Io scrivo
VAGABOLARIO “B” – LE BUONE FATE A ISSIME
Francesco Severini, Capolettera “B”, gouache, china e tempera su carta, cm 26×38
Con il capolettera “B” («Bei tempi quelli in cui…»), “InScena/Scénario” prosegue l’appuntamento settimanale con il Vagabolario, viaggio miniato tra le leggende dei piccoli popoli nelle isole linguistiche d’Italia. Progetto pittorico-letterario dell’artista Francesco Severini, Vagabolario torna su “InScena/Scénario” ogni mercoledì, allineando ventuno brevi testi relativi ad altrettanti popoli, tanti quanti le lettere dell’alfabeto italiano: un itinerario per immagini tra le storie favolistiche di varie zone d’Italia, «diretto alla riscoperta», spiega l’autore, «dei rimandi a una tradizione che fonda le proprie radici nel tessuto letterario dell’oralità».
Bei tempi quelli in cui le fate abitavano le montagne.
C’erano a Issime due fate benefiche che rendevano grandi servizi alla gente del paese. Una di queste si era stabilita in una grotta a ovest dei due graziosi laghi che si trovano sulle alture del vallone di san Grato. Questi laghetti rimangono a sinistra salendo verso il colle del Dondeuil, che mette in comunicazione Issime con Challant. Molto sovente questa fata abbandonava la grotta per recarsi alla frazione di Pressevin al limite del vallone. Si fermava sopra una roccia che domina a picco il bacino di Issime, da dove poteva scorgere tutto ciò che accadeva nel paese.
L’altra fata aveva scelto come sua dimora una caverna nei dintorni del lago Leytier. Questo lago, puro come il cristallo, si trova nella parte superiore del vallone di Türradju, ad est di Issime. Come la prima, anche questa fata lasciava di frequente il suo alto rifugio per trasferirsi nella parte inferiore del vallone sopra una cornice di roccia, vicino al torrente Türradjumbach. Da questo posto, i suoi occhi abbracciavano Issime in quasi tutta la sua ampiezza.
Niente poteva passare inosservato alle due buone fate quando venivano ad occupare questi posti situati ai due fianchi e allo sbocco del vallone. Le due fate univano i loro sforzi per proteggere il paese e per scongiurare qualsiasi evento funesto per gli abitanti della valle che erano, per così dire, sotto la loro protezione. Talvolta esse facevano sentire dei canti melodiosi e allora era un segno di prosperità e di felicità; ma, all’avvicinarsi di una tempesta o di qualche spiacevole avvenimento, esse mandavano delle grida di disperazione e s’incoraggiavano reciprocamente a fare degli sforzi per evitare qualsiasi disgrazia. Si racconta che sia stata la fata di Türradju che abbia fatto sgorgare allo chalet di Crédémy una limpida sorgente, gradevole e benefica. Si assicura tuttavia che la fata di Pressevin fosse molto più potente della sua compagna.
Nel 1347, il giorno di san Giacomo, la maggior parte degli abitanti di Issime si trovava riunita in chiesa per festeggiare il patrono, quando udì la fata di Pressevin urlare con tutte le sue forze: «Mentre voi pregate in chiesa, tutte le mucche del vallone di san Grato stanno per passare il colle del Dondeuil. Venite senza tardare un istante! Venite!» Una banda di ladri e di stregoni, approfittando dell’assenza dei montanari che si erano recati alla messa, avevano stregato le mucche che correvano in preda alla follia in direzione del colle.
Tutti gli uomini uscirono dalla chiesa e presero correndo il cammino della montagna, ma la buona fata, prevedendo che non sarebbero arrivati in tempo, si era già portata presso lo chalet di Mühnes. Da lassù essa gridò alla mucca Teltscha che, a capo della mandria, aveva raggiunto il colle: «Teltscha, Teltscha, la maggiore di sette mucche, girati su te stessa e rompi l’incantesimo». La mucca girò un istante su se stessa, poi cadde con il corpo diviso in due parti. La testa rotolò sul versante di Issime e il corpo dalla parte di Challant. Il sacrificio di una mucca aveva rotto l’incantesimo. Tutte le altre, più di cento, ritornarono tranquillamente alle loro stalle.
Pochi anni dopo questo avvenimento memorabile, le due buone fate furono vinte da altre due fate più potenti, che si installarono nelle loro stesse dimore. Ma tanto le altre facevano del bene, tanto queste erano cattive e da allora la gente di Issime ebbe a soffrire ogni sorta di mali.
Un giorno, verso la fine del mese di luglio, il cielo si oscurò ad un tratto di nuvole minacciose e un temporale spaventoso scoppiò su Issime. La grandine si abbatté sulla campagna con grande disperazione degli abitanti che si vedevano ridotti in miseria da un momento all’altro. Mentre gli elementi si scatenavano con furore, si udì la fata di Türradju gridare a quella di Pressevin: «Forza, forza! Che la grandine falci e rompa tutto!» E l’altra le rispose: «Sono quasi senza forze, mi tormentano, mi fermano… La grande pala del capoluogo, la «chiacchierona» del Kreuz, la «raganella» del Buard e lo «Stumpfal» del Corno m’impediscono di far grandinare!».
Le due fate malvagie, vedendo i loro sforzi paralizzati da una potenza superiore, abbandonarono presto le loro caverne e si trasferirono in altre contrade. Allora la popolazione della valle cominciò un’era nuova, prospera e felice.
Testo originale in J.J.A. Christillin, Leggende e racconti della Valle del Lys, ed. Duc, Aosta, 1901, traduzione italiana edita da Guindane, Gressoney-Saint Jean