Io scrivo
L’ULIVO RETTO
Lo osservavano con sospetto e la sua decisione apparse chiara a tutti dopo appena una dozzina di lustri. Nel secolo successivo, poi, destò scalpore anche in tutto il vicinato, finanche nel bosco sacro oltre la collina.
Non bastava il mistero delle scomparse, quando Ozo, Wulm e Denn erano scomparsi in una sola notte, portati via su grossi camion con tutte le loro lunghe radici e fronde. Poi era stato il momento della spazzatura e in breve il bosco nuovo si era trasformato in una discarica con tanti giovani compagni avvelenati e insozzati in modo infame. Adesso a completare la situazione di emergenza c’erano anche queste stranezze!
Alcor, il più anziano e illustre per le tante spire nelle quali si era avviluppato, lo aveva disprezzato pubblicamente. In un’intera stagione aveva arricciato le foglie nella sua direzione come era loro costume. Non era una cosa molto visibile all’esterno, ma per loro il tempo scorre lento, cadenzato da estati e inverni, e questo era un segnale chiaro e inequivocabile. Tutti lo avevano notato e da allora nessuno gli aveva più rivolto le fronde. Lo avevano ignorato, isolandolo nel suo spiazzo per molti decenni.
Dimenticato da tutti, lui aveva continuato a crescere stagione dopo stagione dritto verso il cielo, sopravanzando presto i suoi simili e riuscendo a scorgere da lontano l’alba, il tramonto e tutto quanto accadeva fuori dal loro bosco. Non era retto come il pino, che si erge imponente con il suo ombrello di aghi, neanche come il cipresso, che punta verso il cielo la sua affusolata chioma quasi volesse volar via da un momento all’altro. Si era comunque sviluppato tendendo il fusto e tutti i rami verso il sole, cercando di seguirlo nel suo moto, soprattutto quando, caldo, lo fissava allo zenit, oppure salutando la luna, quando piena appariva tra le stelle a rischiarare le notti.
La sua crescita era semplice e innocente, perché ingenua era la sua mente e non avvezza alle manifestazioni di sé e alle esaltazioni. Non gli interessavano tutte quelle espressioni di potenza, quelle nodosità ostentate, quelle torsioni vertiginose. Quegli annodamenti secolari, che per tutti erano espressione di forza e di casta, non l’avevano mai attratto. Lui non ne vedeva un fine pratico: infatti quelle pose non rendevano le olive migliori, né le loro spremiture di qualità superiore, né il loro numero maggiore. Era una pura ostentazione, una coreografia pietrificata di possenti movimenti lenti, congelati nel tempo, testimonianza di volontà e fatica secolari senza alcuna utilità. Qualcuno sembrava pronto per la lotta, altri erano immortalati nell’atto di correre o marciare, di lanciare o sollevare macigni.
Poi c’erano quelle nodosità esagerate, quasi ad emulare muscoli tesi o rappresentare corazze impenetrabili o persino genitali sfacciati. Infine ognuno mostrava con orgoglio profonde cavità delle quali non se ne intravedeva il fondo e sporgenze moleste che si protendevano quasi ad afferrare i passanti. Ognuno era fiero del proprio talento e si sforzava di mostrarne altro in un pavoneggiarsi lento ma continuo.
Senza scervellarsi in quelle rotazioni scomposte o dividersi in forcelle inutili, lui crebbe retto e ben presto divenne il più alto albero d’ulivo della vallata, fino ad eguagliare l’altezza anche dei più alti alberi della zona.
Non passò molto tempo, anche se la percezione di questo era poco chiara, che gli umani lo scorsero. Prima furono solo due ragazzi a notare la sua particolarità. Poi un contadino di passaggio e un parroco. In breve la voce si sparse e i visitatori vennero in gruppi sempre più grandi. Tutto ciò però non sembrava degno di nota per i secolari abitanti del bosco, che non amavano la compagnia degli umani, ritenendoli degli animaletti molesti e rumorosi, finché un giorno non arrivarono con i loro terribili veicoli. Parcheggiarono addirittura nel bosco sacro, poi in fila si recarono ad ammirare l’ulivo retto. Posero una staccionata tutto intorno all’ulivo reietto e schiacciarono in parte proprio le radici di Alcor e di altri anziani. Gli ulivi iniziarono a sbuffare, lentamente, proprio come fanno loro quando sono infastiditi, una volta all’alba e una al tramonto.
Poi apparsero dei cartelli, tanti, tutto intorno a loro, e su ogni cartello era raffigurato un ulivo dritto e vari altri segni, che si scoprì volevano dire “Parco dell’ulivo retto”. Ogni giorno era pieno di gente e nessuno più gettò immondizia, anzi il bosco nuovo fu bonificato. Nessun ulivo fu più portato via, anzi tutti ricevettero in dono un appetitoso concime, come mai prima era loro accaduto. Erano protetti, osservati, fotografati e avevano ogni giorno compagnia. E tutto grazie all’ulivo retto.
Fu così che a poco a poco gli ulivi tornarono a rivolgergli le foglie e sempre più giovani decisero di crescere dritti e di seguire le sue orme, tanto che gli umani ancora si scervellano per comprendere la mutazione e trovare il gene responsabile.
I disegni sono dell’autore.