C.U.* – Cannes 2017, la Cerimonia di chiusura

 

 

 

Cannes 2017, la Palma d’oro va a ‘The Square’. Coppola, Kidman e

Kruger nel Palmares

 

Il maggior premio è andato al film svedese di Ruben Östlund. Molti riconoscimenti al femminile: due registe e due attrici. Joaquin Phoenix miglior attore. Nel parlare del film sull’Aids Almodovar si commuove


 

The Square

La Palma d’oro è andata al provocatorio The square del regista svedese Ruben Östlund, un ritratto della società contemporanea attraverso il personaggio del curatore di un museo di arte moderna. Mentre lui sta preparando una mostra che vorrebbe essere un invito all’altruismo alla solidarietà, una serie di eventi surreali e imprevisti come il furto del suo cellulare, un gravissimo errore di comunicazione dei suoi collaboratori lo sprofonda in una crisi esistenziale. Il regista ha vinto due anni fa la sezione Un certain regard con Forza maggiore e ritirando il riconoscimento ha chiesto al pubblico in sala di urlare tutti insieme un grido di gioia e alle telecamere di inquadrare la sala festosa in una sorta di happening collettivo che ha ricordato lo spirito del film.

La cerimonia è stata snella, condotta con maestria da Monica Bellucci che, dopo il tango con tanto di appassionato bacio al ballerino della serata d’apertura, per la chiusura ha scelto un monologo in cui ha ricordato il valore del “cinema, arte che ci permette di dialogare con le nostre coscienze. Abbiamo parlato della violenza del cinema, dei famosi scandali di Cannes, ma se pensiamo a quello che accade oggi, niente è più violento della realtà. Il cinema ha il ruolo di specchio nel quale si riflettono luci e ombre della nostra realtà, ma il il cinema può guarire le nostre ferite. Con la speranza che più registe trovino il loro spazio. E allora il mio ruolo di donna e di madrina mi costringe a ricordarvi due modi di dire: fate attenzione a non fare piangere una donna perché Dio conta le sue lacrime, ma anche quando una donna si mette in testa di fare qualcosa il diavolo si siede e prende appunti”. Il discorso della madrina è stato in qualche modo profetico perché anche se la settantesima edizione non ha visto trionfare una donna nel premio massimo, la presenza femminile è stata molto forte nel Palmarés. E infatti sia Jessica Chastain che Agnes Jaoui hanno confermato, incontrando i cronisti dopo la premiazione, che si augurino in futuro più racconti al femminile e la regista tedesca Maren Ade, uscita lo scorso anno senza riconoscimenti per il suo Toni Erdmann, con soddisfazione ha dichiarato: “Sono sempre contenta quando incontro altre registe, dopo essere stata per anni circondata da uomini. Cedo che abbiamo sempre più bisogno di donne dietro la macchina da presa perché se il cinema deve riflettere la società allora noi abbiamo bisogno di storie raccontate al femminile”.

La settantesima edizione sarà ricordata per un Palmarés ricco (un ex aequo e un riconoscimento speciale) che il “magnifico, maschile e femminile” (come lo ha definito la madrina) presidente Almodovar ha definito “elaborato molto velocemente, con forti discussioni ma in modo assolutamente democratico”. Insieme ai suoi colleghi la regista Maren Ade, tedesca, l’attrice e regista Agnès Jaoui, francese, Fan Bingbing, i divi americani Jessica Chastain e Will Smith, i registi Paolo Sorrentino e il coreano Park Chan-Wook, il compositore francese Gabriel Yared, il maestro spagnolo ha elaborato una lista di premi che ha privilegiato le donne, due interpreti Nicole Kidman e Diane Kruger, una regista come Sofia Coppola e un’altra come Lynne Ramsay per la sceneggiatura. Scherzando, ma fino ad un certo punto Will Smith aggiunge: “La prossima volta ci occuperemo del colore della pelle e delle minoranze. Del resto io sono fiero delle mie radici e del cinema africano. Ma per stasera va bene così”.

