La morale della morale

Note  su “The Place”, un film di Paolo Genovese

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Cosa siamo disposti a fare per perseguire ciò che vogliamo?

Non stiamo parlando solo dei desideri  più futili, ma anche delle necessità più gravi , della protezione degli affetti più cari.

Come ci rapportiamo , in questo caso, con noi stessi e con la morale ?

L’ipotesi che guida il film di Genovese è che vi sia una profonda differenza fra quello che percepiamo originariamente possibile fare e ciò che realmente siamo in grado o vogliamo fare, quando siamo messi nel concreto di fronte alle nostre responsabilità morali .

Quando siamo messi di fronte, cioè, alle precise persone  che, in carne ed ossa, subiranno le conseguenze fisiche e morali delle nostre azioni. Quando rimbalzeranno su  noi stesi le conseguenze delle nostre scelte.

Il fine , forse, non giustifica i mezzi, come parte di una certa tradizione culturale umana continua a ripeterci.

La potenza dell’impulso vitale e del desiderio, che riteniamo comunemente più forte di ogni imperativo morale , nella vita reale si deve misurare e rapportare con le conseguenze delle nostre azioni nei confronti degli altri e  del nostro divenire .

Come cambierà il nostro stesso essere a causa della natura delle nostre scelte?

Saremo soddisfatti del nostro cambiamento o ci detesteremo?

Quale sarà il nostro rapporto con le persone con cui s’intreccerà la nostra vita?

Come le guarderemo negli occhi mentre cerchiamo di utilizzarle per raggiungere i nostri obiettivi;ma, soprattutto, vogliamo utilizzarle o desideriamo  avere la possibilità d’incontrarle?

Ecco che nello svolgimento concreto della nostra esistenza la potenza del desiderio, la mela d’ Adamo ed Eva, s’incontra con l’albero del bene e del male , con la coscienza, con la morale;  una morale  non astratta e filosofica, ma che ti guarda con gli occhi delle persone  e del tuo stesso animo ,che cambia proprio in base alla tue scelte.

Queste sono le riflessioni che impetuosamente  sono state provocate dalla visione del film ” The Place ” di  Paolo Genovese. Il luogo dove le persone, disposte a qualsiasi cosa pur di conseguire quello di cui hanno bisogno, incontrano il bravo Mastandrea che è, forse, la materializzazione   esternalizzata di noi stesi  e che distribuisce le prove da superare, aggiungendo un semplice ” si può fare”.

Genovese  si è in parte ispirato per il soggetto del film alla serie televisiva “The Booth at the End”andata in onda in Nord America nel 2010 e creata da Christopher Kubasik. In questa si segue il destino di alcune persone  che fanno dei patti con un uomo senza nome , che sembra avere il potere di far avverare  un loro desiderio, in cambio di un compito che egli stesso gli assegna dopo aver consultato la sua agenda . La frase che può sintetizzare  l’argomento centrale della serie  è “fin dove saresti disposto a spingerti per ottenere quello che vuoi?”

Mi era molto piaciuto ” Perfetti sconosciuti”, ma non avrei mai immaginato che nel suo nuovo film  Genovese si sarebbe misurato con un  un tema così complesso ed anche ambizioso.  Di questo film  mi è piaciuto soprattutto la sua provocazione. Il suo chiederci di guardare con maggiore  attenzione alla condizione  della complessità umana.

Il chiederci di confrontarci,  non in astratto ma in concreto,  non  solo con i nostri desideri ma anche con le difficoltà e le persone reali che abbiamo intorno e che sono quelle che, alla fine,  misureranno insieme a noi il successo della nostra vita e delle nostre scelte.

Bravissimi e credibili tutti gli attori, da Alessandro Borghi a Sabrina Ferilli e Giulia Lazzarini, da Marco Giallini, a Vinicio Marchioni, Valerio Mastandrea, Silvio Muccino e Rocco Papaleo, dalla bella Vittoria Puccini ad Alba Rohrwacher, che ci portano con mano leggera all’interno  delle loro storie. Ancora una volta, così come è successo  in ” Perfetti sconosciuti”, la forza della storia sta tutta nell’intreccio  del racconto delle emozioni delle persone ; mentre, il luogo fisico delle inquadrature rimane sempre lo stesso: “The Place”.

Author: Redazionale

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