarsi in déshabillé nell’intimità della famiglia, magari durante le vacanze, riconducendo la forza nel quadro dell’affidabilità.

Il vero nucleo del populismo, quello che gli consente di essere culla del fascismo, è però il tema universale del denaro. In democrazia il possesso di quantità diverse di denaro da parte dei cittadini crea moltissimi problemi, perché si scontra con il principio di equità (che azzera il merito) e quello altrettanto assurdo della contribuzione proporzionale (come se guadagnare di più fosse una colpa da espiare). Poiché rispettare queste due condizioni nella pratica non è mai possibile, sia il ricco che il povero in democrazia saranno infelici, perché uno si sentirà perseguitato dalle tasse e l’altro dimenticato nei servizi. Per il populista fascista per fortuna questa differenza non esiste: si può essere popolari solo con le classi popolari, ma si può essere populisti con tutti, perché la paura di perdere quello che si ha – che sia poco o moltissimo non fa differenza – è la stessa per ciascuno. Per questa ragione, che si rapporti ai poveri oppure ai ricchi, il fascista populista deve sempre dire «noi», accomunandosi alla condizione dei suoi interlocutori e agendo secondo proporzione.

Se ci si sta rivolgendo alla povera gente che non arriva alla fine del mese ha poco senso mettersi a proporre grandi riforme strutturali: le urgenze non sopportano i tempi lunghi e nemmeno quelli medi. Il buon democratico, tra una seduta di pilates in palestra e un corso di cucina vegana, a questo punto citerebbe la parabola di Mao dove si dice che è meglio insegnare a un uomo a pescare che regalargli un pesce. È un’interessante storiella, ma per insegnare a qualcuno a pescare, cioè dargli gli strumenti per emanciparsi, ci vogliono anni: nel tempo in cui lo impara sarà già morto di fame e giustamente il popolo vuole mangiare adesso. Per dargli direttamente il pesce cinque minuti sono più che sufficienti e per questo promettere un aiuto concreto e istantaneo alle persone in difficoltà è un dovere del fascismo.

Tutti i provvedimenti che agiscono economicamente nell’immediato sono preziosi e consigliabili. Ci vuol poco: basterà un po’ di denaro al mese in più nelle buste paga o l’abbattimento di una tassa odiata e sarà subito chiaro che quello che ci sta a cuore sono le esigenze reali della povera gente. Nessuna riforma potrà mai competere con 80 euro in busta paga e nessuna legge rivoluzionaria sarà mai gradita quanto la cancellazione della tassa sulla casa. Fatti di questo tipo, oltre a dare effettivamente un beneficio immediato a chi ne gode, rafforzano l’idea del capo che si prende cura dei deboli e contribuiscono a costruire un popolo sempre più affidato alla sua diligenza da buon padre di famiglia.

Il populismo adeguato alla classe media è differente. Anche se questa categoria di cittadini alla fine del mese ci arriva con agio e magari mette anche qualcosa da parte per le emergenze, resta consapevole che scendere i gradini della scala sociale è un attimo e basta nulla per ritrovarsi da un giorno all’altro senza più risorse. Per fortuna la piccola borghesia è facile da accontentare, in quanto ha sogni piccini quanto lei. È sensibile al tema degli investimenti perché può permetterseli e il suo preferito è il mattone. Tutti i provvedimenti che consentono l’ampliamento di un immobile o che promettono sgravi fiscali sull’acquisto e la vendita di una casa sono sicure vie di consenso verso questa fascia sociale. Man mano che si sale di reddito e la borghesia da piccola si fa media, la proposta populista cresce come un soufflé e va a toccare il punto nevralgico degli interessi borghesi: le tasse. Se come fascisti garantite che i redditi elevati non siano decapitati – per esempio con una flat tax – la borghesia vi sarà fedele sempre.

