Luisa SANFILIPPO – “Anamorfosi dentro” (racconto breve)

 

Io scrivo

 


ANAMORFOSI DENTRO

Opera di Vincenzo Sanfilippo

°°°°

Mi osservo, e vedo che il mio viso ha qualcosa di inquietante, straordinario, indecifrabile. Sta per tornare la strana visione. Non mi meraviglio più di tanto, non è la prima volta che mi succede. Un normale accadimento.

Le mie facoltà cognitive sono ancora lucide e, dunque, sono in tempo per fare qualche considerazione.

Io vedo una realtà modificata, una realtà-irreale e, perciò, osservandomi  vedo ciò che gli altri non vedono: il mutamento del mio volto e l’effetto che avrà su di me l’irrazionale distorsione.  Tento di rincuorarmi.  Quello che tra poco avverrà, è  una mia percezione interna… che  vuole solo evidenziare un profondo disagio interiore o, magari, il lato più intimo (o tormentato?) del mio carattere.

“Quando più siamo in disagio dentro, tanto più vediamo distorta la nostra immagine.

Mi accorgo, attraverso uno strano attrezzo specchiante, che la trasformazione del mio viso è adesso molto evidente.

Devo rassegnarmi a questo grottesco cambiamento anamorfico.

Continuo ad osservarmi. Una smorfia di disgusto.

Mi allontano disorientata, come un automa comincio a fare dei  piccoli passi avanti e indietro, dinoccolandomi,  trascinandomi, ma  cercando in tutti i modi di reggermi in piedi.  Ritorno. La visione alterata mi trafigge lo sguardo.

Non capisco come sia potuta accadere una tale trasformazione, così diversa da tutte le altre che ho sempre pazientemente tollerato.

La mia faccia mi appare ancora più buffa e orripilante. Non posso paragonarla nemmeno a quella di un clown, perché il clown vero piace ai bambini, non spaventa, ha la faccia simpatica, e il suo naso è a palla, colorato e, soprattutto, finto.

Ma il mio naso è tutto vero…risalta prepotente a prima vista, una massa informe che si sta allargando sia in senso orizzontale che verticale  e  ha invaso il resto del volto. Un naso che non è più un naso…a guardarlo bene sembra… un fungo porcino, che può essere anche bello a vedersi, ma questo… è riuscito proprio male!

No!  Non ho il gusto dell’orrido.

Dovrei rassegnarmi a mostrare questa maschera verae sottoporla all’attenzione dei passanti come fossi un fenomeno da baraccone: subire i risolini, gli sberleffi e le occhiate piene di commiserazione, subire osservazioni pettegole e sfottenti? Soprattutto si soffermeranno a guardare questo tronfio di naso, che non ha niente a che fare con quei nasi che sfacciatamente si pavoneggiano dritti o all’insù, come se un ingegnoso scultore avesse originariamente creato un prototipo dal quale sarebbero nati innumerevoli, ideali, perfetti nasi in serie, graziosi nasini da fare invidia alle maggiorate nasali.

Rabbia e invidia mi colgono di sorpresa. Mi soffermo ad osservarmi ancora, è evidente che la mia immagine  non mi piace affatto, è diventata insopportabile  da vedere e sostenere.

Questa volta devo intervenire. Subito.

Sono stanca di lottare contro queste alterazioni facciali.

È l’ultima possibilità che mi rimane, frivola o sciocca, non importa, un rimedio unico, necessario, definitivo! Finalmente.

Saranno i bisturi miracolosi di un abilissimo chirurgo-scultore, a rimettere a posto i vari connotati, e ridare forma a questa parvenza di viso… e a questo naso dia-bo-li-co, che non ha avuto rispetto per le proporzioni, dal momento che da solo si è trasformato senza darmi  nessun preavviso.

Presto riavrò un volto nuovo… e io sarò fiera di esibire… il capolavoro!

Mentre pronuncio per la seconda volta “capolavoro”, mi ritrovo a eseguire indefiniti gorgheggi che sembrano vogliano parodiare la voce di un soprano.

Subentra una lenta esagitazione, i gorgheggi aumentano di intensità,  comincio a muovermi in modo sempre più frenetico, pronunciando più volte,  sempre gorgheggiando, quasi fuori di me, la parola “capolavoro, capolavoro!”, finché, barcollante e stremata, mi vado ad accasciare pesantemente nella mia comoda poltrona, in uno stato di abbandono e obnubilamento totale.

Vi rimango per qualche minuto, impassibile, il corpo sprofondato, le braccia rilassate pendenti verso il basso, gli occhi  che sembrano vagare alla ricerca di qualche indizio o definizione.

Mi sforzo di rialzarmi. Con meraviglia avverto che la pesantezza iniziale si sta trasformando in leggerezza mentale e fisica.  Riesco a fare qualche passo, e dopo, addirittura, delle allegre movenze, comincio a ridere, a palparmi il viso… e pronunciare ancora, con tono più consapevole, le parole capolavoro… intervento, chirurgia plastica… Capolavoro?

Tutte stronzate.

Ripeto sempre le stesse cose, fino alla nausea, ogni volta che ritorna lo strano fenomeno.  E che fenomeno!

Sono finalmente rientrata in me, mi sposto sicura e determinata verso la mia poltrona preferita, questa volta non mi abbandono in essa, ma mi siedo lentamente, con discrezione. Solo così potrò fare un’ultima considerazione.

Sì, è tutto finito.  Il mio viso è tornato quello di sempre, vero, autentico, con le rughe tutte a posto… anche il mio naso ha riacquistato le sue vere dimensioni…è quello di prima. È tutto come prima.

Ho ritrovato la mia faccia. Ora devo stare attenta a non perderla di nuovo.

 


Bisogna autoconvincersi che la soluzione estrema di ricorrere alla chirurgia plastica è solo una panacea, non l’unico rimedio ai mali interni, anche se spesso così profondi, vasti e intricati da non poterli contenere.

Bisogna, dunque, affrontare il disagio interiore cercando di appropriarsi di un sano equilibrio psicofisico capace di rendere più agevole il nostro quotidiano.

 

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