Festival di Karlovy Vary 2018: intervista a Terry Gilliam, dai Monty Python a Don Chisciotte

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Festival di Karlovy Vary 2018: intervista a Terry Gilliam, dai Monthy Python a Don Chisciotte

Terry Gilliam

KARLOVY VARY – Grintoso, ironico, sempre sorridente e gesticolante, Terry Gilliam a scapito dei suoi 78 anni ha lo spirito di un ragazzino curioso di scoprire il mondo.

Giunto a Karlovy Vary, ospite della 53a edizione del Festival, il regista ha coinvolto tutti quelli che lo hanno incontrato, strappando risate anche i più seriosi.

Terry Gilliam è diventato famoso come membro dei Monty Python che ottennero grande successo con Monty Python’s Flying Circus (serie televisiva durata dal 1969 al 1974), e insieme a Terry Jones ha co-diretto diversi loro lungometraggi.

Tra i suoi titoli più noti, realizzati senza la collaborazione di Jones, sono da ricordare La leggenda del re pescatore (The Fisher King, 1991) con Robin Willians e Mercedes Ruehl vincitrice dell’Oscar come attrice non protagonista, l’ottimo L’esercito delle 12 scimmie (Twelve Monkeys, 1995), Paura e delirio a Las Vegas (Fear and Loathing a Las Vegas, 1998) con Johnny Depp e Benicio Del Toro, ma anche il meno riuscito I fratelli Grimm e l’incantevole strega (The Brothers Grimm, 2005) con Monica Bellucci e Matt Damon.

Il più complesso e difficoltoso nella sua realizzazione è stato L’uomo che uccise Don Chisciotte (The Man Who Killed Don Quixote, 2018) che sarà sui nostri schermi a partire dall’11 novembre.

Ispirato a Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, il film ha avuto otto tentativi falliti di realizzazione da parte del regista nell’arco di quasi vent’anni. Ma Gilliam ama talmente questo classico della letteratura da resistere contro ogni logica e, infine, riuscire a realizzarlo.

Presentato a Cannes, ha avuto commenti contrastanti, ma nessuno ha messo in discussione l’originalità e la buona qualità del prodotto. Il film doveva concorrere alla Palma d’oro ma i gravi problemi con produttore portoghese Pablo Blanco, non più nel progetto ma che in esso ha investito molto denaro, hanno convinto gli organizzatori a presentarlo nella serata di chiusura, ovviamente fuori concorso.

Dal 2006 e per dieci anni le riprese di Don Chisciotte sono iniziate più volte, con un cast sempre diverso: Robert Duvall, Michael Palin e John Hurt si sono succeduti nel ruolo di Chisciotte, mentre Johnny Depp, Ewan McGregor, Jack O’Connell e Adam Driver in quello di Toby. Sono anche cambiati varie volte gli sceneggiatori.

-Prima di occuparci della presenza a Karlovy Vary per la presentazione del suo più recente film, ci può dire qualcosa sulle dichiarazioni dell’ex capo della BBC Shane Allen in cui ha affermato che i Monty Python non sarebbero accettabili attualmente perché i suoi membri sono “troppo bianchi”?

“Se dovessimo radunare un gruppo ora non ci sarebbero sei bianchi (ma proprio bianchissimi), bensì persone capaci di rappresentare tutte le realtà attuali riuscendo a creare qualcosa di interessante. Ora non voglio più essere un uomo bianco, ma voglio sottolineare che i Monty Python non erano come li ricorda Allen.

Alla BBC ogni team rappresenta varie entità molto dissimili tra loro. In realtà, anche fra noi c’erano delle differenze: dei sei membri uno era gay e uno americano. Solo dopo accettai la cittadinanza britannica, fortunatamente prima della Brexit.
I commenti di Allen mi hanno quasi fatto piangere perché significa che non è più appropriato che sei comici bianchi uniscano le forze per creare uno spettacolo: non voglio più essere bianco, un uomo bianco, non voglio essere biasimato per tutto ciò che non va nel mondo. Tranquilli, ora non sono più un uomo bianco, sono una lesbica nera: è pazzesco ma è proprio così.

– Questo a Karlovy Vary per lei è un ritorno.