Il Gran Premio della Giuria è andato a 120 battements par minute (120 battiti al minuto) con cui il francese di origine marocchina Robin Campillo, sceneggiatore storico di Cantet e César per l’adattamento de La classe, firma un film molto personale negli ambienti dell’attivismo gay contro l’Aids della Francia anni Novanta. Il regista, che ha messo nella storia di questi ragazzi la sua esperienza di militante del gruppo Act-Up, racconta il percorso del gruppo tra azioni dimostrative, difficoltà di convivenza fra spiriti diversi, storie d’amore e il dramma che la malattia non risparmia.  Dopo una standing ovation in sala il regista ha preso la parola: “Ci tengo a dire che ho fatto il film insieme a tante persone che mi hanno sostenuto, sono contento che sia stata un’avventura collettiva perché racconta una storia collettiva. Voglio ringraziare tutta la troupe e anche i miei compagni dell’epoca, il film è un omaggio a chi è morto ma anche a chi è sopravvissuto avendo ancora molto coraggio ha messo la propria vita in pericolo per l’attivismo. A loro penso stasera”. A loro deve aver pensato molto anche Pedro Almodovar che sul film di Campillo ha detto: “Io ho amato il film, non avrei potuto amarlo di più. Ne sono stato toccato dall’inizio e alla fine. Io però fin dall’inizio ho chiarito che avrei avuto una giuria democratica e io non sono stato altro che la nona parte di questa giuria. Questo è tutto quello che posso dire; la maggioranza della giuria ha amato il film di Campillo e indipendentemente dal fatto che io sostenga le questioni LGBT il film ha raccontato un’ingiustizia”. Poi, commosso, ha aggiunto: “Il film è un omaggio agli eroi che con il loro sacrificio hanno salvato molte vite”.

Il premio per il Miglior Attore è andato a Joaquin Phoenix che ha fatto molta strada dai tempi di Commodo de Il gladiatore, o da quelli di Johnny Cash nel biopic candidato all’Oscar, già miglior attore alla Mostra di Venezia per The Master di Paul Thomas Anderson. Nel film della regista Lynne Ramsay You were never really here è un traumatizzato ex agente dell’FBI che ora si adopera a recuperare ragazze scappate di casa. Ma l’ultimo caso lo trascina in un giro di traffico sessuale di minorenni dove dovrà fare di tutto per salvare Nina, figlia adolescente di un politico più preoccupato per la sua campagna elettorale che per le sue sorti. “Si tratta di un premio inatteso – ha detto l’attore che si è presentato in sneakers sul palco – scusate le mie scarpe, non sono adatte lo so ma ho rimandato a casa quelle più adeguate. Grazie Lynne, ti adoro” ha aggiunto rivolto alla sua regista.

Diane Kruger in In the Fade

Il premio per la Miglior Interpretazione Femminile è andata a Diane Kruger, l’attrice tedesca 40 anni, che dopo 15 anni di carriera ha finalmente girato nella sua lingua madre conquistando così la giuria di Pedro Almodovar con il ruolo di questa madre distrutta dal dolore e poi in cerca di vendetta per la morte del marito e del figlio, vittime una bomba neonazista nel film di Fatih Akin Aus dem nichts. Ex ballerina ed ex modella dopo aver attraversato ogni tipo di cinema: kolossal come Troy (dove era Elena), film d’azione come Il mistero dei templari con Nicolas Cage, il cinema d’autore e le serie tv si è finalmente misurata con un ruolo in cui ha potuto dimostrare tutte le sue corde e per il quale si è trasformata. “Grazie moltissime alla giuria e al festival per questo premio, sono sommersa dalle emozioni” e poi rivolgendosi a Fatih Akin “Fath, fratello, grazie di aver creduto in me e di aver pensato che io potessi avere la forza per questo ruolo, non lo dimenticherò mai. Non posso accettare questo premio senza pensare a chi è stato colpito da atti di terrorismo e lo dedico a chi riesce a trovare la forza di andare avanti”.

