Francesco NICOLOSI FAZIO – Regni di perduti sogni (“Troiane” per la regia di N.A. Orofino al Teatro Romano di Catania)

 

Teatro  Angolazioni

 

 

REGNI DI PERDUTI SOGNI


 

Troiane- Canto di femmine migranti.

Regia: N. Alberto Orofino.  Con; Egle Doria, Silvio Laviano, Alessandra Barbagallo, Luana Toscano, Lucia Portale, Valeria La Bua, Marta Cirello.  Scene e Costumi: Vincenzo La Mendola.  Assistente alla regia: Gabriella Caltabiano.

Al Teatro Romano – Prod. Teatro Stabile di Catania

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Come in un sogno.

Ritrovarsi nei luoghi dell’infanzia e vivere un’altra dimensione. Si scavalcava il basso muretto, di fronte ai Salesiani, per andare a caccia di imprendibili rane, nelle stagnanti acque, o portare pietre, agli ordini dell’archeologia, nel monumento, al tempo, da poco lasciato dai suoi abitanti. Un luogo antico, riscoperto, avendone il sentore come della prima volta, opera di magia.

La prigione e la sconfitta, che diventa oblio, del perduto regno. Come ci svela il regista, Ecuba si tramuta nel suo calice stesso, memoria dei passati anni di regina, argenteo testimone in ogni scena di lei, ormai schiava d’Ulisse. Una amara epica della sconfitta e del perduto onore, che ci prende ed  accomuna ai tanti popoli  sconfitti,  dai nativi americani a noi, esseri dell’isola che non c’è. Lo spettacolo si addentra  negli oscuri corridoi del teatro romano di Catania, come nei meandri della memoria e del dolore, una laica e pagana “via crucis”, dove le stazioni sono i personaggi/episodi, che emergono all’improvviso.

Dall’antefatto, dove gli dei giocano con la vita degli umani, passando da Ecuba centro della vicenda, ad Elena più volte traditrice, anche della nuova patria di Troia. E poi Cassandra che, come la cultura, conosce e non è creduta. Culmine della vicenda l’assegnazione ai dadi delle principesse, divenute bottino, tra i blasfemi vincitori achei.

Un grande evento culturale, volutamente labirintico e spiazzante, nella originalissima scelta di rinchiudere l’agorà del teatro antico nel buio, entro le volte ad arco, sconosciute ai greci dell’era classica. Sapienti le location, simbolo anche di un interiore tragitto, con provvidenziali grate di ferro che sembrano costruite ad arte.

Tutti bravissimi gli attori, con Egle Doria e Silvio Laviano che sfruttano mirabilmente la simmetria dello spettacolo: Egle vero baricentro della rappresentazione, Silvio che apre e chiude la piece, trovando “luogo giusto” per la sua fisicità.

Nicola Alberto Orofino mostra da tempo capacità di abile dinamitardo, riuscendo a scomporre e ricomporre i più complessi spettacoli classici ad “occhi chiusi”, per poi far scoppiare la “bomba” artistica in momenti esatti, con tempi degni del miglior agente segreto. Ecco cosa deve essere l’artista: un rivoluzionario della scena, che riesce, anche con elementi noti ed ormai consueti, a far esplodere l’opera, dentro le menti ed i cuori degli spettatori, meglio se accorti.

Brucia nei nostri sogni la splendida Ilio, forse esistita solo negli occhi, del cieco Omero.

Spettacolo “alto”, di voluta dimensione Europea.

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