Vero, ero già venuto nel 2006 per presentare Tideland – Il mondo capovolto (Tideland, 2005) e anche allora il pubblico mi aveva accolto con tanto affetto. Anche in quel caso il film aveva avuto qualche problema, ma qui era stato accolto ottimamente. Stessa cosa per questa mia ultima fatica (e fatica non è un termine casuale…).

– Ci dica qualcosa di questo film di cui tanto si è già parlato ma, forse, non sempre in maniera documentata.

Difficile seguire tutto quanto è stato scritto o detto. Nei tanti anni di lavoro problematico sono molti ad essersi interessati al progetto. A un certo punto sarebbe stato volersi comportare come Don Chisciotte che poco otteneva combattendo contro i mulini a vento.

L’uomo che uccise Don Chisciotte

L’uomo che ha ucciso Don Chisciotte ha affrontato molte prove e tribolazioni e ci ho lavorato per tantissimo tempo. Diciotto anni fa, lo shooting originale con Johnny Depp e Jean Rochefort era stato interrotto dopo solo sei giorni.

La serie di catastrofi che sembrava avere cancellato per sempre il progetto su cui antecedentemente avevo lavorato, è stato il soggetto del documentario di Keith Fulton e Louis Pepe, Lost in La Mancha (2002), presentato qui nell’edizione numero 37.

Il giudizio lo darà il pubblico, ma io sono sempre ottimista.

– Le viene spesso contestato che il suo cinema è fin troppo folle, demenziale.

Può anche essere vero, ma io mi limito a portare sullo schermo quella che è la realtà che mi circonda: che colpa ne ho se sono tutti un po’ pazzi?

Ma, forse, anche noi siamo ‘strani’ e non ce ne accorgiamo.

– Lei ha detto che non ama vedere i suoi film su di un piccolo schermo, ma ai tempi della BBC era praticamente costretto.

Quelli erano spettacoli di varietà ed erano perfetti per essere visti in dimensioni ridotte. Tutt’altro discorso per il cinema, dove ogni particolare dell’immagine è curato e può essere goduto dallo spettatore. Il problema è che ormai non ci si limita a vederli sui PC o sui Note Book. Siamo arrivati a guardarli sul mini schermo di un cellulare: tanta fatica degli autori resa vana dalla fretta di consumare senza capire di cosa si sta cibando il proprio cervello.

Il mio cinema ha bisogno del grande schermo e per ottenere quello che desidero sono disposto a fare molti sacrifici. Nei momenti di crisi penso ad Orson Welles che riusciva a finire sempre i suoi film. E’ un maestro da cui si può imparare ancora molto.

– Come sceglie un tema e lo sviluppa?

Non illudiamoci, non siamo noi a creare il film ma è lui che decide come uscirà. E’ una magia in cui noi impostiamo un punto di partenza da cui lui si sviluppa e da cui esplode come meglio crede.

Le idee appaiono magicamente senza che noi si possa creare nulla. A volte nascono in me, senza preavviso, e io mi stupisco come un bambino.

– Senza chiederle un giudizio, ci può dire se in tutti questi rifacimenti la sceneggiatura ha avuto grosse variazioni?

Non epocali ma, ad esempio, Toby è diventato praticamente un altro personaggio. E’ corrotto dai propri successi, e cerca di ottenere gratificazione realizzando prodotti che lo facciano amare. Siamo simili nel mestiere che facciamo, ma antitetici nel modo di intenderlo.

Ovviamente, anche io devo tenere presente le esigenze del box office ed è difficile far quadrare queste esigenze con quelle dell’autore, tuttavia nel corso degli anni spero di avere imparato.

– Come si sviluppa la storia?

Il cinico Toby trova il suo film studentesco quasi dimenticato e parte per il luogo in cui ha filmato il suo adattamento del romanzo di Cervantes. Scopre che il suo progetto cinematografico ha cambiato per sempre le speranze e i sogni di un piccolo villaggio. Incontra un calzolaio confuso che è convinto di essere Don Chisciotte e che Toby sia il suo Sancho Panza. Presto, Toby si ritrova prigioniero delle bizzarre fantasie del vecchio, e diventa sempre più difficile distinguere i fatti dalla finzione. Nel corso delle sue avventure comiche e surreali, Toby è costretto ad affrontare le tragiche conseguenze del suo film.

Author: Furio Fossati

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