Francesco SEVERINI – Vagabolario “C” (“Il crocifisso di Alicante”)


Io scrivo



VAGABOLARIO “C” – Il crocifisso di Alicante


Francesco Severini, Capolettera “C”, gouache, china e tempera su carta, cm 25×33


Cronache antiche riportano che il 18 gennaio dell’anno del Signore 1606 il veliero ‘Santa Maria di Montenero’ salpò dal porto spagnolo di Alicante, facendo vela verso Genova. Portava attraverso il Mediterraneo passeggeri e merci, ma non arrivò mai a destinazione. In vista del golfo di Porto Conte, l’antica ‘baia delle ninfe’, fu travolta da un terribile fortunale e colò a picco.

Dopo alterne vicende la cassa contenente il Crocifisso di Alicante fu portata infine nella chiesa della Misericordia, piccolo oratorio fin da allora sede della Confraternita, che da sempre ha continuato a venerarlo. Ed è forse per un legame tuttora strettissimo fra la storia e la leggenda, le cui fila si snodano parallelamente a quella, che si dà ai Jermans Blancs il merito del recupero della cassa.

Andò così. Un giorno, in un tempo lontano, una spaventosa tempesta investì la costa di Alghero, portando l’acqua del mare fin dentro la città. Quando le onde si ritirarono e il mare si calmò, i pescatori tornarono in porto, a scrutare le acque e i venti. Fu allora che la videro: una cassa. Giaceva nell’acqua e capirono subito che si trattava di un oggetto di pregio. Era «costruita con legno speciale, ben rifinita». Prometteva tesori, e in molti tentarono di recuperarla. Ma l’impresa si rivelò ben presto impossibile: la misteriosa cassa era pesantissima. E in fretta si sparse voce che, di certo, conteneva qualcosa di magico o di sacro.

Allora furono chiamati i Jermans della Misericordia, che provarono a tirarla su: «Folza folza, issa issa, tira tira» recitano i racconti; qualcuno grida «Christus!», e la cassa, senza fatica, scivola a terra, rivelando un «bellissimo Cristo di legno, profumato d’assenzio, un viso dolce, triste ed espressivo». È disteso in un feretro dorato, che la pietà del popolo ribattezzerà presto «bressol» (culla), e le sue ferite sono rubini, incastonati nel legno scuro. I Jermans lo portarono con sé, e da allora lo custodiscono nella loro chiesetta, l’oratorio della Misericordia.

Così il Crocifisso di Alicante, che non arrivò mai a Genova ‘scegliendo’ di fermarsi ad Alghero, percorre, ogni anno, le strade della città che è diventata sua, ripetendo le sofferenze della Passione circondato dalla sua gente. Da allora protegge gli algheresi. E i Jermans lo vegliano, nella lunga notte sulla croce, come antichi monaci guerrieri.


da Daniela Sari-Max Solinas, La Settimana Santa, edizioni I.F.E.A., 2000



Non esistendo la versione in lingua della leggenda, riporto una poesia di Rafel Sari, autore contemporaneo, scritta nell’idioma catalano-algherese.


Alguer

Sés beglia quant ‘l sol ta basa tot/i ta carigna calma la marina,
quan la gliuna de nit ta dasgota/la prata més gliuenta i la més fina.
Sés beglia massa tu, suitat mia,/de muraglias i torras anghiriara
che ta miras nel golf a on sumia/antiga i branca una sirena ancara.
De Ca’ de Cassa a Muntiroglia negra,/de Muntagnés a San Giuria frurit
és tota una canzó che la ralegra,/una canzó che dura ne la nit
quant a poc suspira la marina/basan l’ascol che tot ha cunsumit.



Alghero

Sei bella quando il sole ti bacia tutta/e ti carezza calmo il mare,
quando la luna di notte ti veste/di gocce d’argento risplendente e purissimo.
Sei troppo bella, città mia, incoronata,/di bastioni e di torri,
che ti rispecchi nel golfo dove ancora/sogna un’antica e bianca sirena.
Da Capocaccia al cupo Monte Doglia,/da Montagnese a San Giuliano in fiore
è tutto una musica che ti rallegra,/una musica che continua nella notte
quando dolcemente sospira il mare/baciando lo scoglio che tutto ha levigato.

da Rafel Sari, Ciutat mia, 1984

 

 

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