The Beguiled di Sofia Coppola

Il premio per la Miglior Regia è andato a Sofia Coppola (ed è la prima volta che viene attribuito a una regista donna) per il film L’inganno con Nicole Kidman, remake del film di Don Siegel del ’71, che nelle mani della regista americana è diventato un “revenge movie” femminista con un cast di sole donne ad eccenzione di Colin Farrell dove, oltre alle star Nicole Kidman, Kirsten Dunst e Elle Fanning, sono notevoli anche le giovani attrici che interpretano le fanciulle di un collegio femminile durante la guerra di Successione in Virginia. Sofia in un messaggio, letto dalla regista Maren Ade, ha detto: “grazie alla giuria per l’onore del premio e al festival per avermi selezionato, grazie a mio fratello Roman, a mio padre per avermi insegnato l’amore per il cinema e mia madre per avermi incoraggiato ad essere un artista”. La giuria ha deciso di attribuire un Premio Speciale per il settantesimo anniversario del festival a Nicole Kidman per l’insieme della sua opera, d’altronde l’attrice era al festival con tre film e una serie tv. Kidman non era presente per cui il premio è stato accettato da Will Smith che prima ha tentato un’imitazione dell’attrice in falsetto e poi ha lanciato un video in cui Kidman da Nashville ha parlato dell’esperienza di Cannes “come un sogno”. “Mi spiace non essere lì con voi ma sono con la mia famiglia”. “Bonsoir, je t’aime e a presto” sono stati il suo saluto alla platea.

Il Premio della Giuria è andato a Loveless (senza amore) del regista russo Andrey Zvyagintsev (già Leone d’oro a Venezia con Il ritorno), film che racconta la storia tragica di un dodicenne nel pieno del divorzio dei suoi genitori, testimone di litigi violenti che riguardano il suo destino e l’appartamento di famiglia in vendita affinché ognuno di loro ricominci una nuova vita. Una nuova vita che sembra non prevedere loro figlio Aliocha, destinato ad andare in collegio perché per lui non c’è posto né nella lussuosa casa del compagno della madre, né in quella che il padre condivide con la nuova fidanzata incinta. All’improvviso però Aliocha scompare. Un ritratto familiare che è anche il ritratto di un paese – la Russia in profonda crisi politica e sociale, mentre la guerra in Cecenia fa capolino dai telegiornali e la società è imprigionata in un’illusione social fatta di selfie e di profili Instagram.

Il Premio alla Sceneggiatura è stato attribuito ex aequo al greco Yorgos Lanthimos e all’americana Lynne Ramsay per You were never really here “ancora cinque giorni fa stavamo finendo il film – ha detto Ramsay – e quindi è bellissimo essere qui. Grazie a tutti gli attori fantastici ma soprattutto a Joaquin Phoenix”. Il regista greco Yorgos Lanthimos considerato l’erede di Lars Von Trier e Michael Haneke (con The lobster due anni fa aveva vinto il Premio della giuria) con The Killing of a Sacred Deer presenta un racconto di sottile violenza psicologica con Colin Farrell, barbuto chirurgo cardiaco con una buona carriera, una bella casa elegante, una moglie medico a capo di una clinica oculistica (Nicole Kidman) e due ragazzini. Nella sua vita però piano piano si insinua una presenza, Martin un sedicenne il cui padre è morto sul tavolo operatorio di Steven, fra loro si instaura una relazione ambigua che deflagra quando i figli, prima il bimbo poi la ragazza, cominciano a sentirsi male, improvvisamente incapaci di nutrirsi e camminare. Martin sta mettendo in pratica un’assurda e razionalmente inspiegabile vendetta.

La Camera d’oro, il premio dedicato alle opere prime, è stato consegnato a Jeune Femme della giovane regista francese Léonor Serraille che ha portato la sua protagonista Laetitia Dosch sul palco e molto commossa l’ha ringraziata per averla sostenuta durante le riprese che ha realizzato mentre era incinta. Infine la palma d’oro al miglior cortometraggio è andato al cinese Xiao Cheng er yue di Qiu Yang.


* Chiara Ugolini (www.repubblica.it)

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