Francesco TOZZA- Lacerti di un mondo che fu (“Bollari…”, uno spettacolo di Carlo Gallo)
Il mestiere del critico
LACERTI DI UN MONDO CHE FU
“Bollari, memorie dallo Jonio”, di e con Carlo Gallo. Collab. artistica di Peppino Mazzotta. Costumi di Angelo Gallo
“Teatri in blu” 2017, a cura di Vincenzo Albano -Tonnara Genevieve, Cetara (Salerno)
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Un teatro da farsi (e da incoraggiare perché si continui a fare) quello che da qualche tempo Vincenzo Albano, un giovane dalle idee chiare e dalla ferma volontà di metterle in pratica, offre – con rassegne più o meno brevi – in una città (Salerno) non più molto aperta, come qualche decennio fa, al nuovo, o comunque ai rischi dell’inconsueto, diciamo anche e più semplicemente, del meno noto o del marginale; al quale, invece, bisogna prestare attenzione, non solo in quanto spesso si hanno anche qui felici sorprese, ma perché resta imprescindibile esigenza il documentarsi su quello che si produce fuori dai canali ufficiali, o dalle loro più generose forme di finanziamento, ovviamente concesse alle più collaudate esperienze!
Questa volta la tenacia e il savoir-faire del giovane “direttore artistico” si sono spinte in quel di Cetara, il grazioso, piccolo centro sulla soglia della costiera amalfitana, programmando tre piccoli spettacoli sulla tonnara Genevieve, intitolando il tutto “Teatri in blu”. Ad inaugurare la breve rassegna (9 luglio, i prossimi il 21 e 28), in estrema coerenza con luogo e titolo, c’è stato un tipico esempio di quello che si chiama teatro di narrazione: Bollari, scritto (in base a personali ricerche sul campo) e interpretato da un giovane, bravissimo attore, il calabrese Carlo Gallo.
Dinanzi ad una cinquantina di spettatori, che la tonnara ospitante avrebbe dovuto portare al largo (ma per questa volta è rimasta attraccata al porto, comunque con non minore fascino per la riuscita dello spettacolo), l’attore ha snodato il suo cunto: lacerto di una storia di pescatori, sulle coste crotonesi dello Jonio, intessuta di sonorità musicali, che una ben modulata voce, cui si accompagnava, peraltro, una gestualità essenziale, eppure loquacissima, ma già la lingua stessa, offrivano con quelle parole, di volta in volta sprigionanti ironia e drammaticità, adesione affettiva non disgiunta dall’icastica efficacia della narrazione.
Vivissimi i ricordi di mare e povertà, alcuni forse personali, altri attinti dalle testimonianze dei più anziani, in una scrittura che contiene ancora colori, sapori, echi di costumanze che affiancano alla grande e più meschina Storia (la visita del duce in paese), pagine della più tormentata quotidianità, magari al grido: Bollari, Bollari, nel vedere finalmente quelle nuvole o bolle d’acqua marina, annuncianti l’arrivo in superfice di più folte schiere di pesci: segno di una momentanea sconfitta della fame, magari con gli strumenti della pesca di frodo!
Applausi, meritatissimi, per l’attore alla fine, con possibilità di scambiare quattro chiacchiere, fra una spaghettata con alici e qualche babà al limoncello (specialità del posto); cordialmente, senza la liturgia di passate forme di mondanità, semplicemente riscoprendo il valore non solo artistico, ma anche umano del teatro: nello specifico anche la funzione di vivificare il passato in un mondo troppo spesso appiattito sul presente.