Giuseppe FANTASIA*- Ipotesi Van Gogh: siamo certi che si sia suicidato?

Un’ipotesi*

 

 

VAN GOGH AMAVA LA VITA

SIAMO CERTI CHE SI SIA SUICIDATO?


-Un romanzo di Guenassi e la tesi dei  due storici Steven Naifeh e Gregory White

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La super star, il genio e la sregolatezza, le luci e le ombre di un personaggio conosciuto anche da chi non sa nulla di arte e del suo mondo, pieno di attrazioni come di contraddizioni. È l’olandese Vincent Van Gogh (Zundert 1853- Auvers-sur-Oise 1890), sempre in auge da quasi centotrenta anni a questa parte, autore di opere battute all’asta con cifre record a sei zeri e presenti nei più importanti musei del mondo (su tutti, quello a lui dedicato ad Amsterdam), oltre che in invidiatissime collezioni private.

Una produzione enorme, la sua (dipingeva anche due quadri a settimana), che comprende, tra i tanti, gli autoritratti, i girasoli, gli iris, la sua stanza da letto, il campo di grano con i corvi neri come la notte stellata, quadri-simbolo nell’immaginario collettivo e, spesso, super inflazionati e riprodotti in maniera compulsiva su magliette, tazze, penne e altri gadget di ogni genere.

Se di recente, un altro artista-star, Jeff Koos, ha deciso di omaggiarlo mettendo l’immagine di una delle sue tele su una celebre borsa della maison Louis Vuitton, al Museo Capodimonte di Napoli sono state esposti due suoi capolavori strappati alla camorra (Paesaggio marino a Scheveningen del 1882 e Una congregazione che esce dalla chiesa riformata di Nuenen del 1884-85) e c’è grande attesa per la super mostra a lui dedicata – “Van Gogh: tra il grano e il cielo” – la più grande realizzata in Italia (saranno esposte 120 sue opere), in programma alla Basilica Palladiana di Vicenza dal 7 ottobre prossimo.

Una vera e propria Van Gogh-mania, dunque, che continua anno dopo anno con pubblicazioni, libri, approfondimenti come lo scoop, rivelato tempo fa, da Steven Naifeh e Gregory White Smith nel loro libro “Van Gogh: The Life”, una monumentale opera di oltre novecento pagine in cui i due storici dell’arte americani (già vincitori del premio Pulitzer per l’opera Jackson Pollock: An American Saga) affermano che Van Gogh sarebbe stato ucciso dal sedicenne René Secrétan, cui sarebbe partito per errore un colpo da una pistola malfunzionante. Un omicidio involontario, dunque, e non un suicidio il suo, come per lungo tempo si è pensato, “perché Van Gogh non era affatto depresso, voleva fare molte cose, aveva in programma due mostre e diversi progetti con Gauguin, l’amico ritrovato”.

Ce lo ha spiegato a Milano Jean-Michel Guenassia, scrittore algerino ma parigino d’adozione, autore del pluripremiato Il club degli incorreggibili ottimisti (Salani), già vincitore del Prix Goncourt des Lycéens, nonché uno dei più grandi (studiosi) sostenitori della tesi non-suicidio. “Per troppo tempo siamo stati influenzati da una leggenda costruita, perché in realtà era un uomo robusto, con spalle larghe e sano, un uomo che brulicava di progetti e che desiderava vivere”, ha aggiunto.

“Morì a trentasette anni in modo violento e questo fa sì che nel nostro inconscio collettivo si sia creata una vera e propria leggenda, come è accaduto poi con tutte le persone che muoiono troppo presto, si pensi a Kennedy, alla Monroe, a James Dean, giusto per citarne qualcuno. La morte brutale abbellisce in qualche maniera le persone”.