Infine viene il populismo espressamente riservato ai ricchi, quelli verso i quali nemmeno il più generoso dei democratici riuscirebbe a essere ancora popolare. I ricchi non sono molti rispetto al resto della popolazione, ma sono ricchi sul serio e spesso ricoprono posizioni di potere strutturale: farseli nemici è stupido, farseli amici conviene a loro e a noi. Le loro ricchezze non dipendono dal reddito, ma dal patrimonio accumulato e quindi le preoccupazioni ruotano intorno alla sua tutela e al suo incremento, perché a quei livelli i capitali che stanno fermi sono capitali già in perdita. Il populista deve rapportarsi a queste persone come se fossero indigenti, perché quando si tratta di tutelare i propri soldi anche il milionario si sente classe media. Potrà sembrarvi paradossale, ma è questa la categoria sociale che è più interessata alle riforme, perché non avendo urgenze può permettersi di aspettare il loro effetto. Il populismo verso i ricchi potrà quindi promettere scudi fiscali per i soldi fuggiti all’estero, ma così facendo rischierà di irritare le masse popolari che potrebbero sentirsi turlupinate. Molto meglio promettere riforme radicali rivolte ai punti nevralgici del sistema statale, per esempio provvedimenti sui contratti di impiego che abbassino i costi del lavoro e piani di riassetto del sistema pensionistico che riducano l’obbligo aziendale di contribuzione.

Il vero populista si cura di tutti secondo proporzione: ai poveri offre un po’ di pesce gratis ogni tanto, alla classe media il frigo dove mettere quello che le avanza e all’alta borghesia lo stagno dove tutti potranno pagare per pescare.

In tutto questo il capo, per dare l’esempio, potrà scegliere di mostrare al popolo due volti di sé: se nella vita era già ricco del suo lavoro, non c’è ragione alcuna di privarsi della vita che quel denaro garantisce, anzi saranno proprio quei soldi la prova che è un uomo riuscito e ci si può fidare. Sarà però opportuno che si mostri generoso con questa ricchezza, sovvenzionando le realtà più disparate e rendendo note le sue attività di beneficenza. L’altra strada, più ardua, è non avvalersi dei privilegi che pure in quanto capo gli spetterebbero, sacrificando qualunque agevolazione pubblica che possa essere percepita dal popolo come superflua. Tutti i fascisti possono e devono compiere gesti simbolici che facciano comprendere alla gente semplice che siamo persone come loro: verificherete da soli quanto sia efficace, dopo anni di auto blu, mostrare alle persone che vi spostate a piedi, sui mezzi pubblici come tutti o in bicicletta.

In questo modo avrete buon gioco nel segnare la differenza con i democratici. Il populismo economico infatti non è solo costruttivo: serve anche a distruggere i nemici politici. Chiunque metta in discussione i provvedimenti del capo, sarà sufficiente additarlo come ricco privilegiato che non capisce i problemi della povera gente, perché vive in attici cittadini, indossa gioielli e orologi costosi, ha beni immobili che nessuno stipendio normale potrebbe permettergli e non sa nemmeno quanto costa un chilo di pasta al supermercato.

È fondamentale associare sempre lo status sociale del nemico alla sua credibilità: il popolo deve pensare che più soldi hanno i democratici, meno avranno il diritto di rappresentarlo, perché per definizione il popolo i soldi non li ha. È in momenti come questo che mi sento, da fascista, molto grata alla democrazia: in una società che ha promesso di offrire a tutti l’opportunità di raggiungere il benessere, chiunque senta di non averlo raggiunto proverà frustrazione e rabbia e questi sentimenti si trasformano facilmente in strumenti politici. Se vi contestano un provvedimento giudiziario, non difendetevi nel merito: dite che i vostri detrattori fanno in fretta a parlare male del vostro operato, tanto hanno le spalle coperte. Ogni volta che vi criticano, rispondete loro che è facile parlare da un attico in centro, ma che la vita vera è un’altra cosa.

 

(*) Lo scritto di Michela Murgia è tratto, in sinergia, dalle Edizione dell’Espresso e appare in contemporanea alla distribuzione del suo libro “Istruzioni per diventare fascisti” ed. Einaudi

 

Author: Redazionale

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