Furio FOSSATI*- Professionalità sterile (“La doppia verità”, un film di Courtney Hunt)
Buio in sala*
PROFESSIONALITA SENZA ANIMA
“La doppia verità” Regia di Courtney Hunt
Interpreti Keanu Reeves, Renée Zellweger, Gugu Mbatha-Raw, Gabriel Basso, Jim Belushi, Jim Klock, Ritchie Montgomery, Christopher Berry, Lara Grice, Nicole Barré, Lucky Johnson.
Prod. Usa 2016
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Keanu Reeves, con umiltà e discreta bravura, è il protagonista di un film pensato per Daniel Craig che ha abbandonato il progetto pochi giorni prima dell’inizio delle riprese, nell’aprile 2014, mettendo in crisi la produzione. La sua interpretazione è calibrata ma non innovativa, convincente senza essere accattivante, professionale ma senz’anima.
Girato in Louisiana dal luglio dello stesso anno e ultimato un paio di mesi dopo, ha dovuto attendere il marzo del 2016 per iniziare la sua poco gloriosa vita nelle sale di paesi quali Turchia, Irlanda e Messico, per poi essere proposto a fine ottobre negli USA ma solo su Internet. La struttura classica del film doveva essere un aiuto notevole per lo sviluppo narrativo, ma così non è stato a causa della scelta di utilizzare i non sempre riusciti interni nel Tribunale quali spunti per i vari flashback che dovrebbero aiutare a costruire una vicenda credibile. Questo non era quanto voleva lo sceneggiatore con uno script contorto basato più su dubbi che certezze, difficile da gestire senza creare troppa confusione nello spettatore.
Come se questo non bastasse e senza apparente logica, il film cambia registro e diventa fin troppo comprensibile, senza colpi di scena, con una verità svelata in un tempo che uccide il poco interesse rimasto. Non è certo un caso che la storia sia stata scritta da Nicholas Kazan – co-sceneggiatore tra l’altro di Chris Columbus per L’uomo bicentenario (Bicentennial Man, 1999) e di Barbet Schroeder per Il mistero Von Bulow (Reversal of Fortune, 1990) – abbia firmato con uno pseudonimo, anche se nel suo curriculum sono più i titoli mediocri che non quelli validi.
Dirige Courtney Hunt che, dopo l’opera prima, Frozen river – Fiume di ghiaccio (Frozen River, 2008), che ha ottenuto con una nomination agli Oscar per la sceneggiatura, ha lavorato per la televisione ed è stata scelta quale regista probabilmente per ragioni di budget. Questo è il suo secondo lungometraggio e le sue colpe sono limitate, impegnata come è a rendere accettabile una sceneggiatura pretenziosa e malriuscita. Jim Belushi carica un po’ troppo l’immagine di avvocato infido ma è comunque funzionale. Meno convincente Renée Zellweger quale moglie del morto e madre dell’accusato dell’omicidio, spenta e poco credibile quale madre preoccupata. Gabriel Basso, vittima sacrificale, non demerita.
Gli altri non sempre rimangono nella memoria. Un adolescente uccide il padre violento o almeno è quello che lui stesso lascia credere.
Il processo sembra essere un semplice atto dovuto con un colpevole fin troppo identificabile per essere quello vero. A questo insieme di prove non crede l’ostinato avvocato difensore che si impegna a scagionare l’accusato dovendo combattere anche col suo mutismo e l’apparente ammissione del delitto. Il legale decide di rincarare la dose, di far vedere solo le cose negative che coinvolgono il suo difeso, ma ha un piano che lo porterà a fare conoscere a tutti la verità, soprattutto ai membri della giuria popolare
*Ringraziamo F. Fossati, collega di Cinemasessanta e curatore di Cinemaeteatro.com