“Era un povero pittore olandese che viveva ad Auvers-sur-Oise (piccolo paese vicino Parigi dove è seppellito accanto all’amato fratello Theo, ndr), non ci fu nessuna indagine e per quindici anni non se ne parlò più. La gente non lo comprava, così come accadde per Gauguin o Renoir, perché erano poeti maledetti. Nel 1905 le cose cambiarono e dal 1920 divenne il pittore più quotato e ci fu la nascita del mito”.

A Van Gogh, pardon, a Vincent – che è poi la firma che utilizzava per identificare le sue tele – Guenassia ha dedicato lunghi ed attenti studi che da poco tempo sono diventati un libro, Il valzer degli alberi e del cielo (Salani, trad.ne di Francesco Bruno), il racconto romanzato dell’ultimo periodo della sua vita attraverso lo sguardo retrospettivo, soggettivo e rivelatore di Marguerite Gachet, la figlia dello psichiatra che curò l’artista nell’ultima parte della sua esistenza.

“Era una donna di oggi con i desideri propri del nostro tempo: indipendenza, emancipazione, autonomia, ma visse nel 1890, un periodo in cui i suoi sogni erano impossibili da realizzare, quindi decise di ribellarsi contro la condizione delle donne dell’epoca e tra le tante cose che fece, andò a letto con un pittore che aveva il doppio dei suoi anni”, ci ha spiegato Guenassia, felicissimo della vittoria di Macron, “il miglior presidente francese che la Francia possa avere, un uomo necessario in un periodo non facile come quello in cui stiamo vivendo”.

Se all’epoca le donne “potevano solo tacere”, ha aggiunto, “Marguerite decise di non farlo, di ribellarsi, di non sposarsi con l’uomo stabilito e di voler studiare, lavorare, perché voleva essere un’artista. Era una rompiscatole vera e propria, una ragazza difficile, perché voleva sempre qualcosa di impossibile”. Perse la testa per lui e lui – a suo modo – ricambiò quell’amore e questi particolari, oltre al segreto della prematura e violenta scomparsa di Van Gogh, vengono affrontati da Guenassia in questo romanzo avvincente, costruito come fosse un giallo, visto che la suspense e il mistero, la passione e l’amore in tutte le loro forme, procedono di pari passo.

“Sono stati i tanti particolari della sua vita ad avermi attratto, è la sua storia che mi ha conquistato, non il personaggio”, ha detto l’autore. “Mi sono documentato e quello che ne è venuto fuori è un romanzo di cui l’oggetto è Van Gogh, ma di cui il soggetto è Marguerite, perché è lei che racconta la storia in questo libro. Attraverso il suo sguardo vediamo le cose e anche attraverso la sua soggettività. Quello che ci racconta non è necessariamente vero, ma noi lo vediamo attraverso i suoi occhi”.

Il suo è stato un lavoro su due livelli: c’è un personaggio, un’icona che tutti credono di conoscere, ma in realtà non è così, un uomo anonimo all’epoca, un tipo che chiamava Vincent che incontra una ragazza che si chiamava Marguerite. “Il lettore che crede di conoscerlo è il primo livello mentre il secondo è quello che racconto io, la storia di quel Vincent, una costruzione che ha un’ironia drammatica, perché il lettore che conosce l’oggetto del libro (Van Gogh, ndr), si ritroverà ad affrontare un soggetto completamente diverso (Vincent, ndr)”.

Van Gogh ebbe il merito di essere stato il primo a lavorare in una certa direzione e assieme a Cézanne fu il padre di tutto un gruppo di pittori, perché aprirono poi una via a tutti gli altri, “ad una generazione di pittori che durerà ancora a lungo”, come scrisse a Gauguin in una lettera dell’ottobre del 1888. “Sapeva di aver trovato qualcosa, ma di certo non aveva immaginato che ci sarebbe stata una tale posterità dopo di lui, anche perché, in quel momento, quando qualcuno guardava una sua tela, la considerava brutta”. Il suo merito? “Aver avuto una grande forza di carattere per continuare su questa via”.


*dal blog dell’autore e di The Huffington Post-che ringraziamo

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