Ruben SABBADINI – “Preludio, fuga e allegro” (racconto breve)

 

Io scrivo

 


PRELUDIO, FUGA E ALLEGRO



Accetto di passare il nostro pomeriggio, quello che riusciamo a ritagliarci ogni quindici giorni, all’Ikea. Non è il massimo, ma ogni cosa che faccio con lei è speciale, vale perché sto con lei; anche attaccare un lampadario o fare la spesa al supermercato. Mi manca così tanto condividere le piccole cose quotidiane che riesco a gioire di ogni dettaglio.

Mi faccio trascinare in quel trambusto e iniziamo il giro con un enorme carrello che, ad ogni passo, si riempie sempre più. Piccoli attrezzi per la cucina, tovaglie, cuscini colorati, pile (quelle sì che sono convenienti), insalatiere per uno (odio condire l’insalata nei piatti che non riesci a girarla) e altri oggetti affascinanti quanto inutili. L’ultima volta avevo speso più di cento euro per un carrello così, questa volta, probabilmente, avrei replicato. Comunque, dopo un’ora abbondante di spesa, eravamo esausti ma felici; avevamo soddisfatto il nostro bisogno di consumatori, avevamo desiderato e scelto, orientandoci sapientemente tra migliaia di offerte che occhieggiavano dagli scaffali: talvolta facendoci sedurre, altre reclinando con un augusto diniego. Eravamo stati bravi, avevamo detto molti no, e qualche sì che aumentava il peso verso l’uscita.

Ci basta un occhiata per intenderci, un’altra occhiata per cercare telecamere nascoste, poi, parcheggiato il carrello in un angolo a far bella figura di sé, ci allontaniamo fingendo interesse per un altro acquisto per poi, mano nella mano, correre a perdifiato verso l’uscita, sperando che nessuno mai ci avrebbe chiesto conto e ragione di quell’oltraggio a regole non scritte.


«Giovanni vieni qua, vieni a vedere!». «A te è mai successa una cosa così? Sì, lo so che è successa a me, che il reparto è mio e tocca a me occuparmene, te lo chiedevo solo per capire, cosa ha spinto un essere senziente a fare una cosa così?».

«Vorrei sperare che abbia avuto un contrattempo, una telefonata improvvisa, magari, e sia dovuto scappare di corsa. Può capitare. Poteva anche avvertirci, però, io l’avrei fatto».

«Dici che si è spaventato per la reazione? che non saremmo stati affatto teneri? che tu non lo saresti stato affatto? In effetti anch’io al pensiero di rimettere tutto a posto avrei avuto una po’ di alterazione, forse un “così non si fa! non è corretto!”. Certo che, al posto suo, me la sarei risparmiata; difficile, mettendosi nei suoi panni, biasimarlo più di tanto».

«Lo sai però cosa temo? che invece non sia stata forza maggiore, ma sia stata una protesta – anarchica dici? sì anarchica – contro di noi. No, certo, non noi, noi due, noi azienda, noi Ikea». «No, non mi faccio film – anche se con una cosa così, un oggetto che solo, in assenza dell’artefice, ci parla, unico indizio di un atto intelligente (non puoi partire dall’idea sia un atto stupido! se è un atto stupido non c’è niente da capire e allora ti incazzi e basta; ma guarda questi oggetti, non sono accumulati alla rinfusa, sono stati meditati, scelti; non è un atto stupido) qualche supposizione è d’obbligo – devi immaginarti un quadro, una motivazione, uno svolgimento».

«Sì, ora ti dico cosa mi è venuto in mente. Prova, mentalmente, a passare per il percorso obbligato che gli abbiamo confezionato, a essere attratto dalle forme, dai colori, di dover resistere, resistere, resistere per un’ora, un’ora e mezzo, riuscire a rinunciare a qualcosa che ci appare indispensabile, portare a sé, al carrello, insomma, ciò che è sfuggito al setaccio di una volontà di ferro e poi …».

«Ancora co’ ‘sti film. Non è un film, è osservazione. Sei mai stato in cassa? Hai mai visto carrelli meno pieni di questo? hai mai sentito dire, tra il serio e il faceto, “sono entrato per prendere una cosina, guarda qua!” Cosa hai pensato? nulla? ma sei capace di pensare? davvero hai detto seriamente “non siamo pagati per pensare”? non posso crederci. Tutti sono pagati per pensare, caro, se no ci clonerebbero con droni (ad Amazon lo fanno, ma noi siamo figli, per fortuna, dell’alternativa svedese). Lo so che ti sembra strano, ti sembra una delle mie solite menate, ma sto lavorando, chiedendomi perché? sto lavorando (se la gente si chiedesse sempre i perché vivremmo in un mondo migliore), sto pensando all’Azienda e ai suoi interessi. Lo sai cosa penso? che ragione vorrebbe che simili atti anarchici, come dici tu, dovrebbero essere ben più frequenti e il fatto che non lo siano non depone decisamente a favore dell’umanità che ci circonda».

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