Ruben SABBADINI – “Li avevo alle calcagna” (racconto breve)

 

Io scrivo


 

LI AVEVO ALLE CALCAGNA



Li avevo alle calcagna e potevo, ragionevolmente, considerarmi spacciato. Ma come ero arrivato fin lì? Cosa mi aveva portato dall’essere un tranquillo cittadino, senza pretese, a criminale in immediato pericolo? Avevo accettato una proposta di quelle che, sembrava, non si potessero rifiutare.

Mi si chiese di fargli da basista, di raccontagli i segreti del mio ufficio, posto nei sotterranei della Commercial Bank. Il compenso per quello che, allora, mi appariva piccola cosa, era elevato, centomila dollari, il rischio basso: perché avrebbero dovuto sospettare di me? un oscuro impiegato tra tanti?

Gli diedi tutte le informazioni, gli feci disegni, mappe, orari dei giri di ispezione e quant’altro mi chiedessero. Furono soddisfatti e mi pagarono, subito, in contanti. Con quei soldi avrei potuto, finalmente, mettere a posto una serie di pendenze e forse anche comprarmi una casa tutta mia, certo non un gran che, ma mia. Mi sembrava un ragionevole scambio in un mondo in cui tutto ha un prezzo, anche le persone, ma soprattutto le informazioni. Siamo giunti, dopo millenni di civiltà, a dare valore alla conoscenza: sapere o non sapere fa la differenza. Sapere prima degli altri fa la differenza. A volte basta arrivare qualche minuto prima del tuo concorrente per fare l’affare della tua vita.

Io sapevo cose che avevano un valore. E come mi trattava la Banca per questa mia prerogativa? Come uno schiavo, turni massacranti e un salario da fame. In quanto a considerazione, nulla o meno di nulla. Ero invisibile, un piccolo ingranaggio, apparentemente trascurabile, in un macchinario complesso che, sembrava, avesse il suo cardine nei piani alti, lontano da quel buio sottosuolo.

Ma era mai possibile non si rendessero conto che proprio qui sotto, proprio noi, custodissimo i segreti della loro vulnerabilità? Non è che non se ne rendessero conto, mica erano stupidi, è che non gliene fregava niente. Avevano fatto due calcoli e avevano valutato che il prezzo di una rapina, anche ad un caveu come il nostro, non era poi così elevato e si riduceva al costo di una buona assicurazione.

Così giocai quel gioco delle parti: diedi le informazioni in cambio di soldi. Quelli avrebbero rapinato la banca e, ai piani alti, si sarebbero rivalsi sull’assicurazione. E non c’è neanche uno disposto a versare una lacrima per una povera compagnia di assicurazione!

Un gioco a somma zero, tutti contenti, ciascuno nel suo ruolo. Un fine sociologo avrebbe pure potuto parlare di redistribuzione del reddito: dai piani alti ai bassifondi. Un economista, che non ha peli sullo stomaco, si sarebbe compiaciuto che il denaro circolasse per futuri benefici commerci. I premi assicurativi già in partenza ne avevano calcolato l’onere e, a ben vedere, tutto il carico lo sopportavano, rapina o non rapina, migliaia, milioni, di piccoli correntisti che pagavano commissioni onerose perché la Banca gli conservasse quei miseri, pidocchiosi risparmi. Un onere spalmato su milioni di ignari non viene percepito, più di tanto, come tale.

Fu questa consapevolezza che mi tacitò la coscienza e mi fece decidere. Partecipereste ad un gioco a somma zero, in cui nessuno si fa male, raccogliendo un cospicuo compenso? E chi avrebbe potuto dire di no? E, infatti, dissi sì.

Ma qualcuno si fece male, purtroppo. Quella guardia volle fare l’eroe. Giovane, appena assunto, si era troppo immedesimato nel suo ruolo. Forse aveva visto troppi film ed era convinto di essere il buono che riscatta dal male. Non sapeva, il tapino, che non c’è il bene e il male, che il bene è il male e viceversa. Non conosceva Brecht che diceva “è più criminale fondare una banca che rapinarla”. Aveva estratto la pistola e ci aveva guadagnato nugoli di pallottole.

E così un gioco a somma zero, in cui tutti sarebbero vissuti felici e contenti, si trasformò in una tragedia. E le tragedie raccolgono attenzione, fanno scattare allarmi e la polizia si intestardisce a cercare i colpevoli. I veri colpevoli non li trovano, cominciano da me, dall’ultima ruota del carro sperando, illusi, che li porti da loro. Ma l’unica traccia che potrebbe inchiodarmi è il denaro che, provvidenzialmente, è al sicuro senza averne speso un centesimo. Li affronterò a viso aperto convinto di cavarmela, hanno un sospetto ma nessuna prova. Certo quei soldi dovranno riposare per un po’, dovrò rimandare i miei sogni ma, questo è il male minore. Mi dispiace per quel poveraccio, non se lo meritava, ma non ce lo meritavamo neanche noi di doverci sentire in colpa.

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